Gli Afterhours a Milano si rivestono da Piccole, grandi, Iene
La band di Manuel Agnelli, ieri sera al Carroponte di Milano, sta portando in tutta Italia il tour per il ventennale da Ballate Per Piccole Iene, album crocevia del gruppo rock italiano

Manuel Agnelli degli Afterhours
“È stato il concerto senza voce più divertente della mia carriera.” Manuel Agnelli al Kozel Carroponte di Milano si autodichiara afono. È un martedì sera che rasenta la perfezione. Nubifragio estivo appena passato, cielo limpido, arietta fresca, 20 gradi e il sole che si spegne lentamente dietro lo skyline milanese. A Sesto, la residency estiva del rock cittadino, si sta benissimo. Più precisamente stanno per suonare gli Afterhours, la superband di Manuel Agnelli e soci, riunitasi per l’occasione del ventesimo anniversario dall’uscita di Ballate per piccole iene. L’album del 2005 è un crocevia importante per la band.
Che Manuel fosse sotto-sotto un romanticone lo si era capito ormai da qualche anno. C’era però da coniugare un innato senso del rock con i lati più oscuri della propria personalità. Dopotutto il grunge e il post-grunge è stato anche questo. L’album suona però tutt’ora ancora fresco. E meritava una seconda chance dal vivo. Si tratta anche di un pretesto per riunire alcuni membri della formazione storica del gruppo milanese. Su tutti il batterista Giorgio Prette alla batteria, Andrea Viti al basso, Dario Ciffo al violino.
A fregare il vocalist è proprio quella brezza che serviva obbligatoriamente a rigenerare la città, ma che ha steccato in pieno le corde di Manuel. Ci pensano i 10 mila del Carroponte a rimpinguare qua e là ritornelli e strofe. La prova canora più sfidante è quella dei classiconi della prima era della band, su tutte Strategie, dall’album Germi.
Manuel Agnelli al Carroponte si oppone agli slogan di facciata
“Il messaggio deve essere molto chiaro. Non possiamo metterci uno contro l’altro. Vogliono farci fare il gioco delle fazioni, ma ci sono delle cose incontestabili per cui nessuno sta facendo abbastanza, dobbiamo fare molta più pressione per il cessate il fuoco in Palestina. Non c’è nessuna geopolitica che può giustificare la morte di migliaia di persone. La cosa più importante è non rimanere in silenzio.” Ci ha tenuto a specificare come i messaggi non vadano strumentalizzati. Si è preso il suo tempo per non lanciare solo uno slogan ma esprimere il suo dissenso nei confronti di ciò che sta accadendo nel mondo.
La denuncia è forte nei confronti di un sistema che ci mette l’uno contro l’altro, illudendoci attraverso i social di star partecipando alla vita politica. Di essere dentro il dibattito attivamente. Di fatto i social anestetizzano l’opinione pubblica e questo è il punto che c’entra volutamente Manuel Agnelli, al di là di qualsiasi presa di posizione politica. Che è tempo di reunion lo si è scritto in tutte le salse, basta guardare oltre Manica, le avventure dei fratelli Gallagher e degli Oasis a Cardiff. E che mai come in questo periodo storico a gran voce ci sia un sentito bisogno di rock, ecco anche questo lo si è percepito. Milano si divide su questo.
Da un lato ci sono gli Idays, che seppur negli ultimi anni abbiamo ospitato grandi gruppi rock, Red Hot Chili Peppers, Black Keys, Skunk Anansie, Artic Monkeys eccetera, nell’ultimo anno hanno scelto una linea più soft e pop (a parte i Linkin Park). D’altra parte, è vero che nelle altre venues estive della città il rock la sta facendo da padrona. Dal doppio live di Bruce Springsteen a San Siro, alle line-up del Parco della Musica che hanno visto esibirsi di recente i Nine Inch Nails e prossimamente Who e Smashing Punkpkins, ai Deftones e Fontaines Dc che hanno recentemente infiammato il Kozel Carroponte.
L’ultima è la band del momento, reduce dalla perfomance del Finsbury Park di Londra, e che abbia lasciato un segno nella calda estate meneghina si nota da subito. Svariate le magliette della band irlandese nella venue di Sesto San Giovanni. Così come è impossibile non notare la t-shirt dei Black Sabbath del fonico di palco. Pochi giorni fa Ozzy Osbourne ha suonato per l’ultima volta nella sua città, al Villa Park di Birmingham. Anche lì da notare la varietà umana sugli spalti.
Gli Afterhours hanno riunito a Milano tre generazioni
Così lo stesso Manuel è commosso a osservare nel pubblico tre generazioni di ragazzi, mamme, nonni. Per noi lui è sempre stato un misto tra Dave Grohl e Bruce Springsteen. Del primo ha l’estetica e la voce inconfondibilmente grunge. È tra gli autori più talentuosi in Italia, interprete puro, compositore di altissimo livello. Suona tutto e bene. E se negli anni ’90 Verdena e After erano in lizza per giocarsi il ruolo di Nirvana italiani, definizione che entrambi i gruppi hanno quasi sempre rifuggito, con picchi dei primi paragonabili a certe influenze dei Radiohead della seconda metà degli anni ’90, non ci sono mai stati tanti dubbi sul ruolo di Manuel Agnelli, vero frontman, compositore e polistrumentista.
È altrettanto impossibile non rivedere dei tratti del Boss che ha qualche anno in più. Sarà per la Telecaster del ’58, mi piace credere che la Sunburst che Manuel suona da sempre appartenga alla magica annata dell’era pre- Cbs, e anche perché pochi giorni fa in un San Siro da 38 gradi Springsteen si è presentato con cardigan, camicia e cravatta. Ecco il frontman degli Afterhours ieri, a differenza delle altre date del tour che l’hanno visto molto più spettinato, era in camicia e cravatta, composto e stiloso. Il portamento da gentleman non gli ha certo impedito di agitare la folla sulle note di Lasciami leccare l’adrenalina e di fare il suo classico gesto col microfono che di fatto incendia il pubblico.
Su ‘Non si esce vivi dagli anni ’80’ il monito è forte e chiaro. La speranza del frontman degli Afterhours è quella che sia in corso una vera e propria rivoluzione culturale, lontana dalle logiche di mercato che hanno annacquato negli ultimi dieci anni la discografia italiana. Rendendola per certi versi tanto redditizia quanto sterile e fine a se stessa. “C’è del buono ovunque, nel rap così come nella trap. Quello che schifo personalmente è il mercato che a causa di manager e discografiche ha annullato la creatività e standardizzato il suono in maniera avvilente. Sono fiducioso osservando molte band di ragazzi giovani che da questo periodo ne usciremo insieme, così come noi abbiamo tagliato i ponti con gli anni ’80.”