Il favoloso mondo di soap
Vent’anni e tante sfumature da raccontare, Sophie - tra i tre artisti scelti per Amazon Music Breakthrough 2025 - mescola italiano e francese per dipingere se stessa e ciò che

GEN B è il nuovo format editoriale di Billboard Italia che vuole dare agli emergenti più interessanti in circolazione lo spazio che meritano. Una serie di cover digitali che approfondiscono a tutto tondo le next big thing della scena scelti direttamente dalla redazione, che ogni mese punterà su due artisti che hanno dimostrato di avere quel quid per fare il grande salto. La nuova protagonista è soap, uno degli artisti scelti per il programma Amazon Music Breakthrough 2025, il programma di Amazon Music giunto al suo quinto anno che supporta gli emergenti con una curatela editoriale strategica, campagne di marketing e progetti speciali, tra cui la possibilità di registrare un Amazon Music Original.

Foto: Simone Biavati
Creative director: Piefrancesco Gallo
Props: Thala Belloni
Vedendo posare Sophie per uno dei suoi primissimi shooting, chiacchierare con lei del passato e dei testi personali, hai l’impressione che il titolo del suo EP di debutto sia sbagliato. Ma quale Pas Facile, ogni cosa che fa sembra semplice e naturale, come il modo in cui passa dall’italiano al francese tra il ritornello e la strofa delle sue canzoni. Quando ha scelto il suo nome d’arte, soap, la giovanissima cantautrice classe 2005 voleva qualcosa che non si distanziasse troppo dal suo vero io. Che già basta la distanza fisica, quella dalla famiglia e da Latina, città di amore e di odio, di Tiziano Ferro e di Calcutta. Ecco questo, come canta nei suoi brani e come ci spiega durante la nostra intervista, è forse l’aspetto più complicato di tutta la faccenda.
soap nasce un anno fa, quando Sophie si trasferisce dal Lazio in Sicilia, precisamente a Catania, dove inizia a fare musica sul serio. Nel bagaglio il suo ampio ventaglio culturale italo-franco-berbero e le canzoni di Stromae ascoltate in auto con sua madre. Poi un percorso di scrittura e sperimentazione, che promette non si fermerà mai, che l’ha portata a Milano: una città di alti e bassi, di momenti di grande ispirazione alternati ad attimi di solitudine da combattere per non rinchiudersi in se stessi.
L’EP Pas Facile è solo un punto di partenza per soap e, sebbene sia immediato e piacevole fin dal primo ascolto, non è un mini-album facile. Al massimo lo sembra, appunto. Nelle otto tracce si parla anche di sesso e c’è persino un triangolo, ma la superficie va scalfita per comprendere che alla base c’è solo un puro bisogno d’amore. La famiglia coni suoi affetti e la paura della solitudine sono il leitmotiv, talvolta esplicito, altre lasciato sullo sfondo, di brani eleganti che fondono urban, pop e sonorità lontane. Lei ce li descrive come delle pagine di diario in cui Sophie e soap si avvicinano, si sfiorano fino quasi a fondersi in un’unica anima.
L’intervista a soap
Chi è Sophie e chi è soap?
Sono due lati molto simili della mia personalità. Sophie magari è timida e riservata, mentre quando sono sul palco come soap parlo di più e sono costretta a essere estroversa. In generale però molte cose combaciano, soprattutto a livello di carattere e sensibilità. Anche per questo motivo il nome d’arte che ho scelto è il diminutivo di quello reale. Non volevo che fosse qualcosa di totalmente diverso dalla mia persona.
Il primo ricordo di quando hai iniziato a fare musica?
Io a sette anni, piccolissima, con la chitarra mentre canto L’isola che non c’è di Edoardo Bennato. Quella è stata la prima canzone, insieme a Knockin’ on Heaven’s Door di Bob Dylan, che ho imparato a suonare. Se invece dovessi considerare il primo ricordo a livello professionale, ti direi il giorno in cui mi sono trasferita a Catania per firmare con la prima etichetta. Anche perché lì in Sicilia ho conosciuto il mio management.
Possiamo dire che in quel momento è nata soap?
Diciamo che era già nata a Latina, ma a Catania si è evoluta definitivamente.
In Occhi viola (seule) canti «A parte Tiziano Ferro e Calcutta, nessuno di Latina se va per fare musica». Tu sei andata controcorrente. Che rapporto hai adesso con la città?
È una relazione a distanza, un po’ amore e odio. Le voglio bene perché è la mia città e rappresenta le mie origini, ma allo stesso tempo era troppo stretta per me. Per questo l’ho lasciata così presto, a diciott’anni, per trasferirmi in Sicilia. Oggi mi mancano più che altro gli affetti che vivono ancora lì, la mia famiglia e gli amici. Le voglio bene da lontano (ride n.d.r.).
E adesso che ti sei trasferita a Milano come va? Oggi sembra che stia prendendo piede tra gli artisti la tendenza a rifugiarsi in provincia per trovare più ispirazione.
Questa cosa è incredibile, sai? Inizio a sentire anch’io in parte questa sensazione. Appena mi sono trasferita a Milano, nei primi due mesi ho scritto un sacco di pezzi, sono proprio impazzita. Ero piena di energia. Poi a un certo punto ti passa e quella novità iniziale diventa normalità. È lo stesso effetto di quando ti prendi una cotta per qualcuno: lo idealizzi e fai love bombing. Quindi poi per ritrovare quella scintilla ti serve allontanarti.
Secondo me una causa è anche questo “milanocentrismo” musicale.
Sì, il fatto che la musica sia molto milanocentrica alla fine rischia di intossicarti. Dove ti giri trovi musica e party. All’inizio è bellissimo e ti senti parte di qualcosa. Rispetto a Catania, dove c’erano poche realtà, qui a Milano vivi realmente in mezzo agli artisti e a stretto contatto con loro. Dopo un po’ questa cosa inizi a sentirla e senti il bisogno di vivere cose “normali” e passare del tempo con persone comuni, come può esserlo un’amica che fa la barista.
Nel brano più autobiografico di Pas facile, Nasci (jumelles), dici «Finito scuola presto / Perché un po’ mi limitava». Che cos’era che ti faceva sentire così?
L’ambiente scolastico in generale. Non mi stava molto bene addosso e non riuscivo a farmelo andare giù. Io sono una persona a cui la cultura piace molto, odio l’ignoranza e credo che sia un grande limite. Però il lato accademico, il mettersi lì e studiare perché devi farlo, non mi stava molto bene addosso e non riuscivo a farmelo andare giù. Infatti, dopo essermi diplomata, ho scelto di non proseguire gli studi con l’università. Penso che mi avrebbe limitato anche nella musica.
E il tuo approccio alla scrittura com’è?
Molto istintivo.Qualche volta parte tutto dalla musica in studio con i produttori. Loro mi aiutano nella parte pratica a livello di suono e io invece mi occupo del lato teorico con la melodia e i giri. Nel frattempo che nasce la melodia io magari inizio ad abbozzare qualcosa di scritto. Spesso scrivo i testi facendo andare la melodia in loop, in modo tale da entrare proprio nel mood.
In questo EP, ancora di più rispetto al passato, hai mescolato francese e italiano anche nei titoli. Come sfrutti le due lingue? Usare l’una piuttosto che l’altra assume un significato per te o è solo un modo per mostrare i tuoi due lati culturali?
Potrei direi che valgono entrambe le cose, ma se dovessi dare un peso maggiore a una delle due direi che è più un’esigenza di raccontare i miei pensieri nel modo in cui mi vengono in mente. Quando penso lo faccio sia in francese che in italiano e quando mi trovo a scrivere ci sono determinati argomenti che mi escono in una lingua o nell’altra. Sarei capace di tradurli ovviamente però per me sarebbe come rovinarne un po’ la magia.
Il concept di Pas Facile, che parla di famiglia, amore sentimentale e carnale e soprattutto solitudine, la causa di tutto, è stato anch’esso istintivo o più ragionato?
È stata una cosa spontanea, ma non immediata. In questo primo EP volevo parlare di me e di tutte quelle tematiche che fanno parte della mia vita. Mi sono presa un annodi pausa per capire bene il modo in cui volessi parlare di determinate cose e anche le sonorità più giuste per farlo. Il fatto poi di essermi trasferita a Milano a novembre ha enfatizzato alcuni aspetti. Hai citato la solitudine. Per esempio, Deserto (personne) è un pezzo che aveva strofe diverse, scritte un anno fa e che ho ripreso e rielaborato una volta trasferita. Milano sicuramente mi ha ispirato, oltre al fatto che è una città molto grigia, è inevitabile che mi faccia sentire la mancanza della mia famiglia.
A tal proposito mi ha colpito un verso di Capirò: «Il bisogno d’amore viene dalla famiglia e quasi mai dagli amici».
Per me l’appagamento affettivo deriva soprattutto dalla famiglia. Il bisogno d’amore della famiglia viene prima di tutto, anche degli amici. Se dovessi pensare alle mancanze che ho in questo momento della mia vita, o che ho avuto negli ultimi anni, direi che è mancanza d’amore da parte della mia famiglia. Non perché non me l’hanno dimostrato, ma perché me ne sono andata di casa presto e quindi me lo sono perso. Parlo per me ma, in realtà, dai messaggi che mi sono arrivati da varie persone dopo aver ascoltato il brano, è una sensazione in cui si ritrovano in tanti.
In Amélie invece parli di amore traendo spunto da una relazione vissuta sulla tua pelle. L’hai scritta come forma di terapia per superare il momento?
Non lo so, o perlomeno non l’ho fatto consapevolmente. Amélie nasce una situazione in cui ho deciso io stessa di ritrovarmi ed è una canzone che non parla prettamente d’amore. Mi sono soffermata su altro e ho tentato di esorcizzare tutta quella storia guardandola dall’esterno. L’averla scritta in terza persona mi ha reso in grado di raccontarla e mi ha permesso di vedere aspetti che, essendo coinvolta, nel mezzo, non ero capace di cogliere. Quindi sì, di sicuro mi ha aiutato a razionalizzare il tutto.
Hai definito Amélie un anthem LGBTQIA+. A tal proposito, qualche settimana fa, intervistando il frontman dei Model/Actriz (che saranno al C2C), è venuta fuori una sua considerazione: negli Stati Uniti il mercato musicale è molto più aperto nei confronti delle artiste piuttosto che degli artisti gay. Tu in Italia come la vedi?
Per me nel nostro Paese vale l’esatto contrario. Da noi le donne sono meno a prescindere, figuriamoci quelle gay. Poi c’è proprio un atteggiamento diverso. Spesso un artista gay è noto per essere appunto un artista. Quando si tratta di donne si tende a fare il procedimento opposto, diventi la “cantante gay”.
La solitudine ti fa paura?
Fino a qualche tempo fa credevo di no, sono sempre stata una persona piuttosto solitaria, però a volte mi capita. Non è tanto il fatto di rimanere da sola, quanto il timore di cadere vittima di qualche mio schema mentale che mi inganna. La paura di quale potrebbe diventare il mio stato d’animo. Il fatto di distrarmi e avere persone accanto me lo impedisce. Ogni tanto devo cercare di uscire dalla gabbia che mi costruisco altrimenti ne sarei devastata.
Per questo Pas Facile?
Sì perché per me, che non sono stata mai il tipo di persona che si apre tanto, essere riuscita a fare un EP in cui mi parlo di me come in un diario segreto non è stato facile. Sono dovuta uscire dalla gabbia e mettermi in gioco interagendo con tante nuove persone.