Lorenzza, Ghetto Cenerentola
Classe 2002, nata a Bahia ma cresciuta nella provincia toscana, di lei in questi mesi si è detto moltissimo, e in questa intervista si racconta in prima persona: dalla storia

GEN B è il nuovo format editoriale di Billboard Italia che vuole dare agli emergenti più interessanti in circolazione lo spazio che meritano. Una serie di cover digitali che approfondiscono a tutto tondo le next big thing della scena scelti direttamente dalla redazione, che ogni mese punterà su due artisti che hanno dimostrato di avere quel quid per fare il grande salto. La nuova protagonista è Lorenzza.

Foto: Pascal Bräuer
Creative director: Pierfrancesco Gallo
Stylist: Lorenzo Posocco
Ass. stylist: Gabriele Leggio
MUA: Nicole Melillo
Haistylist: Marica Abbascià
Producer: Nicholas Luca
Ass. prod.: Pietro Viganò
Ass. luci: Riccardo Flandina
La prima cosa che Lorenzza mi chiede quando arriva sul set per questa intervista è se le farò delle domande speciali. Lo dice con la spontaneità che verrà sempre più fuori durante i tantissimi scatti, quella di chi ha voglia di raccontarsi davvero (anche se, con le sue canzoni che offrono uno spaccato vivido e crudo sulla sua vita, lo fa già moltissimo) in prima persona. Dopo l’uscita del suo primo EP, A Lorenzza, in questi mesi di lei si è detto tantissimo, dalle accuse di essere un’industry plant alle insinuazioni sul fatto che non meritasse di occupare un determinato posto. Della sua musica, invece, molto meno.
A (quasi) nessuno sembrava importare che Lorenzza avesse effettivamente un talento nel rap, che i suoi testi portassero una prospettiva totalmente differente da tutto quello che avevamo ascoltato fino ad ora, raccontando un vissuto complicato e graffiato che le ha insegnato che “Dio non ti mette davanti a degli ostacoli se non sa che potrai superarli” e in cui le donne della famiglia – forti e fiere nonostante le difficoltà – sono state il suo più grande esempio, da quando è venuta al mondo a Bahia a quando con la sua mamma si è trasferita in Italia, in quella provincia in cui “ti educano a perdere”.
Eppure lei, che finalmente stava vivendo il suo sogno che nessuno poteva portarle via, ai commenti ha risposto a suo modo proprio con la cosa che chi la criticava aveva messo in secondo piano: le canzoni. A chi mi ha reso fredda, RJ con Gaia, La Distanza con Golden Years e Ariete e, soprattutto, In grado con Elodie, un brano che ci ricorda quanto la sorellanza sia fondamentale e che quando due donne con un passato così distante ma allo stesso tempo così simile si incontrano non possono fare altro che riconoscersi.
Stavolta però a parlare è lei, e mi bastano pochi minuti di conversazione per capire il perché della sua richiesta iniziale: per una vita speciale come la sua, infatti, servono domande speciali. Così premo play e lascio che sia Lorenzza a raccontare senza filtri una storia che parte da lontanissimo, da quando “sono nata in Brasile e ho sempre vissuto con la mia mamma che mi ha adottata ancora prima che nascessi. La vuoi sapere questa?”.
L’intervista a Lorenzza
Certo.
Nel paesino in cui sono nata non c’era assolutamente niente, nemmeno un ospedale. C’era però una scuola dove mia madre faceva la preside. Lei voleva avere un figlio ma non poteva rimanere incinta, così la voce ha iniziato a girare. In città c’era una senzatetto, poverissima, che era incinta e aveva già una bambina: un giorno mia mamma stava uscendo da scuola e questa donna la stava aspettando fuori. Le ha chiesto se volesse tenere il bambino che aveva in grembo. Mia mamma, incredula, le ha chiesto: “Ma sei sicura? Quando nasce poi sarà mia”. Lei ha risposto di sì, perché non aveva le possibilità per crescerlo.
Così, mia mamma ha accettato e quando sono nata ero già sua. Considera che non sapevano nemmeno il sesso del bambino. La donna diceva solo “il figlio che ho in grembo”, perché lì non c’erano ospedali, né ecografie, niente. Poi mia mamma l’ha accompagnata in un’altra città, da un medico, ma era ancora troppo presto per scoprirlo. Lo hanno scoperto solo quando sono nata.
E quella doppia z nel nome?
Prima ancora che nascessi, mia mamma aveva già deciso il nome: Lorenzo o, appunto, Lorenza. Una volta, mentre parlava con un’amica al mercato, le stava raccontando questa cosa. Dietro di lei c’era un signore che l’ha fermata e le ha detto: “Signora, quel numero di lettere porta sfortuna. Dovrebbe aggiungerne o toglierne una.” E mia mamma, che era un po’ superstiziosa, ha preso sul serio il consiglio. Non voleva togliere la “z”, perché sarebbe diventato Lorena, che non le piaceva, così ne ha aggiunta una: Lorenzza.
Quando sei arrivata in Italia?
Avevo 3 anni, anche se l’ultimo anno in Brasile l’ho fatto da sola, con un’amica di famiglia, perché mia mamma era partita prima per trovare lavoro e sistemarsi un po’. Sono venuta in Italia con mia zia.
È stato difficile?
Sì. Mi ricordo che ci sono rimasta male quando mia mamma è partita: dicevo che l’Italia mi aveva rubato la mamma e stavo davvero male. Però, una volta arrivata qui, mi sono trovata bene. Sono stata una bambina serena. In Brasile, tra l’altro, avevo iniziato a parlare e camminare prestissimo. Da quello che mi raccontano, il Brasile me lo vivevo già tutto. All’inizio in Italia non è stato semplice: eravamo sole, in un contesto tutto nuovo.
Hai più rivisto la tua mamma biologica?
Sì. Mia mamma me l’ha sempre detto che ero adottata, fin da piccola. Appena potevo capire, me l’ha spiegato. L’ho vista la prima volta che ero molto piccola, ma non capivo chi fosse davvero. Non realizzavo che fosse la mia madre biologica. Poi, nel 2019, siamo andati a casa sua a trovarla. Lì è stato forte. Appena mi ha vista, lei è scoppiata a piangere, mi ha chiesto scusa… e io le ho detto che non doveva chiedermi scusa. Ha fatto la cosa migliore che potesse per me, mi ha fatto solo del bene. Però è stato difficile, perché non sapevo come comportarmi. Per me mia madre è quella che mi ha cresciuta, e non volevo che lei si sentisse come se le avessero portato via un figlio o che fosse “di troppo”.
Ero un po’ in confusione ma è stato anche molto bello. Ci siamo abbracciate, ho pianto tanto. Ho visto anche le mie sorelle, le figlie della mia madre biologica. Una di loro ha chiamato sua figlia Lorena, anche un po’ per me. Lì ho conosciuto tutta la famiglia.
E lì cos’hai trovato?
Una situazione molto difficile. Mia sorella vende dolci, suo marito lavora in spiaggia, ma ha avuto un problema alla gamba e gliel’hanno amputata fino a metà coscia. Eppure lui continua a lavorare così. Vivono in condizioni veramente difficili. Dopo quel viaggio, io e la mia mamma abbiamo messo via dei soldi e rifatto la casa di mia sorella. Tutto questo mi ha aperto gli occhi. Sono davvero grata a mia madre adottiva che me l’ha sempre detto, che mi ha fatto conoscere tutto questo e me lo ha fatto toccare con mano.
Credi che tutto questo ti abbia fatto crescere più in fretta?
Penso proprio di sì. Anche il fatto di non avere un padre… In certi momenti mi è pesato. Però non sono mai stata “presa male” per la mia storia, non mi sono mai sentita inferiore a nessuno. Credo però che chi cresce con entrambi i genitori ha una vita diversa, più “bella” sotto certi aspetti. Io ho avuto una consapevolezza diversa, forse più grande.
Ti sei mai sentita diversa?
Da piccola sì, anche se sono sempre stata una tipa socievole. Più che altro alle elementari, alle medie, sentivo di più la differenza economica. Magari gli altri vestivano alla moda, facevano cose che io non potevo permettermi. Ma lo capivo: mia madre era l’unica che portava i soldi a casa, c’erano altre priorità. Mi sono sentita un po’ esclusa forse, però crescendo ho capito che dovevo essere orgogliosa di chi sono e da dove vengo. Io conosco ragazzi brasiliani che rinnegano le loro origini. È brutto da vedere. Crescendo, ho capito che la mia storia è la cosa più importante, non quello che ho.
Quando hai annunciato A Lorenzza su Instagram, hai postato una foto scattata in Brasile. Mi ha colpito molto perché eravate tutte donne, a parte qualche bambino. Il rap ha sempre raccontato le madri, ma con uno sguardo maschile. Invece tu porti un punto di vista fortemente matriarcale, dove gli uomini sembrano aver portato più sofferenza che altro…
Nella mia vita ho avuto solo esempi di donne. Mia madre ad esempio non ha mai avuto un uomo al suo fianco dopo di me. Lei non ha nessuno da tanti anni e non ne ha bisogno. Vederla forte, indipendente, è stato un esempio potentissimo. Nella mia famiglia ci sono tante donne forti, che comandano, che tengono in piedi tutto. È un punto di vista che va raccontato, perché il rap è pieno di voci maschili che raccontano le loro realtà. Ma anche loro, alla fine, si ritrovano in quello che dico. Magari non lo dicono apertamente, ma lo sentono.
Nel pezzo con Elodie parli proprio di questo.
Quella canzone è molto importante per me. Quando l’ho incontrata, mi ha dato un sacco di consigli, ho avuto proprio la sensazione di una sorella più grande. Mi ha contattata dopo aver sentito una mia canzone e mi ha detto: “Spacchi, sei cattiva.” Mi ha fatto piacere che mi abbia dato uno spazio così per raccontare quello che provavo.
E la tua mamma come l’ha presa?
Ha pianto tantissimo. Non volevo mandargliela subito, perché appena le arriva qualcosa la gira a tutta la famiglia!
I pezzi con cui ti sei fatta conoscere su Instagram erano tutti delle dediche a qualcuno.
Tutto è partito da una dedica a me stessa. Tutto quello che mi è successo mi ha formato. Anche le cose tristi servono e vanno omaggiate: senza certe delusioni, non avrei scritto alcune canzoni. Senza l’assenza di un padre, magari non avrei avuto certe parole. Ogni pezzo è una piccola lettera. Ma la prima era per me, per ricordarmi che io sono il centro. A un certo punto stavo perdendo questo equilibrio. Mi stavo dimenticando di stare bene, di pensare a me stessa.
C’è stato uno switch?
Sì. Io facevo musica già dal 2019, ma ho iniziato a crederci davvero nel momento in cui qualcun altro ha iniziato a credere in me. Quella fiducia mi ha cambiata. Mi ha svegliata. Ho iniziato a pensare al tempo, a non rimandare. Prima dicevo: “Lo farò”. Invece adesso capisco che o lo fai adesso, o non lo fai mai. Anche nell’amore ho imparato a mettermi al centro. Ho capito che devo contare io, perché se dai tutto a una persona e poi se ne va, tu ti senti niente. Ed è quello che mi stava succedendo.
Non è stato però tutto semplice: come hai vissuto quello che è successo dopo l’uscita del tuo EP?
Sai cosa? Prima di pubblicare pensavo che se mi fosse successa una roba del genere me la sarei vissuta malissimo, in realtà non è stato così. Certo, mi sarebbe piaciuto che tutto andasse più serenamente, ma fa parte del percorso. Credo che Dio non ti metta davanti a ostacoli se non sa che puoi superarli. Come tutte le difficoltà che ho vissuto nella mia vita, anche questa mi farà uscire più forte, mi farà crescere.
Penso che tutto sia successo per farmi dire “Pensavi fosse facile? Beh, non lo è”. Mi fa venire ancora più voglia di rimboccarmi le maniche, far vedere quella che sono, perché io so che tutta questa roba arriva dalla frustrazione. Se vai a vedere, la persona che ti odia è il rapper mancato, il suo amico, persone che vorrebbero fare quello che stai facendo. Io potrei rispondere e mettermi a litigare, ma non voglio alimentare odio. Non sono qui per essere famosa, sono qui per lasciare qualcosa.
Chi è stata la prima persona a credere veramente in te?
Mia mamma. Anche quando ero piccolina e scrivevo i primi testi, lei mi diceva: “Se ti piace questa cosa, ti aiuto a pagare il video.” Non ho mai voluto toglierle quei soldi, ma il fatto che ci fosse per me, sempre, non è scontato. Soprattutto in una famiglia con delle difficoltà. Sono grata a mia mamma per questo, perché mi ha sempre detto che avrebbe fatto di tutto per supportare il mio sogno.
Quando hai deciso che la musica era ciò che volevi fare davvero?
Avevo iniziato a pubblicare qualcosa nel 2019, nel 2020, ma poi ho dovuto lavorare, andare a scuola, e la musica è passata in secondo piano. Poi un giorno il mio attuale manager mi ha scritto: “Ho sentito la tua musica, tu spacchi. Ti va di conoscerci?”. Lì ho capito che forse davvero ce la potevo fare, non potevo credere che stesse succedendo proprio a me. Mi si è aperto un mondo. Mi sono detta “se questa persona ha visto qualcosa in me, allora qualcosa ce l’ho davvero”. Prima mi vergognavo di far sentire i testi in cui mi aprivo perché erano una cosa troppo intima, e non volevo che le persone sapessero che provavo certe cose. Poi ho capito che la musica è condivisione, e ho deciso di farlo sul serio.
Quali artisti ti hanno ispirata di più?
Marracash, sicuramente. È uno che nei testi si apre, scrive quello che prova senza vergogna a differenza di tanti rapper maschi che si vergognano di provare sentimenti veri. Anche Ernia mi ha ispirata molto, per lo stesso motivo, e Nayt. Poi fuori dall’Italia direi Drake, che è capace di metterci sempre cuore. Mi piace chi riesce a farmi sentire qualcosa. La mia musica preferita è quella che mi parla davvero.
Con la tua musica vorresti fare lo stesso?
Assolutamente. Al MI AMI, quando ho visto tutte quelle ragazze sotto il palco che cantavano i miei testi, mi sono emozionata. Una di loro cantava a memoria un brano molto personale, veramente di cuore. Mi ha toccata molto. Dare voce a certi sentimenti per me e raccontare cose in cui anche altri si possono rivedere è la cosa più bella.
Nayt è anche in A Lorenzza.
Lui è stato come un fratello. Quando c’è stata tutta quella polemica e mi stavano tartassando, mi ha mandato un messaggio che mi ha fatto piangere. Mi ha detto di restare forte, di non farmi abbattere, ma di capire perché la gente dice certe cose e vedere le cose con una nuova prospettiva e di mostrare alle persone perché mi merito ciò a cui sto ambendo. Quando ci siamo conosciuti mi ha detto un sacco di cose che mi hanno fatto ragionare, tra cui “faccio questo feat con te perché rappresenti delle persone. E chi rappresenta le persone non smetterà mai di parlare.” È stato bellissimo.
Ti ricordi il tuo primo live?
Sì! Era al MI AMI lo scorso anno, anche se forse il primo vero “live” è stato fuori da scuola, una cosa piccola. Ricordo che mi vergognavo tantissimo. Sapevo solo rappare, non sapevo camminare sul palco, dove guardare. Guardavo per terra, tremavo. Solo verso la fine mi sono sbloccata. Appena scesa ho detto: “Lo voglio rifare, ma meglio.” E da lì ho capito che era quello che volevo fare davvero.
La cosa che mi colpisce molto di te è che hai da una parte un lato molto crudo, vissuto, dall’altro invece sei molto genuina. Si vede che sei ancora molto giovane ed è bello che sia così.
E spero di non perderla mai questa cosa. Hanno provato a cambiarmi: l’amore, le persone che avevo accanto… Ma io sono fatta così e sono contenta di come sono. Mi piace far star bene gli altri, perché quando stanno bene loro, sto bene anch’io.
C’è un brano dell’EP a cui sei particolarmente legata?
Se la giocano Ricordi e Crescere. In alcuni pezzi parlo anche delle mie amiche, di momenti vissuti insieme. Mi piacerebbe, in futuro, raccontare storie che non sono solo mie. Dare voce anche ad altri. Vorrei che la mia voce possa aiutare chi non riesce a farsi sentire.
Stai lavorando a nuova musica?
Sì, ho già pronto un nuovo EP. Adesso voglio pubblicare qualche singolo, tornare a spingere e non fermarmi più.