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“Asteroid City”: più che un corpo celeste, il film di Wes Anderson è un mattone

Con un cast stellare (da Tom Hanks a Scarlett Johansson) e uno stile sempre formalmente da applausi, il cineasta americano però scivola in un film freddo nella sostanza

Autore Tommaso Toma
  • Il5 Luglio 2023
“Asteroid City”: più che un corpo celeste, il film di Wes Anderson è un mattone

Scarlett Johansson in una scena di "Asteroid City" (Courtesy of Pop. 87 Productions / Focus Features)

Presentato all’ultima edizione di Cannes, il nuovo lungometraggio di Wes Anderson (che per la prima volta ha flirtato con la science fiction e che è già al lavoro per un nuovo film con Michael Cera e Benicio Del Toro), Asteroid City aveva già riscosso reazioni contrastanti dalla critica.

Adesso, vedendolo in sala per la prima volta, abbiamo avuto la conferma che il film non brilla. Sono riemersi alcuni punti deboli di questo meraviglioso e prezioso regista: un eccesso di forma e uno scivolamento dell’eccentricità verso la noia, oltre ad alcune leziosità nella sceneggiatura. Avevamo già intravisto tutto questo anni fa ne Il Treno per Darjeeling (2007) e anche nel recente The French Dispatch.

Asteroid City
Da sinistra a destra, Jake Ryan, Jason Schwartzman e Tom Hanks (Courtesy of Pop. 87 Productions / Focus Features)

Asteroid City, un eccesso di metanarrazione

Ambientato nella seconda metà degli anni ’50 nel mezzo del deserto, tra canyon e casette prefabbricate, Asteroid City si regge su una metanarrazione, tra finzione e realtà. Quasi tutti i protagonisti sono in realtà personaggi di una pièce teatrale e sempre in cerca dell’autore, Conrad Earp, che ricorda molto Arthur Miller ed è interpretato con classe da Ed Norton.

L’impianto pirandelliano vede come altri protagonisti una bella carrellata di star del cinema. Giusto per fare dei nomi: Tom Hanks, Scarlett Johansson, Tilda Swinton, Bryan Cranston (il Walter White di Breaking Bad) e un bravissimo Jason Schwartzman (forse la migliore interpretazione della sua carriera).

Le scene sono riprese con le solite, magnifiche inquadrature simmetriche del regista. Wes Anderson fa spostare la camera sempre con movimenti precisi: orizzontalmente e verticalmente, quasi a segnare una croce. Splendida la fotografia di Robert Yeoman.

Altro protagonista del film è una figura aliena molto in stile Mars Attacks! di Tim Burton. Questa appare e scompare portandosi via prima il corpo celeste che aveva provocato l’enorme cratere attorno al quale si svolge la narrazione a colori (mentre sono in bianco e nero i momenti legati alla preparazione della messa in scena della pièce di Earp/Norton e un bel dialogo finale tra Schwartzman e la moglie da poco deceduta e riapparsa in visione, interpretata da Margot Robbie).

ASTEROID CITY (2023)
Steve Carell (Courtesy of Pop. 87 Productions / Focus Features)

Una sceneggiatura con poca ironia

La sceneggiatura (scritta con la complicità di Roman Coppola) sembra concentrarsi sull’impossibilità dei protagonisti di esprimere liberamente le loro emozioni. Trasformati in monadi dall’aspetto dismesso, spesso i personaggi dialogano tra loro a distanza. C’è qualcosa che si frappone tra i loro corpi e si fatica ad apprezzare quel poco d’ironia che il regista tenta di inserire in scena, con la sua oramai ben conosciuta tecnica.

In Fantstic Mr. Fox, Grand Budapest Hotel o – andando davvero indietro nel tempone I Tenenbaum tutto questo funzionava alla meraviglia. Qui c’è lentezza, prevedibilità. Si rischia il soporifero.

A fine film, gli attori esclamano in coro: “You can’t wake up if you don’t fall asleep”. Non puoi svegliarti se non ti addormenti. Verrebbe da chiedersi se sia una provocazione di Wes Anderson…

Personalmente perdono molte cose a Wes Anderson. Grazie a lui sono diventato un buon amico di Randall Poster. Proprio dal suo inseparabile music supervisor arriva della buona sostanza dopo un’overdose di formalismi: la canzone sui titoli di coda di Jarvis Cocker. Grazie, mi sono alzato più leggero dalla mia poltrona.

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