Florinda è la nuova Napoli
Classe 2000, con il suo pop elettronico la cantautrice scelta per il programma Amazon Music Breakthrough 2025 racconta un altro volto della città partenopea, quello sognatore e nostalgico

GEN B è il nuovo format editoriale di Billboard Italia che vuole dare agli emergenti più interessanti in circolazione lo spazio che meritano. Una serie di cover digitali che approfondiscono a tutto tondo le next big thing della scena scelti direttamente dalla redazione, che ogni mese punterà su due artisti che hanno dimostrato di avere quel quid per fare il grande salto. La nuova protagonista è Florinda, tra gli artisti scelti per Breakthrough, il programma di Amazon Music giunto al suo quinto anno che supporta gli emergenti con una curatela editoriale strategica, campagne di marketing e progetti speciali, tra cui la possibilità di registrare un Amazon Music Original.

Foto: Simone Biavati
Creative director: Pierfrancesco Gallo
Set design: Thala Belloni
Florinda è nata per essere una stella. È questo il pensiero che mi accompagna durante tutta la nostra chiacchierata al termine di questo shooting mentre mi racconta come la musica abbia sempre fatto parte della sua vita, da quando da bambina i suoi genitori le facevano ascoltare i dischi di Michael Jackson e Pino Daniele alla scoperta delle popstar americane Y2K come Christina Aguilera, Beyoncé e Alicia Keys – il suo mito -, di cui guardava i video in cameretta dopo le lezioni di pianoforte classico, disciplina in cui è anche diplomata al conservatorio di Napoli.
Classe 2000, nata a cresciuta nella città partenopea che è tutto per la sua musica, all’inizio del 2025 Florinda ha attirato l’attenzione con Ma che vuo’, un brano pop e elettronico dalle venature notturne che racconta un altro volto di Napoli, quello «romantico, sognatore e nostalgico», diverso da qualsiasi altra cosa sia emersa fino ad ora dalla città. Il suo nuovo singolo, Vorrei odiarti, è un ulteriore step del suo mondo artistico che ci ha raccontato in questa intervista.
L’intervista a Florinda
Chi era Florinda da piccola?
Una bambina cresciuta in una casa inondata dalla musica. I miei genitori mettevano sempre i dischi di Michael Jackson, Pino Daniele, Stevie Wonder, Bee Gees, quindi sin da piccolina ho iniziato a sviluppare questa esigenza prima di cantare, poi di suonare. Ho iniziato dunque a studiare pianoforte per accompagnarmi nelle cover dei brani delle cantanti che mi piacevano, come Christina Aguilera, Beyoncé e tutte le popstar di quella generazione. Questa passione poi è diventata sempre più forte e mi ha portata ad iscrivermi al conservatorio a Napoli, dove ho preso il diploma in pianoforte classico.
Una cosa molto rigorosa, che ti dà tanta disciplina.
Esatto, però artisticamente non mi sentivo ancora completa. Non volevo essere solo una pianista, e soprattutto non volevo fare solo musica classica: da ragazzina studiavo Mozart e Beethoven, facevo lirica, ma c’era sempre una parte di me che spingeva verso la musica pop e l’R&B. Infatti ho iniziato a scrivere prima in inglese, poi sono passata all’italiano e infine al napoletano.

Lì c’è stata la svolta?
Totalmente, quella è stata la chiave. Scrivere in dialetto mi ha aperto tante possibilità di comunicazione, perché mi dà la possibilità di esprimermi senza filtri, dicendo esattamente quello che voglio dire arrivando al punto. Il legame con la mia città è molto forte, le mie radici sono ben salde, e voglio rappresentare Napoli nella mia musica.
Quale volto di Napoli?
Quello romantico, sognatore, nostalgico. Ma anche vivace e colorato, che va un po’ in contrapposizione con quello più oscuro raccontato nel rap.
Napoli in effetti si presta a tanti tipi di racconti diversi ma che alla fine restituiscono sempre l’atmosfera della città. Se una cosa esce da Napoli, si sente.
Io Napoli non solo la vivo, ma la sento e la respiro in ogni cosa. Non potrei mai spostarmi da qui perché artisticamente e umanamente mi dà troppo; lontana da qui non potrei fare la musica che faccio. Non avrei quel fuoco, quella ispirazione. Napoli è tutto per la mia musica.
Nel pop hai trovato quella leggerezza che ti mancava negli studi classici?
Assolutamente. Lì ho imparato cosa vuol dire il rigore, lo studio dei grandi classici mi ha dato tanta consapevolezza e sicurezza nella musica perché la conosco bene proprio tecnicamente. Però era un mondo che mi stava un po’ stretto, come se non potessi uscire da quelle regole che volevo rompere. Volevo parlare di me, e non interpretare cosa aveva fatto un altro artista. Avevo bisogno di costruire la mia personalità artistica. Vedevo i video delle mie cantanti preferite, ero e sono ossessionata da Alicia Keys: volevo farlo anche io.
Ti sei avvicinata anche al mondo della produzione.
Un mondo tostissimo. Sono sempre stata affascinata dal sapere cosa c’è dietro la costruzione di una canzone, volevo sapere quale fosse la magia dietro a un brano che non riuscivo a smettere di ascoltare. Mi sono comprata una tastierina e mi si è aperto un mondo: avevo capito che potevo farmi una canzone da sola.
Infatti anche tu hai contribuito alla produzione di Ma Che Vuo’.
Sì, insieme a D-Ross e Startuffo, due produttori incredibili che mi hanno scoperta dai social. Loro sono stati i primi a credere in me, abbiamo un rapporto molto speciale perché anche loro sono musicisti e questa cosa ci accomuna.

Com’è nato questo brano?
Un po’ per gioco nella mia cameretta. Ero in un momento di confusione sentimentale e mi girava in testa questa frase, prima mi dici sì dopo mi dici no, e ho pensato subito “ci devo scrivere su una canzone”.
Cosa ci riserverà il tuo futuro?
Sicuramente tanta sperimentazione. Qualche giorno fa è uscito il mio secondo singolo, Vorrei odiarti, malinconico ma sempre uptempo. E poi chissà, magari arriverà un album…