È bello perdersi nella discoteca labirinto dei Chemical Brothers
Lo storico duo britannico ha fatto tappa giovedì 14 luglio al Medimex di Bari. Gli 8mila spettatori hanno goduto di uno show davvero immersivo: oltre alla qualità della musica, il live dei Fratelli Chimici sfoggia luci e visual di altissimo livello
Le aspettative per il concerto di Bari dei Chemical Brothers erano alte. Anche perché chi aveva già assistito alle precedenti tappe del tour l’aveva confermato come uno show di elevato profilo, fra i migliori del duo britannico.
Promessa mantenuta. Ed Simons e Tom Rowlands hanno letteralmente investito i sensi degli 8mila spettatori presenti con circa due ore di scaletta serrata e uno spettacolo di luci e visual di livello superiore.
Un live spettacolare e multisensoriale
Il live è stato l’evento di punta del Medimex di quest’anno, in coppia con il concerto di Nick Cave a Taranto. Ha fatto del lungomare di via Paolo Pinto (zona Fiera del Levante) una grande discoteca a cielo aperto. Uno spazio in cui riscoprire il piacere “primitivo” del ballo collettivo dopo un lungo periodo di limitazione dei corpi.
Difficile, infatti, rimanere impalati a guardare il palco (anche se la combinazione di beat e visual ha talvolta un effetto davvero ipnotico). Gambe e braccia reclamano lo spazio e il movimento, quasi indipendentemente dai comandi del cervello, come se risvegliate per magia da un lungo torpore. Ci si guarda poi intorno e si capisce che tutto il pubblico ha subìto lo stesso incantesimo. Un grande organismo pulsante, in cui nessuno ha il timore di apparire goffo o impacciato.
Appare subito evidente che lo show progettato dai Chemical Brothers è un meccanismo di orologeria svizzera di durate, transizioni e cambi, che non ammette sbavature o improvvisazioni. Ogni pezzo ha una sua identità visual ben definita, che in fondo è lo spettacolo vero e proprio visto che i due sono costantemente in penombra.
Alcuni visual sono davvero impressionanti, complici le enormi dimensioni (con uno schermo che copre quasi tutto il fondale del palco) e le brillanti integrazioni con il parco luci (che spesso, attivando fasci di luce dallo schermo verso l’esterno, completa in modo “tridimensionale” i giochi visivi delle animazioni). Non mancano le più canoniche forme di “contatto” col pubblico, come il lancio di coriandoli o di grandi palloni colorati che la gente si rimbalza da una parte all’altra.
Chemical Brothers fedeli alla linea
La scaletta si apre e si chiude con dei classici: rispettivamente Block Rocking Beats e Galvanize (più l’encore con The Private Psychedelic Reel, accompagnata da un turbinio di immagini sacre che aggiunge intensità a una traccia già conturbante di suo). Immancabile l’iconica Hey Boy Hey Girl, che piazzano come quinta, ma per il resto la scaletta tende ad essere parca in fatto di hit (per esempio ci si aspettava qualche brano in più dall’album Surrender, come Out of Control e Let Forever Be).
In compenso trovano spazio brani più distesi che vanno a modulare la dinamica e le atmosfere del concerto. Ad esempio quella chicca che è Wide Open (realizzata con Beck per il bell’album Born in the Echoes del 2015) e la splendida Star Guitar, direttamente dal 2002, che invoglia a chiudere gli occhi e “nuotare nell’aria”, per dirla con i Marlene Kuntz.
Fedelissimi alla linea, senza concedere nulla alle tendenze musicali delle generazioni venute dopo di loro, i Chemical Brothers hanno dato vita a uno spettacolo potente, realmente multisensoriale, che fissa un bello standard qualitativo per i grandi concerti di musica elettronica presenti e futuri. Al di là dell’inevitabile fattore nostalgia legato agli anni ’90 e primi Duemila, non c’è dubbio che i Fratelli Chimici abbiano resistito alla prova del tempo diventando, a modo loro, dei maestri. Chi ne raccoglierà il testimone?