Musica e NFT, quello che c’è da sapere: futuro della distribuzione o bolla?
Il caso di Morgan ha acceso anche in Italia i riflettori sulle modalità di diffusione della musica legate alla tecnologia blockchain. Ma è stato lui il primo? Quali sono le prospettive e le criticità? Le nostre interviste agli addetti ai lavori
Per molto tempo, termini come “blockchain” e “criptovaluta” hanno evocato – perlomeno alle orecchie dei non esperti – un oscuro mondo riservato alla comprensione di nerd avventurosi. Poi piano piano si sono fatti strada nel lessico comune, trovando applicazioni tanto in grandi aziende come PayPal quanto nelle procedure della pubblica amministrazione. Ma è dall’inizio di quest’anno che transazioni che sfruttano quell’infrastruttura tecnologica hanno conosciuto un vero e proprio boom nell’industria musicale. Si chiamano NFT (acronimo di non fungible token) e da qualche settimana sono uno degli argomenti più caldi fra artisti e addetti ai lavori. Di cosa si tratta esattamente?
La “febbre” degli NFT in sintesi: il grafico evidenzia l’impennata di ricerche su Google nel mondo, con picco a metà marzo
La corsa agli NFT
I “token non fungibili” costituiscono, fondamentalmente, attestati di proprietà su opere digitali. Come sono appunto brani e album al di fuori dei formati fisici, che altrimenti, per loro stessa natura, si presterebbero a un’infinita replicabilità. Una prospettiva che reintroduce l’idea di esclusività e unicità all’interno di un mondo digitale finora caratterizzato, al contrario, dall’accessibilità pressoché universale ai contenuti. Siano essi musicali o di altro tipo.
Per questo motivo, gli NFT trovano un naturale terreno d’impiego nel mondo della creatività. Le possibilità sono pressoché infinite, basta guardare alcuni casi recenti. Tramite una normale asta si può acquistare la titolarità di un meme virale (come è successo alla celebre GIF di Nyan Cat, venduta per l’equivalente di 580mila dollari), del primo tweet della storia (operazione appena chiusa dal CEO di Twitter, Jack Dorsey, per quasi 3 milioni di dollari) oppure, più semplicemente, di opere d’arte digitali e di opere musicali.
In quest’ultimo campo la casistica è già variegata. Si va da Steve Aoki, che ha venduto una serie di NFT fra cui un’animazione di mezzo minuto accompagnata da una sua traccia musicale che da sola ha fruttato oltre 800mila dollari, ai Kings of Leon, che hanno raccolto 2 milioni di dollari lanciando con quella tecnologia pacchetti premium del loro nuovo album When You See Yourself comprendenti, per esempio, biglietti per i futuri concerti. In Italia l’acronimo NFT è stato reso popolare da Morgan, che ha messo all’asta il suo inedito Premessa della Premessa. Ma se dobbiamo individuare un primato l’hanno preceduto di qualche giorno i Belladonna, gruppo rock molto attivo nelle colonne sonore di film e trailer (Minions, I Fantastici Quattro, Black Panther, Godless, fra gli altri), con il loro brano New Future Travelogue.
Dropping my first ever NFT collection next week! Lil teaser ? this is the first piece in the collection. Visual design by @Antonitudisco. Opens LIVE on @niftygateway next Sunday 3/7 at 2PM ET. We’ll have limited edition packs, open editions and more so u will want to be quick. pic.twitter.com/LkUPjIGU81
— Steve Aoki (@steveaoki) February 28, 2021
Cos’è la blockchain e come funziona
Facciamo un passo indietro. Gli NFT, dicevamo, si basano sulla tecnologia blockchain, attiva sin dal “lontano” 2008. Quell’anno, uno sviluppatore chiamato “Satoshi Yakamoto” (l’identità è fittizia e ancora oggi non si sa chi lui o lei sia) pubblicò un white paper in cui presentava la possibilità di distribuire denaro in modo peer-to-peer senza intermediari finanziari. Nacque così il celebre Bitcoin, criptovaluta (una moneta unicamente virtuale) che permette di trasferire denaro senza bisogno di una banca che certifichi le transazioni, in quanto è la rete stessa che le verifica.
«Dietro al Bitcoin c’è proprio la tecnologia blockchain, che rappresenta il registro di queste transazioni: una catena di blocchi fra loro collegati», spiega Valeria Portale, direttore dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger del Politecnico di Milano. «Questo registro ha caratteristiche particolari. Innanzitutto è distribuito: non sta solo in un computer ma in tutti quelli che compongono i nodi della rete. E su tutti quei computer è possibile visualizzare le informazioni di questo registro. Tutti possono vederle e nessuno può falsificarle».
In che modo le reti della blockchain garantiscono questa completa verificabilità? Semplice: «Il registro non può essere modificato. Possono solo essere aggiunte nuove transazioni», continua Portale. «La rete ha solo bisogno che in un dato momento almeno il 50% più uno dei suoi nodi dia l’ok alla transazione. I nodi che partecipano sono migliaia, dislocati in tutto il mondo». Un meccanismo che ne garantisce il funzionamento anche nel caso di spegnimenti improvvisi di qualche server, come a volte succede a causa di incendi o eventi simili.
Anche internet si basa sul concetto di interconnessione fra i computer. La differenza fondamentale è che «se io ti mando una mail con un file, per te non è un problema se io copio quel file. Perché quell’asset non è un valore di per sé. Ma se ti devo mandare dei soldi, devi avere la certezza che siano usciti dal mio portafogli ed entrati nel tuo», spiega Portale. «Ho bisogno di una terza parte che faccia da garante. La blockchain è un internet in cui, a garantire ciò, è la rete stessa. Per fare questo si usano tecniche di crittografia: attraverso una firma digitale, io autorizzo quel passaggio di denaro verso il tuo portafoglio».
Nel concreto, non esiste “una” blockchain ma tante: sono moltissime le piattaforme che dispongono di queste reti e offrono questo tipo di servizio. Le più note sono sicuramente quelle di Bitcoin ed Ethereum, a cui sono associate le rispettive criptovalute ma che possono assolvere una pluralità di funzioni. Nel caso degli NFT, sono proprio le caratteristiche di gestione dei token offerte da Ethereum che fanno sì che la maggior parte di quelle transazioni avvenga su quella rete.
Cosa sono gli NFT
Gli NFT, dunque, si basano su una tecnologia esistente da tredici anni che però ha conosciuto una nuova applicazione e un nuovo hype grazie ad alcuni casi sensazionali come quelli che citavamo prima (anche se una prima ondata fu nel 2017 con il fenomeno dei “CryptoKitties”: alcuni gattini digitali furono scambiati anche per centinaia di migliaia di dollari). Ma cosa differenzia i token “fungibili” da quelli “non fungibili”?
«I primi sono come la moneta: se ti presto cinque euro, puoi restituirmi qualsiasi altra banconota da cinque euro. Mentre se ti do il mio gattino, poi non mi puoi ridare quello di qualcun altro», spiega Portale. «Questo è il concetto dei token “non fungibili”: se te ne do uno, mi devi restituire esattamente quello. È come le vecchie collezioni di oggetti unici. Ciò è facilmente applicabile al mondo dell’arte».
Il processo è piuttosto semplice. Una volta che ho creato il mio wallet (il “portafoglio” digitale) e ho acquistato una certa quantità di criptovaluta, sono pronto per fare acquisti tramite le piattaforme di compravendita di NFT. Ce ne sono molte: fra le più note figurano OpenSea (quella usata da Morgan), Nifty Gateway e GhostMarket. Una volta acquistato il token tramite criptovaluta, rimane nel mio wallet con il suo codice alfanumerico identificativo.
«E tutta la rete sa che quel token ce l’hai solo tu», aggiunge Portale. «Questo fa sì che il percorso sia molto tracciabile e verificabile. Però dà anche elementi di difficoltà sul tema della privacy. Ciò è calmierato dal fatto che nessuno sa chi c’è dietro al wallet, a meno che il proprietario stesso non lo dica. Quando apro un wallet digitale, che è a sua volta un codice alfanumerico, nessuno chiede la carta d’identità».
Una questione vista in termini problematici da Enzo Mazza, CEO di FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana). «La blockchain e gli NFT sono in grado di certificare il contenuto, ma non è detto che chi vende (o chi compra) sia davvero chi dice di essere. È certificata la catena, ma non l’origine».
Il caso Belladonna
Come dicevamo, fra i primi artisti che hanno sperimentato con gli NFT – a livello non solo nazionale ma anche internazionale – ci sono i romani Belladonna, il cui nucleo è formato dalla cantante Luana Caraffa e dal chitarrista Dani Macchi. I Belladonna si sono resi protagonisti di un’operazione di vendita di NFT molto particolare. Comprendeva infatti non solo l’inedito in copia unica digitale New Future Travelogue ma anche i suoi diritti di copyright su eventuali utilizzi futuri.
Cosa spinge un artista a tuffarsi in questi territori inesplorati? «Siamo venuti a conoscenza degli NFT tramite i nostri contatti americani. Noi lavoriamo molto con l’industria musicale di Los Angeles», racconta Dani. «Il fatto di poter vendere un brano unico, come se fosse un dipinto, non era mai capitato prima. Questo per noi è stato una rivelazione».
Riguardo alla vendita dei diritti legati all’opera, Luana spiega: «Abbiamo sempre dato valore sia al lato “publishing” che a quello “master” dei nostri brani. Tanti sono andati a finire in trailer e film, quindi abbiamo pensato che chi ci conosce sappia che essi hanno un valore non tanto quando vengono venduti ma quando vengono sincronizzati. Allora era bello dare non solo il token ma anche il master del brano, che diventa una co-proprietà. Ovvero noi possiamo utilizzarlo in un film se lui o lei ci dà il permesso, e viceversa».
Un aspetto cruciale, quello del copyright, su cui Enzo Mazza esprime più di una perplessità: «L’opera rimane comunque di chi l’ha realizzata. L’acquirente non ne diventa proprietario, quindi ne avrà una disponibilità parziale. Nel diritto comunitario non esiste il “diritto di seguito”: è esclusa la rivendita di un mp3, per esempio. Quindi diventi proprietario di un’opera che potenzialmente potresti anche non rivendere se non con il consenso dell’artista originario».
Infatti Dani Macchi dei Belladonna precisa: «Il brano, per essere sincronizzato o comunque messo sul mercato, ha bisogno del permesso degli autori. Né possiamo pubblicarlo liberamente noi, perché il master è suo, quindi c’è una co-proprietà totale. Se ci sono possibilità di quel tipo, anche solamente per metterlo su Spotify, ci si parla e ci si mette d’accordo. Per questo nell’NFT abbiamo inserito una specie di pre-contratto».
In ogni caso l’operazione dei Belladonna ha dato un ritorno sorprendente: «l’equivalente di 5 milioni di stream su Spotify tramite una major», dice Caraffa. La band si dichiara pronta a fare presto un altro lancio di NFT con caratteristiche nuove.
Il rischio della bolla speculativa
Lato artista, dunque, i vantaggi sono evidenti. Disintermediazione, diffusione alternativa delle proprie opere, fonti di reddito aggiuntive rispetto a quelle “tradizionali” (utili soprattutto in periodi di stop agli spettacoli dal vivo, per esempio). Ma lato utente? Cosa dovrebbe spingermi a fare una transazione che in molti casi rimane un fatto puramente virtuale, specie se quel contenuto è già fruibile da tutti come nel caso di un meme o di un tweet?
La prima risposta è quasi tautologica: se c’è chi compra (e lo fa alle cifre che abbiamo visto), vuol dire che esiste un mercato. E poi, come evidenzia Mazza, «nel settore della musica, a fronte di una massa enorme di contenuti caricati ogni giorno sulle piattaforme c’è richiesta di prodotti esclusivi o unici. Ma quanto ciò poi abbia un valore sul mercato è ancora tutto da definire».
Il rischio è che si giunga molto rapidamente alla saturazione di questo nuovo mercato. Se non a una vera e propria bolla speculativa. «Sono anni che si parla della blockchain nel settore musicale (soprattutto per quanto riguarda la gestione del diritto d’autore, ndr). Ma è ancora un prodotto di nicchia», dice Mazza. «Non possiamo immaginare che questa bolla continui in questo modo. In questa fase ci sono dei numeri che sono completamente fuori mercato. Magari alla fine ti ritrovi in mano qualcosa che non vale più niente. Tornerà poi a una più normale dinamica, e a quel punto si svilupperà un mercato di lungo termine».
Le prospettive future
Il lungo termine, appunto: dopo la “febbre” di queste settimane in che modo si stabilizzerà il mercato degli NFT? È ancora troppo presto per delinearne i contorni in maniera precisa, ma si possono azzardare delle ipotesi. Intanto è stato notevole l’annuncio di Siae della creazione di 4 milioni di NFT su blockchain Algorand per la gestione dei diritti di 95mila autori.
«Se intervenissero sul campo le major, potrebbe anche diventare una cosa normale per le persone. Come lo fu il passaggio dai CD agli mp3», immagina Dani Macchi. In questa fase le grandi case discografiche preferiscono limitarsi all’osservazione dell’andamento del fenomeno. Tuttavia, un loro diretto coinvolgimento nel futuro prossimo è pressoché certo. «Gli NFT potranno essere sicuramente uno strumento utilizzato come uno dei modelli di business dell’industria, così come avviene già oggi con il mondo del gaming: per esempio Sony ha acquisito una quota in Epic Games (casa madre del celeberrimo Fortnite, ndr), Warner in aziende di VR», dice Mazza. «Ma pensare che si sostituiscano al mercato come lo conosciamo è fuori luogo».
Si potranno quindi inserire in quel boom del mercato musicale che Goldman Sachs ha previsto da qui al 2030 e che per molti aspetti è già in atto. «Lo vediamo nelle quotazioni che ha avuto Warner e anche nelle previsioni sulla quotazione di Universal», osserva Mazza. «Oltre alla crescita dello streaming, le case discografiche vengono viste dagli investitori sempre più come aziende tech, tipo Spotify, invece che come aziende di contenuti e basta. Questo apre prospettive che includono scenari nuovi, fra cui gli NFT. Sui mercati finanziari, le tecnologie innovative in questo momento tirano molto».
Si tratta quindi di un’altra sfaccettatura di quel grande processo di “finanziarizzazione” dell’industria musicale che parte dalle quotazioni in borsa delle major e si proietta verso gli scenari futuri del music business passando attraverso le colossali compravendite di cataloghi dei grandi artisti che continuano a verificarsi (ultimo in ordine cronologico fra i “grandi”, Paul Simon). Accanto alla loro normale fruizione da parte degli utenti, i contenuti musicali e le operazioni che li riguardano diventeranno sempre più spesso delle specie di prodotti finanziari – capaci di garantire un ritorno sicuro e in tempi prevedibili – per chi ha possibilità di investimento.