Kaze, Call My Soul
Nella terza stagione di Call My Agent, la cantautrice torna nei panni di Sofia, la receptionist/aspirante attrice e le dona un tocco del tutto personale. Come in tutto quello che
Confondere il personaggio con l’attore, o in questo caso, attrice, è un errore che non andrebbe fatto. Eppure ad ascoltare Kaze chiacchierare durante la nostra intervista, non può che venire in mente la dolcezza e la determinazione di Sofia, che lei interpreta in Call My Agent, la serie prodotta da Sky Studios e Palomar, arrivata alla terza stagione in onda da oggi (in esclusiva su Sky e in streaming su Now). Un piccolo gioiello di leggerezza e divertimento, scritta con toni brillanti e mai banali, e ispirata al gran successo francese, Dix Pour Cent. Se non l’aveste mai vista: le puntate raccontano le avventure degli agenti della CMA e degli attori (o dei registi) da loro rappresentati, molto spesso nel ruolo di loro stessi.
E lì Kaze, all’anagrafe Paola Gioia Kaze Formisano, è appunto Sofia, la receptionist dell’agenzia che intraprende la carriera di attrice. Primo fun fact: nei giorni precedenti al provino per questa serie, Kaze aveva lavorato proprio nell’accoglienza di un hotel. «È stato strano, molto strano ma grazie a quel lavoretto mi è venuto piuttosto spontaneo sapere come comportarmi», svela lei, rilassata al tavolino di un bar.

Creative direction: Pierfrancesco Gallo
Stylist: Veronica Panati
Ass. Stylist: Alessio Pasqualini
Ass. Foto: Alice Grossi
Producer: Nicholas Luca
MUA: Rossella Pastore
Set Designer: Thala Belloni
Del resto, la carriera di Kaze è davvero multiforme: è cantautrice e attrice, e in passato è stata anche infermiera, receptionist appunto per un breve periodo. E tutto questo non può che arricchire la storia di lei nata in Kenia, cresciuta in Burundi fino alla scuola media e poi trasferitasi in Italia, a Terracina. Una storia non per forza di soli successi, anzi. Anche di crisi, ripensamenti, solitudini.
L’intervista a Kaze è sul nuovo numero The New Italian Issue, dedicato alle nuove generazioni con un background migratorio. In edicola settimana prossima. Prenota qui la tua copia.

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L’intervista a Kaze
Nella prima puntata della terza stagione di Call My Agent, si vede Sofia affrontare un flop e non la prende benissimo: ti è mai capitato?
Beh certo, ma penso che il flop sia un momento naturale nella carriera di un attore. Già se non vieni preso a un provino, ritieni di aver fallito. Io ci rimanevo molto male all’inizio, poi ho capito che non è una questione personale: è semplicemente la ricerca della persona più adatta per una parte, non di quella più preparata. Ma è anche ciò che ti fa crescere.
Te ne ricordi uno in particolare?
Sicuramente quello per X Factor, da dimenticare! Ma è stato importante: ero andata senza sapere a cosa andassi incontro. Ho pianto tanto dopo quel rifiuto ma poi ho capito che ho evitato dei fallimenti ben peggiori che mi sarebbero potuti capitare se fossi stata scelta.
Hai raccontato in passato del bisogno di approvazione, soprattutto per le donne: l’esibirti come cantante e il recitare ti hanno aiutato?
Moltissimo. Quando scrivo i miei testi è l’unico momento veramente in cui non non penso a come li giudicheranno gli altri. So che comunque ci sarà qualcuno che capirà, proprio come quando sono in concerto. E la stessa cosa vale anche per la recitazione: è vero che dipendi dall’approvazione di un regista, però la cosa bella è che hai un canovaccio di partenza ma puoi aggiungere del tuo. Quindi se sei una persona un po’ insicura, come io sono sempre stata, quando riesci ad aggiungere qualcosa che poi piace, la tua autostima aumenta davvero tantissimo.
Mentre parli, mi ricordi moltissimo Sofia: le battute del personaggio sono state – in parte – scritte su di te?
Sicuramente il regista ha voluto parlarmi per capire come costruire le scene di Sofia e le sue battute. Lo ha fatto con tutti, è proprio il suo modo di lavorare. Certo, poi non siamo uguali io e lei, è stato davvero interessante, anzi, capire che da copione lei reagiva in modo diverso da come avrei fatto io!
Ci sono state delle scene in particolare dove tu avresti reagito in maniera diversa?
Nella seconda stagione di Call My Agent, Sofia subisce una molestia sul lavoro. Lei reagisce con forza, anche fisica, con uno schiaffo. Io non credo che ci riuscirei ed è stato bello vedere come poteva reagire in modo diverso il mio corpo. Poi, per esempio, nel rapporto con Gabriele (Maurizio Lastrico, ndr) è lei che tiene le redini e prende l’iniziativa. E anche a questo non sono assolutamente abituata. Ho imparato davvero molto dal mio personaggio.
In Call My Agent, Gabriele, che appunto è uno degli agenti principali, ti dice che potrebbe trovare per te un ruolo in una serie dedicata alle Seconde generazioni: lo interpreteresti mai?
Non lo farei se fosse una serie di luoghi comuni, una storia di difficoltà dove capitano solo disgrazie. La farei nel caso in cui fosse un racconto che parla di persone e di vite umane. Secondo me l’inclusione della Seconda generazione in questo tipo di progetti avviene nel momento in cui ti dimentichi del fatto che la stia rappresentando. Per esempio, il personaggio di Sofia non è stato inserito perché serviva quella quota particolare: ha la sua storia e tu ti dimentichi del colore della pelle o dei suoi capelli ricci. È sempre tutto molto naturale e mai caricaturale.
Secondo te c’è invece qualcosa che non viene raccontato abbastanza?
Le piccole storie di vita quotidiana che secondo me sono ricchissime di spunti e di interesse. Poi, credo, che gli episodi di razzismo evidenti siano sotto gli occhi di tutti mentre quelli di micro-razzismo molto meno. Per esempio, il termine mulatto è un dispregiativo che deriva da mulo ed è piuttosto offensivo. Non lo sapevo nemmeno io. Quindi immagino quanto tempo ci vorrà prima che certi schemi mentali vengano eliminati. Ci sono dei gesti o delle parole che possono ferire ancora di più della violenza.

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È stato traumatico trasferirsi in Italia?
Considera che in Burundi ho trascorso la mia infanzia praticamente sempre all’aria aperta, insieme a un sacco di cugini quindi sì, andare a Terracina, in provincia di Latina, è stato piuttosto un trauma. Non parlavo una parola d’italiano e mi sentivo decisamente diversa dagli altri. Ero alle medie e mi avevano prospettato anche di iscrivermi a una classe precedente rispetto alla mia età. A quel punto, da perfezionista quale sono, ho iniziato a studiare come una pazza. Ce l’ho fatta: sono riuscita a passare l’anno e alla fine mi sono anche iscritta al liceo classico.
Qual era la cosa che ti faceva sentire maggiormente diversa?
I capelli! Passi il colore della pelle, ma la mia capigliatura era troppo particolare, per questo li tenevo sempre legati. Tutto è passato grazie a una professoressa di teatro, al liceo. Io interpretavo la protagonista di Lisistrata, una commedia piuttosto forte dove le donne fanno lo “sciopero del sesso” e già quella cosa mi aiutava a vincere la timidezza. Poi un giorno l’insegnante mi si è avvicinata e mi ha slegato la coda. All’inizio sono scoppiata a piangere. Poi è cambiato tutto. Da quel piccolo gesto, ho acquisito molta più sicurezza.
Kaze, tu riesci a dedicare tempo alla musica mentre registri?
Sì, anzi. Paradossalmente, poi, la sera magari torno dal set e riesco a scrivere dei testi che se mi sedessi e mi concentrassi tutto il giorno, magari non mi verrebbero. Secondo me avere i tempi ristretti è meglio per la creatività.
E anche ad altro?
Per esempio, sto lavorando con Amref ed è per me fondamentale: riuscire a essere vicina alle persone. Sono andata in Kenia con loro, come ambassador, ma in un certo senso ho potuto vedere sul campo anche le mie competenze da infermiera, e ho visto quello che avevano realizzato in concreto.
Cosa ti ha insegnato invece l’esperienza come infermiera?
A diventare davvero empatica. Lo era anche prima, e questo mi procurava una certa sofferenza perché era difficile staccare quando tornavo a casa. Ma – lo so, che si dice sempre – dopo aver visto un certo genere di sofferenze, ho imparato davvero a relativizzare i problemi piccoli che ci possono capitare nella vita quotidiana.