L’Araba Fenice Elton John brilla ancora
A 75 anni la grande star del pop dimostra con il suo Farewell Yellow Brick Road Tour che si può ancora incantare 50 mila persone come è successo per l’ultima volta qui in Italia nella sua prima esibizione al Meazza di Milano
Camminando controcorrente rispetto al flusso del pubblico che con passo rapido defluiva dallo stadio San Siro (famiglie, persone “normali”, avvistati solo due clamorosi omaggi a Sir Elton John: un ragazzo con un completo glitter da baseball e un paio di signore cinquantenni con completo lamé), il primo pensiero che ho avuto è stato: “Ma tra 50 anni, Harry Styles, Justin Bieber o Billie Eilish saranno in grado di fare show di tale potenza anche rimanendo quasi immobili?”.
Ovvio che non sappiamo la risposta e la mia non vuole neanche esser troppo una domanda retorica, anche perché da sempre sono allergico – tranne casi rarissimi – a vedere concerti di “vecchie glorie”, soprattutto se si tratta di rock e pop.
Ma nel caso di Elton John tutto è diverso, più unico che raro. Esploso nel periodo di maggiore creatività del rock, il cantante inglese ha saputo incarnare lo spirito più puro del pop che da sempre ha bisogno di almeno quattro ingredienti: un talento vocale straordinario, la capacità di empatia assoluta con il pubblico, cogliere lo spirito del tempo e ovviamente proporre canzoni incorruttibili al tempo che scorre.
L’ultimo show italiano di Elton John
Ma Elton John è tutto questo e molto di più. Un’Araba Fenice, un simbolo di resilienza e di coscienza critica nei confronti delle comunità LGBTQ+ e delle minoranze, dei più deboli (nota è la sua filantropia) che sa splendere di luce interiore potentissima e riflessa grazie ai suoi abiti di scena sempre incredibili (ognuno di noi presente avrebbe dovuto scintillare per salutarlo degnamente).
Il suo ultimo (?) show italiano è molto più intenso di quello che alcuni di voi avevano visto al Lucca Summer Festival prima della pausa pandemica. Il Farewell Yellow Brick Road Tour è una macchina perfettamente oliata che sta girando il mondo ed è stata concepita scenograficamente dal team UK di Treatment Studio (già dietro ai tour di Queen + Adam Lambert, Genesis e alla The Weeknd FM Experience).
Tutto con il supporto artistico di David LaChappelle e Martin Parr che hanno elevato la qualità iconografica dello show e che già regge magnificamente grazie all’enorme quantità di immagini che si porta con sé la ultra cinquantennale carriera di Sir Elton John. Senza contare sulla strategica selezione di clip dal blockbuster biopic, Rocketman.
La scenografia diventa bellissima solo quando il sole di giugno lascia il posto alle stelle. Certamente per Elton non possiamo immaginare quelle passerelle chilometriche che gli artisti di solito s’inventano per i grandi spazi per potersi avvicinare al loro pubblico. Peraltro qui a San Siro penalizzato da una disposizione del prato coperto dello stadio in stile teatro.
In scaletta oltre venti brani, compresa Cold Heart con la presenza virtuale di Dua Lipa
E che dire della musica suonata. Più di venti canzoni realizzate con la consueta perfetta abilità da altri ultrasessantenni. Le espressioni da film muto del percussionista Ray Cooper sono irresistibili come indimenticabili sono i guanti bianchi dello storico batterista Nigel Olsson, con il suo nome impresso sulla grancassa come accadeva negli anni ’70.
E poi da anni non vedevo in un concerto dal vivo una double deck guitar abilmente suonata da Davey Johnstone (così somigliante a Paul Weller versione capelli bianchi lunghi al vento). Stupenda la performance per Levon. Unico momento leggermente debole la versione dance di PNAU di Cold Heart, con la presenza virtuale di Dua Lipa. In questo caso molto meglio è stata la resa al concerto della cantante durante i suoi show, ma poco importa per questo lungo addio che sta celebrando in giro per il mondo la popstar inglese.
Your Song e Goodbye Yellow Brick Road chiudono questa notte ed Elton John sparisce inghiottito dalla scenografia grazie a una pedana mobile. Permettetemi, un finale che i magnifici del team di Treatment Studio secondo me non hanno perfettamente azzeccato. Una sorta di scalata al Paradiso per la terza età, una trovata non elegantissima.