Esce “Polvere di Stelle”: il glam secondo Simon Reynolds – Intervista
Quasi sempre ciò che scrive Simon Reynolds è “puro Vangelo”, perché è uno dei critici più abili a descrivere la musica e i suoi fenomeni con puntuali e mai scontati rimandi a testi, eventi culturali o fenomeni di costume ma anche per un’invidiabile leggerezza nel proporci momenti di esperienza personale
Quasi sempre ciò che scrive Simon Reynolds è “puro Vangelo”, perché è uno dei critici più abili a descrivere la musica e i suoi fenomeni con puntuali e mai scontati rimandi a testi, eventi culturali o fenomeni di costume ma anche per un’invidiabile leggerezza nel proporci momenti di esperienza personale. E così tra una citazione di Deleuze o Debord, il ricordo di una fanzine o di un’epifanica scoperta in rete di una band innovativa, il critico-musicologo inglese riesce a far appassionare anche un neofita al movimento post punk UK/USA o alla musica house negli insuperabili saggi Rip It Up and Start Again (che fu edito in Italia dalla defunta ISBN) ed Energy Flash (per noi uscito per Arcana). Simon ha saputo raccontare il momento di stallo della creatività nella musica, grazie al celeberrimo Retromania, facendo entrare questo neologismo nel linguaggio comune di noi critici musicali. Con Polvere di stelle. Il Glam Rock dalle origini ai giorni nostri (Minimum Fax), Reynolds torna alle sue origini, dal momento in cui scoprì da bambino i 45 giri dei T. Rex e David Bowie, per farci capire quanto sia stato potente il messaggio estetico e naturalmente musicale lanciato dai protagonisti del glam agli inizi dei Settanta.
Una domanda semplice: per quali motivi hai scritto questo saggio?
Prima di tutto amo la musica. Detto questo, trovo l’era del glam un periodo ricco, con molti temi e ossessioni interessanti, alcuni dei quali sono in sintonia con la pop culture di oggi: la fissazione con la fama come soluzione o via d’uscita, l’idea di decadenza. Era un periodo che si prestava ai miei punti di forza in termini di ricerca profonda, ricostruendo l’atmosfera ma anche gli orizzonti concettuali di un’era: il discorso del glam, così come la musica, l’abbigliamento, le performance teatrali e le imprese auto-mitizzanti delle star, che spesso mi hanno affascinato in quanto insieme di individui bizzarri e spesso incasinati.
In particolare mi piace la tua teoria che il glam sia stato capace di intrecciare elementi radicali e reazionari, sembra descrivere perfettamente lo status quo dell’arte al giorno d’oggi.
Sì, sono d’accordo. Qualsiasi movimento davvero interessante nella pop music – come in qualsiasi ambito culturale – è controverso, semplicemente perché è nuovo e sfida le idee esistenti su cosa sia la musica o come debba essere l’arte. È stato così agli esordi del jazz, del rock and roll, dell’heavy metal, del punk, della techno e della rave music, dell’hip hop, del grime… Se non dividi l’opinione delle persone o non ricevi una reazione contrariata da questo o quel gruppo di persone, probabilmente non stai facendo nulla di nuovo.
L’eredità che la musica glam ci ha lasciato è anche la “forza della menzogna”?
Sì, ma questo è il messaggio trasmesso anche da molte altre forme artistiche: certo cinema, certa narrativa, certo teatro… L’innovazione del glam nel rock era attingere da queste diverse o precedenti tradizioni – il mimo e il circo nel caso di Bowie.
C’è un artista rivoluzionario come Bowie oggi?
Non riesco a vedere nessuno allo stesso livello di eclettica creatività di Bowie. Ma Kanye West potrebbe certamente essere il Bowie di oggi.
Il modo in cui Bowie creava musica mi fa venire in mente la metodologia di un etnografo o di un romanziere o di chi crea film o nuove collezioni di moda. Cosa ne pensi?
Lui era un collezionista. Raccoglieva idee dal passato, dagli “archivi”, ma anche dai generi di punta del presente, come la drum n’bass e la jungle nel suo album del 1997 Earthling.
Cosa rimane del glam nella musica oggi?
Lo vedo soprattutto in certi artisti rap che hanno accolto gli eccessi e la decadenza della rock stardom – personaggi come Future, Young Thug, Rae Sremmurd, Post Malone eccetera – così come la “telecronaca” della fama e del lato oscuro del successo. I Rae Sremmurd si definiscono “i Beatles neri”, Future chiama se stesso “Future Hendrix”. Young Thung a volte indossa anche abiti da donna.
La famosa “nurse promo” dei Rolling Stones potrebbe essere considerata il primo esempio visivo del glam rock?
Se intendi il video di “Have You Seen Your Mother, Baby?” di Peter Whitehead, allora sì, potrebbe essere. Tuttavia il video prende in giro gli stereotipi femminili in maniera piuttosto cattiva. Lì gli Stones non cercano di apparire stilosi o belli.
La playlist glam essenziale di Simon Reynolds
T. Rex – Get It On, 1971
Il massimo boogie di Bolan, sinuoso e così sexy. Lo shuffle blues reso etereo ed elfico.
Alice Cooper – Elected, 1972
Esilarante satira politica: Cooper finge di correre per la presidenza ma suona genuinamente grandioso e megalomane. Tutto ciò mentre la musica è punk rock quattro anni in anticipo sui tempi.
Roxy Music – Beauty Queen, 1972
Brillante ed eterea ballad dal più artistico e sperimentale dei gruppi glam, con l’evocazione lirica di Bryan Ferry di un un ideale di glamour femminile che fa “tremare i suoi occhi stellati”.
The Sweet – Teenage Rampage, 1974
Fantasia isterica di un gioventù che rovescia il governo e riscrive le leggi, sostenuta da riff tosti che anticipano i Sex Pistols.
David Bowie – Fame, 1975
Un funk furioso e rovente incontra la gelida angoscia di Bowie per la paranoia e il disorientamento della notorietà.