Interviste

Visino Bianco porta il peso di essere un artista vero

Classe 2001, il rapper di Cinisello Balsamo a luglio si è insinuato definitivamente nella scena come una crepa in un muro con il suo EP, "PORTANDO IL PESO"

Visino Bianco porta il peso di essere un artista vero
Autore Greta Valicenti
  • IlOttobre 2, 2025

GEN B è il nuovo format editoriale di Billboard Italia che vuole dare agli emergenti più interessanti in circolazione lo spazio che meritano. Una serie di cover digitali che approfondiscono a tutto tondo le next big thing della scena scelti direttamente dalla redazione, che ogni mese punterà su due artisti che hanno dimostrato di avere quel quid per fare il grande salto. Il nuovo protagonista è Visino Bianco.

visino bianco
Visino Bianco
Foto: Alessio Mariano
Creative Director: Alessio Mariano
Stylist: Carlo Scardigno, Elisa Erario
MUA: Rossella Pastore
Set designer: Thala Belloni

«Forse sono io stesso: non lo porterei se non ragionassi come ragiono, se non vivessi le cose come le vivo». Quando durante la nostra intervista chiedo a Visino Bianco qual è il peso che più di tutti sente di portare, la risposta non è immediata. Matteo riflette, si prende il suo tempo per dare – appunto – un peso alle sue parole, vuole ragionare a voce alta e dissezionare i pensieri come fa chi vuole conoscersi davvero, anche nei lati più oscuri. Lo fa molto durante la nostra intervista, e ancora di più nella sua musica: poco immediata, molto disturbante, incredibilmente reale.

Classe 2001 da Cinisello Balsamo, a luglio si è insinuato definitivamente nella scena come una crepa in un muro con il suo EP, PORTANDO IL PESO, un piccolo diamante grezzo e sporco che graffia chiunque lo tocchi e in cui c’è tutto: droghe, paranoie, nichilismo, fotta e tristezza. In una parola: vita. Per dirla invece come i Dogo nel 2003, “un fottuto virus entrato nel sistema”. Nelle otto tracce, infatti, Visino Bianco non fa sconti a nessuno: a chi lo ascolta – «per me è fondamentale scaturire qualcosa, anche del disgusto se necessario» – e soprattutto a se stesso, mettendo sul piatto le sue stesse viscere insanguinate e riconoscendo al dolore una condizione necessaria per sentire e sentirsi senza mentire, perché «se mentre scrivo sento di ingannare me stesso, allora sto sbagliando».

Se sul suo rapporto con la serenità – «uno stato in cui vado in crisi» – Matteo sta ancora lavorando – «sto cercando di capire come funziona, o forse non lo capirà mai davvero», ciò che ha smesso di cercare di comprendere è cosa voglia dire essere un artista vero. Chissà se perché sembra uno status irraggiungibile o perché, a volte, quello che cerchiamo ossessivamente è semplicemente ciò che siamo davvero.

L’intervista a Visino Bianco

Come ti sei approcciato al rap?
Ho iniziato col freestyle. Mio zio ascoltava tanto rap italiano, quello più mainstream, e da lì mi ci sono avvicinato, iniziando pian piano anche io a farlo come un matto. Prima con gli amici, a casa, poi in piazza, soprattutto la sera. Stavamo fuori e improvvisavamo. Ho partecipato anche a qualche contest, ma non mi ci trovavo troppo. La scrittura vera e propria è arrivata più avanti, nel 2020, e da lì ho capito che il mio mondo veniva fuori molto di più rispetto che col freestyle. Quando scrivi un brano lo fai con l’idea di lasciare un messaggio diverso: non solo solo punchline.

Il tuo modo di scrivere però mantiene quell’istinto e quell’urgenza da flusso di coscienza. È ricercato ma anche molto di pancia.
È esattamente questo. Mi piace trasmettere le cose che vivo in maniera dettagliata, anche magari non arrivando a tutti subito. Se devo dire che sono innamorato di una ragazza lo faccio dicendo tredici cose diverse che ti fanno capire il messaggio. Questo è sicuramente un retaggio del tipo di hip hop italiano da cui vengo.

Mi viene da dire che la tua scrittura è anche piuttosto visiva. Se ascolto un tuo pezzo mi viene naturale associare delle immagini, delle situazioni reali.
Credo sia perché scrivo molto di cose che vivo e vedo davvero: la realtà è la mia ispirazione più grande. Quattro dentro al bagno ad esempio è il racconto dell’escalation di una serata da quando esco di casa col mio amico a quando ci torno. 

Visino Bianco, foto di Alessio Mariano

Chi è stata la figura più importante per te nel rap italiano?
Marracash è sicuramente l’artista che più mi ha segnato a livello umano. Quando scrive riesce a trasmettere la visione del suo mondo che va oltre la barra figa. Ecco, i rapper che mi piacciono sono quelli che riescono a lasciare il proprio punto di vista sulla realtà e che mi fanno dire “cazzo, lui la pensa come me”, oppure “non l’avevo mai vista così”.

Per te è importante essere un artista di rottura? Penso anche al modo in cui parli del rapporto con le sostanze che è molto crudo, vivido. 
Essere una crepa nel mercato secondo me è una condizione necessaria per restare. Per me è bello che ci sia anche una variante, un qualcosa che arrivi e spazzi via un po’ tutto. Se poi in un brano in cui parli di droga parli solo di cose belle, è perché non la conosci. Le sostanze sono come le relazioni: c’è il bene ma c’è anche il male, e raccontare solo una delle due facce è una bugia. Io parlo di questa cosa in modo spontaneo, ma non voglio esaltare nulla, giusto o meno che sia. In un brano che uscirà parlo proprio delle persone che cercano un sollievo e un’illusione di felicità nelle cose sbagliate, che possono essere le sostanze o il rischio. Se parlo in modo crudo è perché una cosa lo è.

Visino Bianco, foto di Alessio Mariano

È tutto autobiografico?
Quando scrivo parlo sempre di me e della mia vita, anche di cose che magari non vivo in prima persona. Le sostanze fanno parte del mondo in cui viviamo, sono facilissime da trovare, e se devi parlarne devi farlo in maniera vera, anche magari per far dire “che schifo” a chi ti ascolta. Bella la serata, ma poi il giorno dopo ti risvegli e come stai? Oltre alle luci i pittori dipingono anche le ombre, e quella è la verità che per me è alla base di tutto. Quando mi guardo dentro voglio scrivere qualcosa che poi penso sia vero. Non vero in modo assoluto, ma vero per me. Se mentre scrivo sento di mentire a me stesso, allora sto sbagliando. 

Che adolescenza hai avuto a Cinisello?
Cinisello è il classico contesto di periferia di Milano. Io son cresciuto in mezzo a compagnie giganti in cui si vedono tante situazioni diverse. C’è l’amico che sta bene e quello che ha un botto di problemi. La differenza sta in come tu ti poni rispetto a quello: puoi usarlo come una forza oppure ti può fregare. È facile incappare in certe cose. Io sono sempre rimasto molto osservatore. Non penso di avere un ruolo preciso nella periferia: sono sempre stato in diversi contesti e da quello ho cercato sempre di tirar fuori qualcosa di interessante, di vero.

Senti che adesso un po’ di rapporti sono cambiati?
Ti dico la verità, per via di cose che sono successe nella mia vita sono cambiati anche prima di adesso che le cose stanno iniziando a funzionare nella musica. Sono stato per tanto tempo con una ragazza e c’è stato un tradimento con un mio amico: quella cosa mi ha fatto staccare da quella situazione, perché ho capito che era malsana e non mi permetteva di essere veramente me stesso.

Foto di Alessio Mariano

Nei tuoi testi si percepisce spesso una voglia di fuga dall’anestesia delle emozioni, anche a costo di stare male pur di sentire qualcosa. Per te è una condizione necessaria per scrivere?
Secondo me è necessario stare male per vivere. Nello spettro delle emozioni – così come nella vita, nelle droghe e nelle relazioni – non si può rinnegare una parte o l’altra. Per questo io dico “se mi sento male, io mi sento, e questo è già abbastanza”. Per me il problema è quando non sento, non quando sto male. È lì che vado in crisi. Ci sono periodi dove mi sento meno responsivo alle emozioni, e periodi invece dove le sento molto più forti. La mia paura più grande è crescere e sentire sempre meno, ed è una cosa a cui penso spesso.

Non hai un buon rapporto con la serenità quindi…
Quando sono in quello stato vado in crisi. Ho studiato psicologia, e per me la terapia è una cosa super funzionale: in questo mondo è difficile fermarsi, prendersi del tempo da soli per ragionare, e avere del tempo per parlare con qualcuno è fondamentale. Sto ancora cercando di capire come funziona questa cosa. Magari poi non lo capirò mai davvero, ma al momento questo è ciò che sento e di cui ho bisogno.

Beh, hai scelto un lavoro in cui di tempo ne avrai sempre meno e in cui – qualora le cose dovessero continuare ad andare bene – tutto sarà sempre più veloce. Questa cosa ti spaventa o ti mette addosso adrenalina?
Io sono sempre carico per le cose. È dura che dica “minchia, che sbatti”, e tenermi in moto è una cosa che mi aiuta anche a gestire la mia essenza. L’unica paura che ho è non avere spazio per ragionare su quello che succede e andare avanti senza fermarmi mai. La musica è fondamentale, però il fulcro è sempre vivere. Se mi renderò conto che per un po’ non riuscirò a fare questa cosa, vorrà dire che c’è qualcosa che sto sbagliando.

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Foto di Alessio Mariano

La scrittura arriva nel momento in cui hai già metabolizzato una certa situazione o ti serve come terapia per esorcizzarla?
Dipende. A volte racconto cose che ho metabolizzato, altre volte sono più sfoghi. Mi rifaccio tanto a situazioni del passato che ho capito, ed è lì che forse scrivo in maniera un po’ più saggia, un po’ più matura. Mentre nei brani in cui parlo di situazioni attuali, la scrittura è molto più “schizzo”. Penso però siano due cose fondamentali: ci sono cose scritte di getto importantissime, e cose che maturi col tempo altrettanto importanti. Mi piace avere questa ambivalenza.

E invece il passaggio da Astroboy Darko a Visino Bianco?
Astroboy Darko nasce perché volevo portare nella musica questo trip iniziale di suddividere me e il personaggio. Astro è la parte pulita, serena; Darko invece è la parte più cupa e più triste. Nel primo EP si sente molto questo gioco. Il cambio del nome è arrivato in modo spontaneo. Astroboy Darko mi sembrava il personaggio che volevo fare, mentre Visino Bianco ero io. La mattina andavo a lavoro sempre pallido, sembrava dovessi sempre svenire da un momento all’altro.

Visino Bianco, foto di Alessio Mariano

È cambiato anche il tuo modo di fare musica?
Adesso c’è più rabbia, lo sento anche nella mia voce che a volte è stridula, quasi dà fastidio. E infatti non a tutti piace questa cosa. Quando registro con quella voce riesco a rappresentare esattamente come voglio quello che dico.

La musica disturbante alla fine è quella che nel bene o nel male ti lascia qualcosa.
La musica dovrebbe sempre darti qualcosa, che sia “questa roba mi piace tantissimo”, oppure “oddio, mi sta facendo fare delle domande su di me, su quanto sto bene, quanto sto male”. Io ci tengo tanto a questo. È fondamentale scaturire qualcosa nell’ascoltatore, anche del disgusto se necessario. Le cose che ci turbano, alla fine, sono quelle che ci fanno pensare. Ecco, io vorrei fare con chi mi ascolta quello che hanno fatto con me gli artisti che ho amato. Se riesco a lasciare qualcosa che va oltre la barra, è lì che arrivo a una persona, e questa per me è la gratificazione più grande. Quando qualcuno mi dice “in un periodo così, mi hai fatto sentire questa cosa, mi hai fatto ragionare su quest’altra cosa”, sento che nel mio piccolo sto tramandando qualcosa.

Cos’è che ti fa più rabbia adesso rispetto a prima?
È una domanda che mi faccio spesso anche io e che sto cercando di sviscerare. È un periodo in cui vivo dei momenti di rabbia diversa da prima. Forse la cosa che mi fa più incazzare sono le persone che non hanno un cuore, o quelle che lo hanno e non lo usano. In COME?COSA? parlo proprio di questo. In una barra dico proprio: “La tua gente è triste, pensa che il sole sia un filtro, che il cuore sia una ciste”.

Stai ancora cercando di capire cosa voglia dire essere un artista vero?
No, ma solo perché penso che non lo capirò mai. Per me la cosa importante è mettere il cuore e far arrivare qualcosa. C’è tanta plastica in giro e la gente se ne accorge. Si sta stufando di questa finzione, delle bugie e dell’ipocrisia. Io credo che arrivare davvero significhi creare un legame umano. Non so cosa sia un artista vero, ma sicuramente un artista che piace a me è uno che ti tocca le corde giuste.

Qual è il pezzo più importante per te?
Sicuramente Portando il peso perché è quello in cui mi sviscero di più e in cui parlo di cose importanti della mia vita, ma anche Cabrio. Ecco, prima parlavamo di scrivere rispetto a cose metabolizzate o di getto. Cabio è getto, mentre Portando il peso è un insieme di fatti, vicende, cose successe nella vita, idee che ho compreso e messo insieme.

E qual è il peso più grande che senti di portare?
Bella domanda… Non so se ne riconosco uno più degli altri. Sicuramente ci sono tante cose… Forse il peso più grande che mi porto sono io stesso: non lo porterei se non ragionassi come ragiono. Che poi è anche il bello e il brutto della vita: è un peso ma non è detto che portarlo sia una cosa negativa. Effettivamente, se non vivessi le cose nel modo in cui le vivo, probabilmente eviterei un po’ di sofferenza, ma anche tante cose belle. Questo modo di pensare mi fa sentire vivo, anche se il rischio è sentirsi un po’ escluso dalla società.

Visino Bianco, foto di Alessio Mariano

A te succede?
Sicuramente, a volte, mi rende più difficile essere capito. Ma penso che ognuno abbia le sue persone: quelle che scelgo di tenere vicine vicine spesso sono simili a me, però mi rendo conto che rapportarmi con altri a volte è difficile. Forse più che escluso, mi fa paura, perché non so se le persone danno il peso che do io a certe cose e questo mi fa sentire a disagio. In questi giorni parlavamo del fare musica per un bene.

Io sono uno che, con tutti i miei peccati e difetti, se faccio del bene a una persona o le dedico qualcosa, un po’ mi aspetto lo stesso. E se non mi arriva, ci rimango male, e penso che forse, per togliermi un po’ di peso, dovrei aspettarmi meno e ricordarmi che anche se tutto attorno a me scompare, io sono l’unica costante della mia vita. Questo mi fa paura, perché magari non mi fa vivere le cose come dovrei.

Beh, a suo modo è comunque una forma di protezione.
Vediamo però a cosa porterà. Te lo dico alla prossima intervista.

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