The Last Dinner Party, peccato originale
La band londinese torna con "From the Pyre". Abigail Morris e Aurora Nishevci ci hanno parlato della fama improvvisa, della scrittura in tour, di salute mentale e molto altro

Nella religione cattolica il peccato originale è una colpa ereditaria che si tramanda di generazione in generazione. Il frutto proibito mangiato da Adamo ed Eva ha condannato il genere umano prima che Gesù con l’ultima cena e la sua passione lo salvasse. Ironia della sorte, The Last Dinner Party nel 2021 si sono macchiate di uno dei peccati più gravi: firmare per una major prima ancora di pubblicare il primo singolo, Nothing Matters, dopo aver stupito tutti con i primi live. Per di più, aprire il concerto dei Rolling Stones ad Hyde Park, senza neppure un disco. Industry plant: questa l’accusa mossa nei confronti di Abigail Morris, Lizzie Mayland Georgia Davies, Emily Roberts e Aurora Nishevci. Il primo album, Prelude to Ecstasy, prodotto con James Ford, però smentisce tutti, così come le loro esibizioni dal vivo, tutte sold out.
Le Last Dinner Party dal 2024 sono entrate in un loop infinito di concerti, festival, premiazioni che, come raccontano Abigail e Aurora, hanno condotto il gruppo al limite. È una storia già sentita, quella del gruppo emergente che raggiunge un successo repentino e diventa un agnello sacrificale, citando il brano che apre il nuovo album From the Pyre. I Radiohead rischiarono di sciogliersi dopo Creep e durante la scrittura di The Bends. Nel caso delle sei artiste inglesi la fiducia e l’ambizione le hanno salvate. Il secondo album, ancor di più nel loro caso, era una sfida e l’ennesima espiazione del peccato originale. «Non ricordo quando abbiamo iniziato» rivela sorridendo Abigail.

In effetti, scrivere un nuovo disco durante un tour interminabile può diventare impossibile. Le Last Dinner Party hanno fatto di necessità virtù, testando i brani dal vivo (Agnus Dei, Count The ways e il primo singolo This Is The Killer Speaking) e, come ci racconta Aurora, assillando il tour manager con la richiesta di trovare uno studio con un pianoforte in ogni città in cui suonavano. Poi hanno concluso tutto con Markus Dravs (Coldplay, Arcade Fire, Florence + The Machine) dopo che James Ford, ora in remissione per fortuna, è stato costretto a una pausa per curarsi dalla leucemia.
Il risultato è il perfetto seguito del primo disco, dove le tastiere e i sintetizzatori sono ancora più centrali, un progetto più oscuro e legato ai tempi presenti. In Rifle c’è il riferimento alla guerra, per esempio. I personaggi hanno molti più punti in comune con le autrici – The Scythe è un piccolo capolavoro in questo senso – e questo rende il tutto più universale. Stavolta l’art rock medievale, quello con cui sono cresciute suonando al fianco di band come black midi e HTMLD, lascia anche spazio a esperimenti meno pomposi come Sail Away, e altri più vicini al punk come Second Best che ricorda le Wet Leg.
Le TLDP le citano tra gli esempi di altre artiste costrette a scontare un’altra pena, ovvero quella di essere band rock femminili. Ma il mondo, soprattutto oltremanica, sta cambiando grazie a loro. Abigail l’ha capito quando un gruppo di adolescenti, dopo un festival, le ha fermate professandole adorazione e chiedendo loro plettri e reliquie rock: «È davvero importante che i giovani non provino vergogna nell’avere anche nelle donne delle figure a cui aspirare, in particolare nel nostro genere di musica. Quando ero bambina avevo solo modelli maschili, oggi è bello vedere accadere il contrario».
L’intervista alle Last Dinner Party
Com’è stato il processo creativo di From the Pyre, considerando il successo del vostro album di debutto?
Abigail: Sentivamo un po’ di pressione. Penso che sia naturale provarne un po’, perché l’atmosfera e l’ambiente sono molto diversi quando scrivi il secondo album perché, a prescindere dal successo del debutto, sai che il nuovo progetto verrà paragonato al precedente. Con il primo disco credo che fossimo facilitate dal pensiero che qualsiasi cosa avessimo pubblicato avrebbe avuto un grande impatto e sarebbe stata accolta molto bene. Eravamo rassicurate dal fatto che le persone che già ci conoscevano per i nostri live fossero entusiaste e curiose di sapere cosa avremmo registrato in studio. Fortunatamente, mentre scrivevamo From the Pyre, siamo riuscite non preoccuparci troppo e a concentrarci su ciò che ci piaceva e volevamo esplorare. Alla fine, un po’ di pressione non fa così male.
Nel giro di un anno e mezzo siete passate dall’esibirvi al Windmill di Brixton, ai Brit Awards fino al palco di Glastonbury. Come rapporto avete con questa popolarità improvvisa?
Aurora: Penso che siamo ancora nella fase in cui essere grate è la prima cosa che ci viene spontanea. Sono davvero pochi gli artisti che riescono a ottenere opportunità come le nostre. Per il resto è un caos. Sì, conta lavorare duramente e sforzarsi, ma alla fine non puoi controllare né tantomeno prevedere quando succederà e se accadrà qualcosa. Al momento il nostro rapporto con il successo si basa sull’ambizione: “Quale è il nostro prossimo passo? Quale direzione conviene prendere?”. Vogliamo continuare a porci nuovi obiettivi, volare alto e puntare a essere headliner dei festival più importanti.
Nel 2024 avete cancellato diversi concerti e vi siete prese un periodo di pausa per prendervi cura della vostra salute mentale. È una cosa rara per una band in rampa di lancio.
Abigail: È un aspetto fondamentale, soprattutto per gli artisti giovani. È un peccato che spesso sia qualcosa che non viene affrontato fino a quando non diventa una crisi seria. Il punto è che non te ne rendi conto mai veramente finché non ci sei dentro. Anche se qualcuno ci avesse detto: “Non pensate che sia troppo? Perché non vi prendete una pausa?”, forse non l’avremmo fatto comunque. Quando sei agli inizi vuoi cogliere ogni opportunità e diventa difficile comprendere che se ti prendi una pausa non stai sacrificando la tua carriera, ma stai preservando il tuo benessere. E a noi è accaduto proprio questo. Non ci siamo mai prese del tempo libero e siamo arrivate letteralmente al giorno dello spettacolo che non riuscivamo a esibirci per la stanchezza e lo stress emotivo. In quel momento è stato inevitabile fermarsi.
E nel mezzo del tour, invece, come avete trovato il tempo di scrivere questo secondo album?
Abigail Morris: Non lo ricordo (ride, n.d.r.). Il nostro vantaggio è stato che alcune delle canzoni le avevamo già scritte durante la realizzazione del primo disco come Count the Ways, Sail Away e Second Best che è stato uno degli ultimi brani che abbiamo completato sul finire delle registrazioni del debutto. Da lì abbiamo continuato a lavorarci su, suonandola anche spesso dal vivo. Tanti altri pezzi però sono nati dopo, spesso nei momenti di pausa del tour. Per esempio, Inferno l’ho scritta durante le vacanze di Natale.
Aurora Nischevci: Sì, scrivere in tournée non è molto semplice. Col fatto che tutte noi sappiamo suonare la tastiera, nel pieno del tour pregavo sempre il nostro tour manager di prenotarci delle sale di registrazione con un pianoforte per lavorare alle nuove idee. Uno dei miei brani, I Hold Your Anger, l’ho scritta in quegli squarci di tempo. Ed è anche per questo che il piano è molto più presente in questo disco.
From the Pyre è più cupo rispetto al vostro album di debutto. Quanto è stato influenzato dal periodo attuale? Mi riferisco a brani come Rifle.
Aurora: È inevitabile che ciò che accade intorno a te influenzi la musica che scrivi. Lizzie (Mayland, n.d.r.) quando ha scritto Rifle ha immaginato il punto di vista di una madre che vede crescere suo figlio come un guerrafondaio. Credo che avesse in mente proprio il conflitto israelo-palestinese quando l’ha concepita e, in generale, tutti i potenti spaventosi del mondo e l’influenza che hanno. È un modo per empatizzare con i palestinesi e con chiunque abbia vissuto la guerra. Si è portati a essere tristi e terrorizzati in questo periodo storico, ma non bisogna rifuggire dal parlare di questi temi.
Allo stesso tempo penso che sia anche un disco più personale e, paradossalmente, universale.
Abigail: È quello che cerco di fare quando scrivo i testi delle mie canzoni. Non è una cosa del tutto intenzionale. Non è che mi siedo e decido: “Ok, adesso scrivo qualcosa di personale”. Mi viene naturale. Per me è molto importante quel sentimento universale di cui parli perché ho sempre la sensazione che le canzoni che mi toccano di più siano quelle che descrivono in modo molto specifico un’esperienza vissuta in prima persona.
Funzionano di più?
Abigail: Sì, trovo che più un testo è personale e di nicchia più, per qualche strano motivo, risulta universale. Lana Del Rey, Fiona Apple e Lorde sono alcune delle artiste più brave in questo. Descrivono eventi specifici, luoghi, momenti, avvenimenti davvero particolari che sono capitati loro. Sono convinta che se scrivi una canzone che parla in modo generico di tristezza o di una rottura, raggiungerà meno persone rispetto alla descrizione precisa di un episodio o di un’emozione che hai provato. Ci saranno di sicuro più persone che diranno di sentirsi esattamente così. Ed è questo che è emozionante dello scrivere canzoni: percepire di aver toccato l’anima di altra gente.
Sono curioso di sapere qualcosa su Woman Is a Tree. Si trova a metà della tracklist, come Gjuha nel vostro primo disco ed è in parte anch’essa a cappella.
Abigail: Woman is a Tree è una delle canzoni più vecchie del disco. Credo di averla scritta più o meno nello stesso periodo in cui ho scritto Burn Alive (un brano del primo album, n.d.r.), ma è rimasta per un po’ nel cassetto. Pensa che già la suonavamo quando ancora ci esercitavamo nella sala prove della Guildhall School. Per molto tempo non abbiamo trovato la dimensione giusta che alla fine è venuta da sé durante le registrazioni di From the Pyre.
Mi ha colpito una tua intervista in cui dicevi che non ti saresti mai aspettata di diventare un modello anche per i ragazzi. In che modo, secondo te, è cambiata la percezione delle rock band femminili negli ultimi anni?
Abigail: Molto se penso a quanto ci è accaduto negli ultimi anni. Ricordo che una volta, dopo un nostro set a un festival, a fine concerto un paio di ragazzi molto piccoli, avranno avuto più o meno tredici anni, sono venuti da noi e hanno chiesto i plettri a Lizzie ed Emily (Roberts, n.d.r.). È stato davvero meraviglioso vedere quel tipo di ammirazione e adorazione per un modello femminile da parte di un ragazzo. È davvero importante che i giovani non provino vergogna nell’avere anche nelle donne delle figure a cui aspirare, in particolare nella musica rock. Quando ero bambina avevo solo modelli maschili, il mio idolo era David Bowie. Vedere accadere il contrario è emozionante.
È anche indice di tempi che finalmente stanno cambiando.
Sì, penso che sia davvero positivo per i giovani uomini che sentano di avere uno spazio… aiuto, è complicato, mi sto addentrando in un argomento delicato della “manosfera” (ride, n.d.r.). Ritengo davvero importante trovare un modo per assistere i giovani prima che finiscano per sentirsi delusi e turbati e diventino il tipo di persone che compiono e dicono cose terribili. E penso che se fin da piccoli potessero essere liberi, senza essere vittime di bullismo o vergognarsi per aver idolatrato le donne e le persone queer in modo non sessuale, questo porterebbe ad avere uomini molto più sani. Non avremo questa epidemia di persone davvero insicure e arrabbiate e di uomini che odiano vedere le donne in posizioni di potere.
Le Last Dinner Party suoneranno dal vivo in Italia al Fabrique di Milano il prossimo 13 febbraio.