La nostalgia degli 883 in “Una storia in comune” di Lorenzo Luporini con Fausto Colombo
Il libro ripercorre oltre un secolo di cultura pop italiana. Dalle ricette di Pellegrino Artusi a Sanremo e alla trap, raccontando un popolo di innovatori e imitatori, unito da momenti drammatici e di gioia collettiva

Lorenzo Luporini (foto di Claudio Sforza)
“Una storia in comune”, il libro edito da Mondadori, scritto a quattro mani da Fausto Colombo e Lorenzo Luporini, suo ex allievo, è un viaggio appassionante attraverso oltre un secolo di cultura pop italiana. Dalle ricette di Pellegrino Artusi al Festival di Sanremo, dalla nascita della televisione commerciale alla trap, il libro racconta come un popolo diventi tale anche attraverso ciò che guarda, ascolta e condivide. Un popolo di innovatori e imitatori, capace di riconoscersi in momenti di dramma collettivo quanto di gioia condivisa.
Al centro del saggio ruotano due interrogativi: da dove nasce quella «nostalgia canaglia» per un tempo forse mai vissuto ma che immaginiamo come un’età dell’oro musicale, cinematografica, letteraria e sociale? Quali eventi e simboli formano il nostro immaginario e il modo in cui ci definiamo collettivamente, anche quando non ci sentiamo per niente italiani?
Attraverso queste domande, gli autori tracciano una mappa culturale e affettiva del nostro Paese, cercando le radici di ciò che oggi chiamiamo “identità collettiva”. Un’identità fatta non solo di storia ufficiale, ma anche – e forse soprattutto – di canzoni, pubblicità, trasmissioni TV, mode e linguaggi che ci hanno formato fin dall’infanzia.
La storia della nascita degli 883 (un estratto da Una storia in comune)
Così per parlare di nostalgia ci sembra meglio raccontare la storia di un altro personaggio, molto più specificamente italiano: perché Max Pezzali non solo sarebbe diverso se fosse nato in un altro Paese, ma anche se fosse nato a Milano anziché a Pavia, nel 1967. Parliamo quindi degli 883: un perfetto frutto del loro tempo per sonorità, tematiche, immaginario e storia biografica.
La loro avventura comincia quando Max Pezzali viene bocciato in terza superiore e finisce in classe con Mauro Repetto. I due sono compagni di banco distratti e interessati a tutto ciò che non siano le lezioni: infatti fondano un duo chiamato I Pop.
L’incontro con Jovanotti
Nel 1989 sono ospiti nel programma dell’allora emergente Lorenzo Cherubini – in arte Jovanotti – dove si esibiscono in un brano integralmente in inglese. Jovanotti nel presentarli dice annunciandoli: «una delle cose più divertenti che abbiamo fatto è stato produrre due ragazzi di Pavia che si divertono a fare i disc jockey in discoteca – mandate le vostre cassette a Yo Production casella postale 314 Milano. Se fate dei dischi forti magari ci divertiamo un sacco».
A guardare oggi il video di quella esibizione che si trova su YouTube sembra di vedere una caricatura degli anni Ottanta più che un video dell’epoca: è tutto troppo per essere vero. Repetto ha un gilet nero su una camicia bianca oversize e un basco rosso in testa. A differenza di quanto avrebbe fatto poi negli 883 canta oltre a ballare sul palco. Max Pezzali è vestito con una felpa bianca con sopra dei cartoon colorati, un capellino da baseball girato al contrario e dei pantaloni mimetici simil militari aderenti e si dimena in modo piuttosto goffo.
Insieme al mondo simboleggiato da Jovanotti, Max e Mauro rappresentano in quel momento un fenomeno giovanile in piena esplosione in Italia. Hanno ventidue anni, sono i primissimi adolescenti ad aver ascoltato il rap e ad aver frequentato le discoteche; sono anche i primi a essere cresciuti consumando in modo massiccio prodotti culturali statunitensi. Vengono dalla provincia, una di quelle con «2 discoteche e 106 farmacie» (per citare una loro celebre canzone, Con un deca) e per gli adulti sono degli alieni, qualcosa di irricevibile. Nel 1989 le classifiche vedono al primo posto Zucchero e Vasco Rossi: profondamente diversi fra loro ma distanti anni luce dai nascenti 883. Quando Max Pezzali e Mauro Repetto atterrano sulla scena sono comprensibili solo ai giovanissimi che si rivedono in loro.
Claudio Cecchetto
A soli trent’anni Claudio Cecchetto aveva esplorato tutto quello che si poteva immaginare di fare all’interno del panorama mediatico italiano. Era stato uno speaker innovativo e talentuoso nelle radio private. Aveva lavorato per TeleMilano 58 (che sarebbe diventata presto Canale 5) con il programma musicale Chewing Gum. Entrato in Rai nel 1979, nell’arco di tre mesi si era ritrovato a condurre il Festival di Sanremo del 1980 insieme a Roberto Benigni e Olimpia Carlisi. Un altro si sarebbe potuto dire soddisfatto e avrebbe passato il resto della vita a diventare un’istituzione (come i suoi maestri Mike Bongiorno e Pippo Baudo). E invece no: l’anno successivo si sarebbe tolto anche lo sfizio di essere al vertice delle classifiche musicali italiane (e non solo) con il brano dance Gioca Jouer.
Cecchetto ha uno stile tutto suo: un modo rapido di parlare, interventi a ritmo serrato. E poi è instancabile. Ormai ai vertici della televisione italiana trova una nuova sfida: scoprire nuovi interpreti dello spettacolo italiano, conduttori, cantanti, deejay.
Il metodo di Claudio Cecchetto
Nel documentario People from Cecchetto, diretto da Emanuele Imbucci nel 2023 (disponibile su RaiPlay), vengono intervistati alcuni di questi talenti, reclutati per Radio Deejay fra il 1982 e i primi anni Duemila. Vediamo passare sullo schermo Amadeus, Gerry Scotti, Fiorello, Carlo Conti, Jovanotti, Francesco Facchinetti, Sabrina Salerno mentre raccontano «il metodo Cecchetto» per il successo. Si capisce molto meglio la storia della televisione capendo come queste persone siano accomunate da un’esperienza così totalizzante, al tempo stesso giocosa e formativa. Cecchetto non fu in quegli anni soltanto uno scopritore di speaker radiofonici destinati a cambiare il linguaggio televisivo del nostro Paese ma anche un vero produttore musicale dall’intuito formidabile.
Nel 1984 lanciò People from Ibiza di Sandy Marton, poi Sabrina Salerno con Boys (Summertime Love). Fu poi proprio lui (ed eccoci tornati alla nostra storia) affidò a Jovanotti il programma da cui partì la storia degli 883. Jovanotti racconta di come arrivasse in via Massena, nella sede di Radio Deejay, alle 9 per mettersi nello studio di registrazione, salire per fare due ore di diretta alle 14, per poi tornarsene in studio a lavorare (di lì a poco sarebbe uscito il suo album Jovanotti for President). Anche gli altri speaker che ruotavano attorno alla radio vivevano in via Massena creando un ambiente pieno di energie, stimoli e opportunità. La radio era un concentrato di talento, sregolatezza e idee, che Cecchetto governava con pugno di ferro.