Cantautori vs. Streaming: la battaglia è aperta
La NMPA e la NSAI vorrebbero che le royalty per i cantautori e autori di brani fossero aumentate al 20%, rispetto all’attuale 15% proposto dai servizi di streaming come Spotify, Amazon e Apple
L’anno prossimo sarà avviato un processo che determinerà quanto i cantautori e/o autori di brani saranno pagati dai servizi di streaming per gli anni 2023-2027. Gli artisti, ad oggi, dipendono sempre di più per il loro sostentamento dalle entrate tramite queste piattaforme.
I cantautori americani, in particolare quelli che scrivono canzoni per altri, sono in grave pericolo. A dirlo la NMPA, la National Music Publisher Association, e la NSAI, la Nashville Songwriters Association International. Questo perché gli autori si troveranno coinvolti in un processo che avrà luogo nel 2022. Secondo quanto emerso, la NMPA e la NSAI affronteranno le più grandi aziende tech del mondo: Amazon, Apple, Spotify, Google (YouTube) e Pandora. Il CRB, il Copyright Royalty Board, supervisionato dalla Biblioteca del Congresso, conduce ogni cinque anni udienze che riguardano cantautori, tecnici e industriali. Da queste cause è emerso che circa l’80% del denaro dello streaming dovrebbe andare agli auturi delle canzoni. Quindi, quella portata avanti da NMPA e NSAI è una battaglia a loro favore.
Cantautori, la battaglia contro i servizi di streaming per aumentare le royalty
Il caso della NMPA e della NSAI includerà cinque cantautori testimoni: Autumn Rowe, Steve Bogard, Jamie Floyd, Angela Hunte e Jimmy Yeary. Tutti loro spiegheranno come, anche scrivendo grandi successi, non possono ancora guadagnarsi da vivere solo scrivendo canzoni.
I servizi di streaming, infatti, propongono le tariffe più basse della storia. Inoltre, utilizzano un linguaggio volutamente confuso per nascondere quanto devestanti sarebbero le loro richieste per i cantautori. Innanzitutto, bisogna capire che gli autori e gli editori non sono pagati per flusso, ma in percentuale sulle entrate totali. Il tasso di royalty, attualmente, dovrebbe essere intorno al 15% delle entrate. Le compagnie tecnologiche, però, stanno trascinando per le lunghe i processi legali nel tentativo di non pagare. NMPA e NSAI stanno lavorando affinché le royalty siano aumentate al 20%.
I servizi di streaming non vogliono pagare, anche se hanno i soldi
Al momento, nonostante le aziende dichiarino di non poter pagare gli artisti, Spotify possiede oltre 3 miliardi di dollari. Più di quanto abbia pagato i suoi cantautori ed editori in tutta la sua storia. L’azienda, al momento, vale 47 miliardi di dollari. Amanzon e Apple, invece, attualmente sono valutate 1,74 trilioni e 2,4 trilioni di dollari. Nonostante questo, il profitto generato dai loro servizi di musica in streaming è in gran parte irrilevante.
«Gli autori di canzoni, e i loro alleati artisti, devono capire cosa stanno cercando di fare le compagnie tech e far sentire la loro voce». A dirlo David Israelite, presidente e AD della NMPA. «Questa è una partita lunga che si giocherà in gran parte l’anno prossimo. Bisogna prestare la massima attenzione e diffidare dalle argomentazioni da parte dei giganti tecnologici».