Brian Eno illumina Trento: «Con le mie installazioni creo un luogo dove abbandonarci»
Il grande produttore e compositore ci racconta alcuni principi del suo lavoro in occasione delle sue prossime installazioni: “77 Million Paintings for Beseno” e la “Audio Installation for Buonconsiglio”, in attesa di scoprire il suo prossimo album in uscita a ottobre
Il Maestro inglese non si ferma mai e non finisce mai di ammaliare. Dall’alto dei suoi 74 anni e della sua incomparabile esperienza nel mondo musicale, Brian Eno emana, seppur in collegamento Zoom dalla sua abitazione nel Sussex, un fascino incredibile. Sentirlo parlare durante una – potenzialmente noiosissima – presentazione della sua prossima installazione in Italia si trasforma in qualcosa di terapeutico. La calma, i pensieri profondi, l’ironia e il tono della sua voce ti trasportano altrove.
Tutto è connesso in armonia nel pensiero e nelle opere di Brian Eno, nonostante lui sia da sempre un fervido sostenitore delle teorie del caos e della lentezza. Due aspetti che in teoria sono antitetici ai principi della pop culture ma che invece Eno è riuscito a integrare fra loro, sin dagli inizi della sua carriera.
L’installazione e un nuovo album in arrivo
Andiamo con ordine. Il 19 agosto Brian Eno approderà in Trentino con due installazioni multimediali: 77 Million Paintings for Beseno,una “pittura di luce” sulle Mura Est di Castel Beseno(ogni venerdì e sabato, dal 19 agosto al 10 settembre); mentre, negli spazi del duecentesco Castello del Buonconsiglio, Eno realizzeràl’Audio Installation for Buonconsiglio(dal 19 agosto fino al 6 novembre).
Brian Eno inoltre pubblicherà il suo 22° album in studio FOREVERANDEVERNOMORE (Universal Music / OPAL Music)il 14 ottobre in vinile, CD e in digitale, incluso Dolby Atmos. Il disco, composto da dieci tracce, è stato realizzato nel suo studio di Londra ed è già disponibile in pre-ordine. Eno canta nella maggior parte dei brani per la prima volta in un album dopo Another Day On Earth del 2005.
Una toccante anticipazione è già disponibile: There Were Bells, composta assieme al fratello Roger in occasione del meraviglioso concerto che hanno tenuto assieme all’Acropoli di Atene nell’agosto del 2021 mentre tutt’attorno imperversavano gli incendi appena fuori città. Tanto da indurre Brian Eno a commentare: «Ho pensato: siamo nel luogo di nascita della civiltà occidentale e probabilmente stiamo assistendo alla sua fine».
There Were Bells è davvero uno struggente richiamo sull’attuale emergenza climatica, un tema che viene esplorato in tutto l’album. «Come tutti – tranne, a quanto pare, la maggior parte dei governi del mondo – ho pensato al nostro futuro precario e limitato, e questa musica è nata da tali pensieri. Forse è più corretto dire che ho provato dei sentimenti… e la musica è nata da quei sentimenti. Quelli di noi che condividono questi sentimenti sono consapevoli che il mondo sta cambiando a una velocità rapidissima e che ampie parti di esso stanno scomparendo per sempre… da qui il titolo dell’album».
Ma adesso è venuto il momento di concentrarsi sui pensieri del Maestro Inglese, invitato a parlare del progetto inedito Brian Eno x Trentino, fortemente voluto dalla Provincia autonoma di Trento e organizzato dal Centro Servizi Culturali Santa Chiara, con la collaborazione del Castello del Buonconsiglio, Trentino Marketing e la produzione di Alessandro Albertini e Giuseppe Putignani.
L’intervista a Brian Eno
Lei ha sempre amato fare installazioni multimediali, di ogni dimensione. Ricordo il bellissimo lavoro sul silenzio nella piccola chiesa di S. Carpoforo a Milano nel 1986. Nel 2016 ha presentato una versione del suo 77 Million Paintings, l’enorme progetto di visual art a Palazzo Te di Mantova. Qual è il suo obiettivo da artista quando fa queste operazioni?
Credo che gli artisti abbiamo un compito: quello di creare dei mondi, degli scenari diversi da esperire. È come se le opere d’arte fossero dei simulatori di esperienze che solitamente non riesci a provare. Con le mie installazioni cerco di creare un luogo dove abbandonarci, lasciarci andare indifesi. Non possiamo predire il risultato dell’effetto, si deve essere completamente aperti a un’esperienza. È questo quello che voglio creare come artista, ed è quello che può accadere con il sesso, le droghe e con le esperienze mistiche…
Come si è sentito a lavorare negli spazi di due castelli medievali del Trentino?
Da inglese amo i castelli… quindi direi molto a mio agio.
Come si legano i paesaggi sonori alle sue installazioni?
Ci sono due aspetti da prendere in considerazione: quello visivo e quello acustico. Sono due sistemi in continua evoluzione. Esiste sempre un fattore di casualità, perché io, da artista, non so mai l’esatto risultato che otterrò. Quando realizzo un’opera artistica cerco di creare una sorta di atto di abbandono, di lasciare che le cose scorrano indipendentemente dalla mia precisa volontà.
Molto spesso si pensa agli artisti come degli architetti, ma io sono molto più attratto dalle teorie del caos, dalla cibernetica. Quando ero molto giovane ero attratto da artisti come Steve Reich, Terry Riley e da uno scienziato cibernetico come Stafford Beer, che scrisse una teoria che da sempre seguo: “Quando cerchi di sviluppare un sistema, non specificare tutti i dettagli, lascia che la dinamica del sistema predetto vada nella sua direzione”.
Ecco, questa è una visione dove l’artista si trasforma in una sorta di giardiniere. Io pianto dei semi ma non ho il controllo della loro crescita. Questo è un libro sul giardinaggio (mostra il libro A Garden from a Hundred Packets of Seed di James Fenton, ndr), ma c’è tanta teoria del caos dietro.
Il prossimo anno compie mezzo secolo il suo primo album da solista, Here Come the Warm Jets. È soddisfatto della sua carriera da solista? Cosa si aspetta per i prossimi 50 anni?
(Ride, ndr) Magari potessi vivere altri 50 anni! Pochi giorni fa sono andato a visitare un luogo dove feci piantare 6mila alberi una quindicina di anni fa. Alcuni di questo alberi sono diventati molto grandi. Ho pensato dentro di me: “Se facessi la stessa cosa adesso, non penso di essere in grado nel futuro di vedere un bosco”. Quello che voglio dirle è che sto cominciando a cronometrare la mia vita…
Comunque, per rispondere alla domanda, sicuramente sono orgoglioso di aver trasmesso l’idea di poter fare musica pop da parte di un intellettuale senza essere noiosi. Quest’idea, all’epoca in cui mi presentai sulla scena da solista, tutti la ritenevano folle, un pensiero ridicolo.
La seconda cosa che avevo intenzione di innestare nella cultura della musica pop era l’idea della lentezza, perché c’era una sensazione generale che ci dovesse essere musica pop solo per i giovani. Ho provato a introdurre una concezione di spazi e tempi più ampi, in cui la persona più adulta potesse trovarsi in uno stato di adeguatezza nonostante fosse pop music. All’inizio la si definiva semplicemente musica ambient ma oggi questo principio lo ritrovi ovunque, in tanti generi.
Il mio obiettivo come artista era – ed è – quello di includere tutto quello che mi interessa: certamente la scienza ma anche il sesso, cercare la complessità e la semplicità. La mia ambizione sin dagli inizi era di fare qualcosa che mi tenga e mi affascini in ogni istante della mia attività. Ancora oggi succede. Di recente ho riascoltato molte cose che ho composto in questi 50 anni e ancora mi sono stupito di alcune di esse. È una sensazione magnifica.
Non le sembra che la musica pop e rock (giusto per fare un esempio) sia diventata una sorta di accessorio? Che non sia una sorta di religione come era per i giovani dei decenni passati? E c’è qualcosa che ritiene positivo nel pop contemporaneo?
Capisco perfettamente cosa intende ma offro prima una risposta da ascoltatore. Ritengo che oggi ci sia in circolazione molta più musica interessante rispetto a prima. È come se in questo momento fossimo ai tropici della musica. All’equatore c’è un proliferare di vita e così è con la musica: siamo vicini a un punto di estrema fertilità.
Ecco, cos’è cambiato rispetto al passato? Oggi è molto più facile fare e produrre musica. I Beatles o Jimi Hendrix hanno avuto bisogno di tanti passaggi prima di arrivare alla diffusione. Hanno avuto bisogno di un manager, di un’etichetta, di studi di registrazione… e alla fine il volume complessivo della musica pop prodotta in occidente era relativamente grande. Tutti sapevano cosa ci si poteva aspettare nel panorama della pop music.
Oggi le cose sono completamente cambiate, siamo entrati in una nuova era che potremmo definire new folk music: ognuno con pochi mezzi può produrre musica di successo da ogni parte del mondo, anche dal paesino più recondito.
La tracklist dell’album FOREVERANDEVERNOMORE
- Who Gives a Thought
- We Let It In
- Icarus or Blériot
- Garden of Stars
- Inclusion
- There Were Bells
- Sherry
- I’m Hardly Me
- These Small Noises
- Making Gardens out of Silence in the Uncanny Valley