Interviste

Il nomadismo sonoro di Federico Mecozzi, dai tour con Einaudi alle contaminazioni di “Inwards”

Il musicista e compositore riminese pubblica oggi il secondo album solista, dove le ispirazioni classiche incontrano i suoni del mondo e l’elettronica. In partenza domani il tour

Autore Federico Durante
  • Il7 Ottobre 2022
Il nomadismo sonoro di Federico Mecozzi, dai tour con Einaudi alle contaminazioni di “Inwards”

Federico Mecozzi (foto di Enrico De Luigi)

Avevamo già conosciuto questo brillante musicista e compositore nell’ormai lontano 2019, quando dirigeva l’orchestra di Sanremo per il brano di Enrico Nigiotti e contestualmente pubblicava l’album d’esordio solista Awakening. Federico Mecozzi, classe 1992, di Rimini, metteva a frutto la lunga esperienza artistica “sul campo” (per esempio dal 2009 è violinista fisso di Ludovico Einaudi in studio e in tour) con un personale approccio di contaminazione di un impianto musicale essenzialmente classico con suggestioni dall’elettronica alla world music.

Oggi, venerdì 7 ottobre, Mecozzi pubblica il suo secondo album: Inwards, che sin dal titolo riflette un’attitudine di segno opposto rispetto all’esordio, cioè volta all’introspezione, anche sulla spinta dei due anni che tutti abbiamo appena vissuto. L’abbiamo intervistato sul nuovo lavoro anche in vista dell’imminente tour, in partenza domani da Salsomaggiore, in cui presenterà dal vivo il progetto insieme a una corposa band.


Parlando di Inwards hai detto che “è un viaggio verso l’interno, verso sensazioni più oscure e intime rispetto alla quotidianità esteriore, quasi in risposta al mio primo lavoro Awakening, scaturito da viaggi ed esperienze”. Questa volta hai approcciato la composizione in modo più introspettivo?

È stato frutto del periodo che abbiamo vissuto. Mi sono trovato chiuso in casa, come tutti. La vita che faccio, per fortuna, mi ha sempre portato in giro per il mondo con in concerti, per cui è sempre stata ricca di incontri ed esperienze. In questo caso mi sono trovato questo vuoto esteriore, per cui ho sentito il bisogno di esprimermi, anche senza perdere tempo, visto che i concerti non c’erano. Ho capito che quello che stavo creando era molto condizionato da questo non vedere fuori, che mi obbligava a guardarmi dentro.

Diversi brani sono espressione dei mondi interiori che si possono attraversare. Ci sono stati di gioia ma anche stati più tormentati e anche altri momenti – come nel caso di Motionless – in cui, nonostante tutto, sono riuscito a trovare una pace interiore. Scrivere questi brani chiuso in casa è stato una sorta di autoanalisi col linguaggio della musica.


Nella tua musica, oltre alle ispirazioni derivanti dalla classica, ci sono tante suggestioni etniche: dalla musica celtica a quella mediorientale, secondo me ancora più marcate in questo disco rispetto al precedente, dove forse prevaleva la componente “pop”. Da dove viene questo tuo nomadismo sonoro?

Quella che viene definita “world music” è sempre stata un’ispirazione per me, sin da piccolo, visto che in casa si ascoltava musica di ogni tipo. Ho sempre ascoltato in particolare la musica celtica, e per un periodo ho avuto anche un trio di musica bretone, irlandese e scozzese.

Io scrivo molto di getto: mi metto al violino e parto per dei viaggi, poi se viene fuori qualcosa di buono me lo appunto. E così nascono queste contaminazioni. Poi da quando ho la possibilità di viaggiare con Ludovico Einaudi sono entrato a contatto ancora di più con diverse culture musicali. È sempre bellissimo incontrare musicisti locali in giro per il mondo.

Personalmente trovo molto bella Skywards, che hai definito come “un brano dilatato in cui la salita melodica del violino tende all’infinito; è la ricerca della luce”. Dimmi di più sulla modalità di composizione di un pezzo come questo.

Effettivamente è uno dei brani a cui tengo di più. Forse proprio perché è il più spirituale di tutti. È come se esprimesse il desiderio di luce, di salire, di chiudere gli occhi ed evadere dalla circoscrizione in cui ci trovavamo durante il lockdown.

Il desiderio di elevarsi esprime una spiritualità universale e laica, a prescindere dal credo di ognuno di noi. Se vogliamo è uno stato di maggiore consapevolezza, ma facendolo sempre attraverso la musica, che per me è il mezzo spirituale più alto di tutti. Questo l’ho imparato dalla mia passione viscerale per la musica di Battiato. Un brano del genere è per me una piccola dedica a ciò che lui ha lasciato, soprattutto per quanto riguarda connessione fra musica e spirito.


Infatti già nella nostra precedente intervista esprimevi grande stima per Battiato, che purtroppo nel frattempo è scomparso. Spiegami meglio che tipo di influenza ha esercitato sul tuo approccio alla composizione e all’arrangiamento.

La grande cosa che ho fatto mia dall’ascolto assiduo di Battiato è il gusto per la contaminazione, la fusione di universi musicali anche distantissimi in apparenza. Oltre all’essere stato un precursore dell’elettronica in Italia, il fatto di mescolare quel linguaggio a un linguaggio classicissimo come quello degli archi o di un’orchestra ti fa capire che non c’è affatto una discontinuità, ma che anzi è tutto parte di uno stesso discorso più ampio. Questo è stato il suo grande insegnamento ed è ciò che nel mio piccolo cerco di fare.

Federico Mecozzi - Inwards - intervista - foto di Enrico De Luigi - 2
Federico Mecozzi (foto di Enrico De Luigi)
Parlando di elettronica: lavoreresti mai a un pezzo dance? Alcune tue melodie me le immagino bene anche su un beat elettronico, e del resto certa house contemporanea ricerca attivamente quel tipo di approccio classicheggiante legato per esempio agli archi.

Sono anche un grande cultore di diversi momenti della musica dance. Trovo che anche quello sia un linguaggio a suo modo molto spirituale, a partire dal fatto che nasce per stimolare la danza. Poi penso che quel mondo abbia prodotto diversi capolavori. Per esempio io ho coverizzato Blue degli Eiffel 65, che penso abbia una linea melodica perfetta, che anche estrapolata da quel linguaggio dance mantiene una sua magia. In qualsiasi forma, quella melodia funzionerà sempre.

Recentemente Boosta mi ha detto: “Se c’è una forma d’arte democratica, che ha bisogno non di essere imparata ma soltanto percepita, quella è la musica. Posso commuovermi ascoltando Satie anche senza sapere nulla di lui o da dove arrivi quella musica”. Che ne pensi, anche in relazione alla musica che tu proponi?

Sono d’accordissimo con lui. È il grande mistero della musica, questa forza intangibile che in qualche modo riesce ad attraversare tutti i filtri mentali delle persone e arrivare dritta al corpo. Sicuramente ci sono ambiti musicali più difficili, che forse richiedono più preparazione per essere apprezzati. Ma i grandi capolavori sono tali per questo, come nel caso di Satie: anche il cosiddetto ascoltatore medio si commuove ascoltando la Gymnopédie. Il presupposto è ovviamente la predisposizione all’ascolto.

Parlando del tuo lavoro con Einaudi, immagino che tu l’abbia seguito in tour anche in America quest’anno. Com’è il rapporto del pubblico americano verso quel tipo di proposta artistica? Mi sembra che ci sia sempre grande attenzione negli USA per progetti come il suo.

Sì, in America negli ultimi anni c’è stata una grande crescita del riscontro della musica di Ludovico, per cui quest’ultimo tour è stato particolarmente bello. Ma anche in Europa il pubblico è sempre stato molto caloroso. Come pure in Giappone: se non sei abituato a quel pubblico, potresti pensare che la risposta sia fredda, perché lì sono talmente contenuti e rispettosi che non senti applausi scroscianti. Ma entrando nella loro mentalità ti accorgi che ti stanno festeggiando in modo caloroso, alla loro maniera.


Parte domani il tour in cui presenterai dal vivo i brani di Inwards. Cosa vedremo sul palco? Con quale formazione?

Vuole essere un live fedele al disco. Sarà ricco a livello sonoro perché saremo in sei sul palco: oltre al violino ci saranno pianoforte, violoncello, chitarre, percussioni, parte elettronica. Presenterò tutto Inwards più alcuni brani di Awakening e alcuni omaggi: per esempio una rivisitazione strumentale de La Cura di Battiato o un momento dedicato a Morricone.

Ascolta Inwards di Federico Mecozzi

Le date del tour

8 ottobre – Salsomaggiore, Teatro Nuovo (biglietti qui)

9 ottobre – Milano, Teatro dei Filodrammatici (biglietti qui)

25 ottobre – Rimini, Teatro Galli (biglietti qui)


27 ottobre – Bologna, Teatro Duse (biglietti qui)

Date in aggiornamento

Presentazioni instore

8 ottobre ore 18.00 – Feltrinelli Parma, Via Farini 17

29 ottobre ore 17.00 – Feltrinelli Rimini, Via Tucidide 56 (Torre 1)


Date in aggiornamento

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