Björk, artista totale: l’evoluzione di una ricerca estetica unica nel suo genere
Da sempre Björk è una delle artiste che maggiormente hanno portato avanti il discorso sulla sperimentazione musicale di pari passo a quello sulla ricerca estetica
A novembre è uscito il nuovo album di Björk, Utopia. Al pari dei primi due singoli estratti The Gate e Blissing Me, erano le nuove immagini dell’imprevedibile cantante islandese che stavamo aspettando. Da sempre Björk – che vedremo dal vivo in Italia il 13 giugno a Roma – è una delle artiste che maggiormente hanno portato avanti il discorso sulla sperimentazione musicale di pari passo a quello sulla ricerca estetica.
La cover parla da sé: l’ennesima prova da parte di Björk che glamour e grottesco possono anche andare a braccetto. L’opera è dell’artista Jesse Kanda, frutto di ore di post produzione e computer graphic.
Björk è stata una delle prime entusiaste a inaugurare il digital come strumento d’arte e come linguaggio di moda. Ha sempre avuto un’attrazione particolare per la libertà offerta dalle nuove tecnologie, sia creando un album da sé, solo grazie al suo portatile – come ha fatto sin dal 2001 con Vespertine – sia riconoscendo la valuta virtuale (i famosi Bitcoin, Audiocoin, Litecoin, Dashcoin) come denaro valido per l’acquisto di questo suo nuovo LP. Come ricorda lei stessa: “Il digitale mi permette di decidere in totale autonomia”.
Allo stesso modo in cui le piace avere il pieno controllo del suono, Björk ama anche avere il potere di orchestrare immagini potentissime. Un discorso – quello sul controllo e sulla manipolazione dell’immagine – legato a doppio filo con il mondo della moda. Non a caso Kanda ha prestato il suo occhio anche per il servizio “Paradise found” pubblicato questa stagione sulle pagine della rivista inglese Dazed and Confused, in cui Björk è protagonista.
Ha spesso flirtato con la carta patinata delle riviste. La copertina di Debut del 1993 è scattata dal fotografo francese Jean-Baptiste Mondino, firma di Elle e The Face e autore di molte campagne di Jean Paul Gaultier. Per il suo penultimo album Vulnicura del 2015 sceglie la coppia olandese Inez van Lamsweerde e Vinoodh Matadin – autori, tra l’altro, di decine di scatti per Vogue, non da ultimo quello per la cover dell’edizione italiana di novembre. Mentre il regista del videoclip di Blissing Me è Tim Walker, uno dei maestri della fotografia di moda del Novecento, autore del calendario Pirelli 2018.
È soprattutto con Nick Knight e con Show Studio si che esemplifica questo tipo di sodalizi tra linguaggio della moda, nuove tecnologie e musica. Nella cover di Homogenic del 1997, praticamente irriconoscibile, Björk veste i panni di una geisha guerriero con indosso un kimono disegnato per lei dallo stilista Alexander McQueen, l’enfant prodige dei Novanta e Duemila mancato prematuramente.
Negli anni le collaborazioni con gli stilisti l’hanno portata a vestire tanto i panni di un cigno quanto quelli di un gigante oggetto di plastica firmato Bernhard Willhelm. La musica basta a raccontare solo una parte del suo pensiero perché la sua ambizione artistica e la sua visione la portano ad evolversi anche e soprattutto attraverso l’immagine e gli abiti. Björk è una performer che utilizza il corpo come uno strumento al pari della musica. Come una trasformista porta avanti il racconto del suo mondo interiore per mostrarlo fatto e compiuto come una realtà totale che riesce trasportare chiunque si avvicini lontano da qui.
Oggi è con Alessandro Michele che collabora. Nel video per il singolo The Gate mostra un surreale costume bianco iridescente firmato dal direttore creativo di Gucci. Come fa sapere il marchio, “per la realizzazione effettiva dell’abito sono servite 550 ore di lavoro sartoriale e 320 ore di ricamo, 5 metri di tessuto plissé, 3 metri di strisce in PVC, 20 metri di organza lurex plissé, 1 metro di crepe de chine di seta e 2 metri di maglia di seta”. In tutto questo lei è a metà tra un essere fatato e una principessa dei ghiacci e lo scenario incantato, giocoso e infantile in cui si muove è frutto delle più evolute tecniche di realtà virtuale.
L’opera è del regista Andrew Thomas Huang, già collaboratore di Björk, oltre che che curatore della mostra “Björk Digital” che nel 2016 si è tenuta alla Somerset House di Londra. Il lavoro dietro a questo video è corale: Huang lavora in team anche con James Merry, modista, designer di accessori, che crea le maschere-gioiello che da diversi anni accompagnano i suoi abiti. Questi copricapo-protesi a cui è particolarmente affezionata, dice, “nascondono ma allo stesso tempo rivelano”. La aiutano a instaurare una relazione con le persone: un “flusso” in cui darsi anche a chi non conosce.
Ciò che differenzia Björk dalla maggior parte dei suoi colleghi che abitano il mondo dei palcoscenici – e occasionalmente quello dell’arte – è che abiti e maschere non le servono solo ad interpretare un personaggio. Il suo non è recitare, non è teatralità o passione per la moda: lei vive il suo mondo a pieno. Non toglie i panni di Björk il sabato e la domenica: non ti aspetti di vederla, una volta spenti i riflettori, nella classica immagine da tabloid – uscendo da Starbucks con indosso i pantaloni di felpa e una t-shirt bianca. Anche i proverbiali chignon, che negli anni sono diventati una sua caratteristica, non sono un’aggrovigliata opzione dell’ultimo minuto ma, al pari del resto, valgono come una precisa scelta esistenziale.
Articolo di Camilla Cabu