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Il postumanesimo rock dei Bring Me The Horizon agli I-Days di Milano

Un concept post-apocalittico a metà strada tra fantascienza e cyberpunk: il concerto della band britannica agli I-Days Milano Coca-Cola è stato un tripudio di luci, fuoco e pogo. Sul palco con loro anche YUNGBLUD

Autore Samuele Valori
  • Il8 Luglio 2024
Il postumanesimo rock dei Bring Me The Horizon agli I-Days di Milano

Foto di Massimiliano Lorenzin

La cosa che li accomuna, la prima che salta all’occhio, è il nero. Non stiamo parlando delle t-shirt, il 90% delle magliette di band o cantanti sono di quel colore, ma dell’atmosfera e dei simboli. Due elementi centrali per chi ascolta artisti come Olly Sykes e YUNGBLUD. Prendiamo i cuori neri, per esempio: ricoprono i commenti sotto i post dell’eccentrico e inarrestabile cantante inglese, rappresentano un rifugio sicuro e identificano una generazione. La stessa generazione che i Bring Me The Horizon immaginano post-umana e che ieri ha riempito l’Ippodromo Snai San Siro per il terzultimo appuntamento degli I-Days Milano Coca-Cola. L’ennesima dimostrazione che il rock, soprattutto nelle vesti ibride, resiste ancora e coinvolge il pubblico giovane e non solo nostalgici dagli anni Novanta e indietro.

YUNGBLUD

Dominic ormai è un habitué del nostro Paese, probabilmente uno dei luoghi in cui i suoi fan sono più numerosi e affezionati. Il suo set, anticipato di un quarto d’ora, è la quintessenza della nuova anima pop-punk di questi anni 20. Le chitarre si mescolano al rap, un’attitudine crossover che YUNGBLUD ha mostrato fin dal suo EP omonimo d’esordio e soprattutto nei due dischi successivi 21st Century Liability e Weird!. L’ora e un quarto abbondante si è aperta con SUPERDEADFRIENDS e il classico I Love You, Will You Marry Me. Sono stati dieci minuti in cui Dom non si è mai fermato: senza chitarra, col bicchiere in mano per pochi secondi prima di lanciarlo in mezzo alla folla, poi con la chitarra e poi di nuovo senza.

In tutto questo la sua voce graffiante non ha sofferto la fatica di un continuo andirivieni sul palco tra una fiamma e l’altra. Il pubblico non poteva fare a meno di essere coinvolto. Impossibile rimanere indifferenti con lui. E la stessa carica, con l’aggiunta di una ricca dose di emotività, si è sprigionata durante i pezzi più personali e più vicini al pop-punk classico, quello della scuola di Travis Barker. Funeral, STRAWBERRY LIPSTICK e I THINK I’M OKAY, brano che ha generato un karaoke generale.

C’è stato anche spazio per il nuovo singolo BREAKDOWN., preceduto da Parents e dalla scatenata esibizione di FLEABAG. Durante quest’ultimo pezzo YUNGBLUD si è letteralmente immerso tra le prime file, ha scroccato una sigaretta e ha realizzato il sogno di una fan di suonare la chitarra al suo fianco. Poco prima che terminasse il suo slot è iniziato a piovere – quasi un segno del destino – e Dominic ha regalato al pubblico Loner, la canzone con cui si è fatto conoscere al pubblico italiano.

L’esperimento dei Bring Me The Horizon

Lo show dei Bring Me The Horizon è cominciato con la schermata di un videogioco e il pubblico che urlava di premere play. Poi è partito un video che ha introdotto il concept della serata: uno studio sull’umanità, il cui risultato è che siamo destinati a scomparire. Allora tanto vale vivere quest’ultima esperienza a pieno, come suggerisce l’avatar sugli schermi. La band inglese, circondata da una scenografia che ricorda l’interno di una cattedrale, allo stesso modo non si risparmia e non bada neppure a spese. Fuochi e fiamme a profusione e in continuazione.

Foto di Massimiliano Lorenzin

La prima parte della scaletta, a eccezione dell’apertura DArkSide tratta dall’ultimo album POST HUMAN: NeX GEn, è pensata per scaldare – mai tale termine fu così azzeccato – il pubblico. Olly fa sfoggio delle sue abilità vocali con il growl in crescendo nell’immancabile Empire (Let Them Sing) e l’infuocata MANTRA. I Bring Me The Horizon, soprattutto grazie al carismatico frontman, hanno guidato come un burattinaio i loro fan. Se Sykes grida alla folla di allargarsi per formare un unico grande mosh pit, la folla lo ascolta e si divide. AmEN!, Shadow Moses e Can You Feel My Heart sono quelle in cui il pubblico si scatena maggiormente. I cellulari si contano sulle dita di una mano, anche perché esiste il forte rischio di perderlo nella ressa.

C’è anche spazio, come prevedibile, per un ritorno sul palco di YUNGBLUD durante Obey, prima di uno dei momenti più emozionanti del concerto. Durante Drown Olly Sykes è sceso dal palco e, dopo aver firmato autografi e stretto mani, ha cantato gli ultimi versi della canzone insieme ai fan della prima fila. Vederlo dagli schermi abbracciare uno dopo l’altro i fan e cantare con ognuno di essi un pezzo del brano, faccia a faccia come se si stesse confessando, è stato sconvolgente. A qualcuno sarà corso un brivido dietro la schiena al ricordo di Chester Bennington che faceva la stessa identica cosa durante i live con i Linkin Park.

Foto di Massimiliano Lorenzin

Il gran finale è stato un’apoteosi di quel crossover di cui sopra. L’elettronica Doomed, il ritornello pop-punk irresistibile di LosT e la chiusura affidata a Throne. L’esperimento post umano dei Bring Me The Horizon si è concluso. Sì, saremmo pure destinati all’estinzione, ma siamo ancora capaci di sentirci vivi. Urlando, saltando e senza la necessità di mostrarci “presenti”. Ognuno con la propria unica fragilità, ma tutti accomunati da un cuore nero.  

Le foto di Massimiliano Lorenzin

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