Con i Fontaines D.C. siamo tutti figli delle stelle (del rock)
La band irlandese ha infuocato gli animi dei giovani e meno giovani, dal palco dell’Arena Puccini di Bologna. In una carrellata di alcuni dei brani più importanti del giovane gruppo, i cinque di Dublino hanno regalato una grande esibizione. Il nostro racconto
I Fontaines D.C. sono i figli che ogni rockettaro 40/50enne vorrebbe avere cresciuto. Sono gli eredi dell’atmosfera cupa new wave, sono giovani punk impegnati, sono piccoli dark bohémien. Hanno messo nel giradischi di papà i vinili dei Joy Division, degli Smiths, dei Clash, dei Cure, hanno ascoltato, capito, elaborato. Infine hanno regalato tre album non rivoluzionari, ma certamente perfetti e spontanei come l’adolescenza che hanno da poco superato.
Forse per questo all’Arena Puccini di Bologna – prima di tre date italiane estive – sono pochissimi e dimessi i ventenni presenti. Niente glamour, nessun outfit instagrammabile, Coachella è lontana e i glitter in stile Euphoria in Emilia-Romagna si vedono solo in riviera. Sotto il palco ci sono piuttosto schiere di capelli argento: gente nata tra gli anni Sessanta e i Settanta che inforca gli occhiali da vista per guardare l’ora sul telefonino, con addosso t-shirt di gruppi grunge anni Novanta.
Il racconto del concerto dei Fontaines D.C.
I cinque di Dublino hanno nomi scioglilingua quasi quanto i testi delle canzoni: Grian Chatten, Carlos O’Connell, Conor Curley, Conor Deegan e Tom Coll. E sono talmente compatti nel suono e nella presenza da farsi perdonare qualche gag stereotipata. L’apertura con una versione inglese di Bella ciao, la maglietta di Scarface (i ragazzi devono avere una discreta passione per i mafiosi, visto che il nome del gruppo è ispirato a Johnny Fontane, figlioccio di Vito Corleone), la scritta sullo sfondo Fontaines D.C. che si illumina nel tricolore. Tanto nelle stories del giorno dopo pochissimi capiranno che si tratta della bandiera irlandese e non di quella italiana.
Il pubblico si esalta fin dall’apertura con A Lucid Dream e Hurricane Laughter. Ma è su Sha Sha Sha, singolo del primo album Dogrel, che si alzano al cielo le mani di chi ha diligentemente affrontato la lunga coda di questo Express Festival, organizzato nei minimi dettagli dal Locomotiv Club. Per trovare un riferimento all’ultimo disco Skinty Fia bisogna aspettare le atmosfere sognanti e l’assolo di chitarra di Roman Holiday. Una ballad per prendersi una piccola pausa prima di tornare al punk con Chequeless Reckless.
Per quanto la comprensione dei testi sia resa difficilissima dalla spiccata pronuncia irish, è chiaro il tema sociale contenuto in Televised Mind, gemma dal secondo album A Hero’s Death. Chatten e compagni cuciono pezzi della loro piccola ma preziosa carriera passando l’ago da un disco all’altro. Nabokov e Big Shot le più recenti, poi si torna indietro per recuperare How Cold Love Is. La più romantica delle canzoni, I Love You, viene proposta in una versione decisamente accelerata, ché non c’è tempo e voglia di parlare d’amore. Meglio soffermarsi sulla letteratura di eroi finiti: A Hero’s Death.
La prima parte del concerto si chiude senza aver visto una sola pausa con un laconico «That’s it, thank you», che lascia presagire un bis all’insegna del minimalismo. E così è, purtroppo: una splendida versione live del singolo Skinty Fia apre la magica triade, seguita da Boys in the Better Land e dal singolo più amato di questo 2022: Jackie Down The Line.
Forse qualche pezzo in più avrebbero potuto inserirlo in scaletta, magari proprio Liberty Belle. La canzone, autoprodotta nel 2017, ha dato inizio ad un’ascesa all’Olimpo che ha visto i Fontaines D.C. esibirsi nei migliori festival europei. Ma in fondo non importa: vale comunque la pena vedere come questi cinque ragazzini colti si siano lasciati attraversare e trasformare dagli oltre cinquant’anni di storia della musica, e ne abbiano saputo restituire una versione assolutamente credibile ed estremamente piacevole.
I Fontaines D.C. suoneranno stasera al Magnolia di Milano e il 16 agosto al Parco della Musica di Padova.
Articolo di Federica Mingarelli