Interviste

La prima intervista italiana di Judeline

Classe 2003 direttamente dall'Andalusia, Lara Fernández Castrelo è uno dei nomi che sta ridefinendo i confini del pop: l'abbiamo incontrata in attesa della sua performance a Linecheck

La prima intervista italiana di Judeline
Autore Greta Valicenti
  • IlNovembre 17, 2025

GEN b è il nuovo format editoriale di Billboard Italia che vuole dare agli emergenti più interessanti in circolazione lo spazio che meritano. Una serie di cover digitali che approfondiscono a tutto tondo le next big thing della scena scelti direttamente dalla redazione, che ogni mese punterà su due artisti che hanno dimostrato di avere quel quid per fare il grande salto. La nuova protagonista è Judeline, che inaugura l’espansione internazionale del nostro format.

Ascoltare per la prima volta Judeline è come essere catapultati in un tempo lontano e contemporaneo nello stesso momento. Classe 2003, Lara Fernández Castrelo arriva da Jerez de la Frontera, comune spagnolo della comunità autonoma dell’Andalusia, e nella sua musica le sue origini – combinate con quelle venezuelane del padre, figura fondamentale per la sua formazione musicale (è dalla sua passione per i Beatles e in particolare Hey Jude che deriva il suo nome d’arte) – si intrecciano a una sperimentazione futuristica che ha trovato terreno fertile in quella scena di Madrid che grazie a nomi come rusowsky, Ralphie Choo e il loro collettivo Rusia-IDK è più vibrante e fervida che mai.

In questo equilibrio sospeso tra radici e avanguardia, tra intimità e visione, Judeline nel 2024 ha dato vita a Bodhiria , uno dei migliori album di debutto degli ultimi anni. Non solo un disco, ma – come ci racconta Lara – «un luogo interiore, una terra immaginaria che mi ha aiutato a capire me stessa e una mappa in cui convivono i ricordi dell’infanzia, la spiritualità, il desiderio e l’identità». Nelle dodici tracce, le sue influenze non si sommano semplicemente, ma si trasformano in una lingua nuova, in tutti i sensi: il titolo è infatti un neologismo spirato al termine buddhista “bodhi” (illuminazione), ed è usato da Judeline per descrivere un limbo metafisico transitorio in cui il suo alter ego, Angel-a, vive uno stato a metà tra la separazione e la connessione spirituale.

Tutto questo le è valso ben tre nomination ai Latin Grammy (Best Alternative Album, Best Alternative Song per Joropo e Best Engineered Album), dove qualche giorno fa ha fatto il suo debutto accanto ai giganti della musica latina, un riconoscimento che – a soli 22 anni – vale più della vittoria stessa. A pochi giorni dalla sua esibizione in occasione di Linecheck il 22 novembre a BASE Milano (qui i biglietti), abbiamo incontrato Judeline per la sua prima intervista italiana e per farci raccontare il suo primo ricordo della musica, le sue influenze musicali, chi sono gli artisti italiani con cui vorrebbe collaborare e molto altro ancora.

L’intervista a Judeline

Ripensando a quando eri bambina, qual è il tuo primo ricordo legato alla musica?
Il mio primissimo ricordo è mio padre che suona la chitarra in salotto. Ricordo soprattutto la vibrazione delle corde — come se tutta la casa ne risuonasse. Ero molto piccola, ma già sentivo che la musica fosse qualcosa di sacro, qualcosa che custodiva una verità che ancora non sapevo nominare.

Hai sempre saputo di voler fare musica? Quando hai capito che la tua passione poteva davvero diventare un lavoro?
Credo di averlo sempre saputo, ma non ho sempre creduto che potesse essere possibile. La musica faceva parte della mia vita quotidiana, ma ci è voluto tempo per capire che ciò che provavo così profondamente potesse diventare un percorso. Ho capito che poteva essere il mio lavoro quando ho iniziato a condividere i miei primi demo online e le persone ci si sono connesse. In quel momento ho pensato: ok, forse questo sentimento può diventare qualcosa di reale. Anche quando sono entrata in studio e ho capito che potevo scrivere musica anche per altri.

Il tuo nome fa riferimento a Hey Jude dei Beatles, la canzone preferita di tuo padre. Quali ricordi hai legati a quel brano?
Ogni canzone dei Beatles è legata alla mia infanzia. Amo Hey Jude, in particolare il ritornello — “take a sad song and make it better” — che mi è sempre sembrato un messaggio su come trasformare il dolore in qualcosa di bello. Credo che questa idea attraversi molta della mia musica.

Quali sono le tue principali influenze musicali?
Cito sempre FKA twigs, Arca e Björk perché mi hanno aperto la mente a nuove texture e modi di esprimere le emozioni. Accanto a loro, le grandi dive spagnole come Lole Montoya o Rocío Jurado. Ma anche i suoni tradizionali dell’Andalusia, la musica che ascoltavo crescendo, MTV, tanto trap, rap e artisti contemporanei spagnoli come Dellafuente o Amore. Generi molto diversi, di epoche diverse.

In Joropo hai collaborato con tuo padre. In che modo è stato importante per la tua educazione musicale? Puoi raccontarci un ricordo di quella sessione in studio?
Mi ha insegnato a rispettare la musica, non solo a farla. Joropo è stato molto emozionante perché è stato come chiudere un cerchio: la bambina che ascoltava il padre suonare, ora lo invita nel proprio mondo artistico. Il tempo trascorso in studio con lui e gli altri produttori è stato speciale. Ho poi potuto eseguirla ai Latin Grammy a Las Vegas, e lui era lì tra il pubblico — è stato davvero unico.

Bodhiria è il tuo primo album ufficiale. Cosa rappresenta per te?
Bodhiria è come una mappa di tutto ciò che provavo in quel periodo: confusione, spiritualità, desiderio, ricordi d’infanzia, identità. È un luogo interiore, una terra immaginaria che mi ha aiutato a capire me stessa. Porta con sé molta luce e molte ombre. È il mio primo album, ma anche una sorta di rinascita.

Che cosa rappresenta il tuo alter ego Angel-A nel percorso personale e spirituale vissuto durante la creazione dell’album? Come convivono — o si scontrano — queste due parti di te?
Angel-A è un personaggio, ma anche il mio specchio: la versione di me che osa dire ciò che io non riesco. Mi ha aiutata ad affrontare emozioni troppo grandi o troppo vulnerabili. A volte conviviamo in armonia, altre volte discutiamo. Ma grazie a lei ho potuto scrivere da un luogo più libero e spirituale. Senza di lei, Bodhiria non esisterebbe.

Quale traccia rappresenta meglio l’essenza di Bodhiria?
Forse Bodhitale o Mangata. Entrambe portano quella miscela di tradizione e sperimentazione, morbidezza e dolore. Sono come il DNA emotivo dell’album.

Sei accreditata come produttrice in tutte le tracce. In Italia esiste ancora un grande divario tra produttrici e produttori uomini: com’è la situazione in Spagna?
Simile. Ci sono donne incredibili che producono, ma non siamo ancora viste o riconosciute abbastanza. Per questo per me era importante essere accreditata correttamente: per rendere visibile il lavoro che spesso facciamo nell’ombra. Spero che contribuisca a normalizzare la presenza femminile nella produzione. E non vedo l’ora di lavorare con più produttrici: è una cosa su cui voglio impegnarmi molto, a partire da adesso.

A soli 22 anni hai già ricevuto tre nomination ai Latin Grammy: come ti senti? Te lo saresti mai immaginato?
Onestamente, no. Non immaginavo che sarebbe successo così presto. Sono grata, emozionata, un po’ sopraffatta — ma soprattutto orgogliosa del team e dell’album. Essere nominate era già una celebrazione. Non abbiamo vinto premi, ma condividere la nomination con opere e artisti così grandi era già di per sé un riconoscimento.

La scena di Madrid è una delle più vibranti d’Europa. Come nasce la tua collaborazione con i membri di Rusia-IDK? Pensate di stare ridefinendo i confini del pop?
Ci siamo incontrati in modo molto naturale — la scena a Madrid è come un grande ecosistema creativo in cui tutti si incrociano. Con le persone di Rusia-IDK ho sentito un’immediata connessione artistica. Posso considerare Ralphie Choo e Rusowsky amici. Non so se stiamo ridefinendo il pop, ma sicuramente stiamo cercando nuovi linguaggi al suo interno. In modo naturale: è così che ci avviciniamo alla musica.

Questa è la tua seconda volta in Italia, dopo aver aperto il concerto di J Balvin. Cosa ti piace di più del pubblico italiano? Cosa possiamo aspettarci dal tuo set?
Potrete aspettarvi un set intimo ma anche potente, con momenti che sembrano quasi rituali. Non vedo l’ora di esibirmi per il pubblico italiano. Ho tantissimi ricordi adolescenziali legati all’Italia e non vedo l’ora di dire Ciao al pubblico di Milano!

Quest’estate hai pubblicato PIKI con Sega Bodega. Com’è nata questa collaborazione? Sarete entrambi a Linecheck la stessa sera: possiamo sperare in una versione live insieme?
Io e Sega volevamo lavorare insieme da tempo. Condividiamo un senso simile di intensità emotiva, quindi la collaborazione è nata in modo molto naturale. Se gli impegni lo permettono… chissà? Mi piacerebbe moltissimo eseguire PIKI con lui dal vivo.

C’è un artista italiano con cui ti piacerebbe collaborare?
Ammiro molto Mahmood — la sua voce, la sua scrittura, la vulnerabilità della sua musica. Amo anche ciò che fanno i Nu Genea. Apprezzo tantissimo il lavoro di Ghali e mi piacerebbe vedere Joan Thiele dal vivo. E se potessi tornare indietro nel tempo, la collaborazione dei sogni sarebbe con Mina, naturalmente.

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