Hu, finalista di AmaSanremo: «Credo all’evoluzione, non ai punti d’arrivo»
L’artista polistrumentista classe 94 Hu porta la sua Occhi Niagara alla finale della competizione che definirà le nuove proposte del Festival
Il 17 si chiederà un ultimo sforzo ai 10 finalisti di AmaSanremo, evento da cui usciranno le 6 nuove proposte che prenderanno parte alla prossima edizione del Festival. In vista dell’atteso appuntamento, abbiamo intervistato una delle partecipanti: la talentuosa Hu (Federica Ferracuti all’anagrafe), che proverà a prendersi il pass con la sua Occhi Niagara.
La musica elettronica occupa un posto molto speciale nella tua vita. Quali sono state le tappe più importanti di questo incontro?
La musica elettronica e tutto quello che comporta questa definizione ha un ruolo centrale nella mia vita. Non è solo un’etichetta che definisce un genere e infiniti sottogeneri musicali: la musica elettronica è il punto di incontro tra ricerca, cultura e inclusività. Le tappe più importanti di questo incontro? Dunque…Vengo da studi jazz, mi sono affacciata alla musica classica e poi mi sono approcciata timidamente alla produzione quando avevo 15/16 anni. Ho sempre avuto la sensazione che tutto quello che avevo la necessità/curiosità di imparare, avesse solo fini compositivi, non virtuosistici. Io volevo solo comporre e mettere tutti gli elementi insieme alla mia voce: la musica elettronica è stato il collante naturale.
La pluriskillata Hu
Guardando al tuo percorso ci si accorge che il canto sul palco è la punta di un iceberg diviso in direzione artistica, strumenti musicali, capacità autorale, istruzione didattica e autodidattica. La tua ambizione è definirti come figura trasversale o hai messo a fuoco un punto d’arrivo particolare?
La mia ambizione, il mio sogno è quello di non fermarmi mai. Credo nell’evoluzione, non ai punti d’arrivo. Per questo cerco costantemente stimoli e mezzi espressivi, in qualsiasi forma d’arte o compositiva o performativa. Sono molto esigente con me stessa, tanto che ho questo motto che ogni volta che mi succede qualcosa di bello mi dico “non è mai un traguardo, ma un grande punto di partenza per altro”. Mi piace mettermi alla prova.
Occhi Niagara: qual è stata la leva o l’input che ti ha portato a questa immagine? Sembra di vivere un film in attesa del ritornello…
Niagara è prima di tutto un pantone che mi piace particolarmente e sono partita proprio da questo colore. Poi c’è stata l’associazione naturale alle cascate del Niagara, come qualcosa in cui potersi lasciare andare o qualcosa in cui nuotare paradossalmente, che alla fine è la stessa cosa che succede quando finiamo per perderci negli occhi di qualcuno e da lì, la canzone è nata in 15 minuti. Mani sul piano e la prima frase flash ad occhi chiusi “non sai che le onde si fanno aspettare, forse è per questo che in fondo cerchi il mare”.
Poi ho pensato alla sensazione che hai quando esci da un club alle 6 del mattino e stai tornando a casa. Le strofe sono un viaggio nell’attesa di qualcosa, che sia un evento, che sia un giorno che ricomincia da capo e poi torni a casa a pezzi a fare i conti col divano (che per me è lo psicologo di casa), dove magari ti bevi un’ultima cosa fino a fare un po’ schifo perché vuoi solo perderti. Poi arriva l’inaspettato e finisci per nuotare negli occhi di qualcuno che ti fa ritrovare il centro.
Tra misticismo e clubbing
Hu deriva dalla mitologia egizia. Come trovano spazio misticismo e spiritualità nella musica in un momento storico profondamente disincantato?
La componente spirituale della musica è una conseguenza naturale e direttamente proporzionale all’amore che hai per quello che fai. In un momento storico come questo, la spiritualità non deve essere un appiglio per non andare in down o per alimentare un’illusione, ma un modo per trovare una soluzione, reinventarsi e magari evolvere.
In che momento Sanremo è diventato un obiettivo concreto?
AH..non è mai stato un obiettivo concreto, è un grande sogno. Arrivare alle finali del 17 dicembre, segna l’inaspettato per me. Portare una canzone come Occhi Niagara, che alla fine è un crossover tra elettronica, neoclassica e cantautorato al festival storico della canzone italiana e ricevere delle critiche incredibilmente positive è una grande vittoria artistica. In qualsiasi modo andrà, questo percorso mi ha fatto crescere.
Tra scrittura e clubbing, qual è l’artista che ti ha cambiato la vita?
Non c’è stato solo un’artista che mi ha cambiato la vita e la visione delle musica, te ne potrei citare davvero tanti, però un ruolo fondamentale l’ha avuto Olafur Arnalds (e tutta l’Erased Tape Records).
Dal Fabrique ad AmaSanremo
Hai suonato in club importanti aprendo artisti altrettanto importanti (penso a Bloody Beetroots). Che vibe in più può darti un palco generalista come Sanremo?
L’esperienza di un live o un dj set in club come i Magazzini Generali o Fabrique o suonare nei posti squattati, piccoli club e festival hanno tutti in comune qualcosa, non conta quante persone hai davanti. Che sia 1 o 100 o 10000, tu coesisti con l’energia di chi ti ascolta e ti trasmette stati d’animo. L’esperienza di Sanremo è un percorso diverso, per me uno step di evoluzione: comunichi con gli occhi, con le parole con il tuo corpo a qualcuno che non puoi vedere e devi restituirgli quello che provi, quello che racconti in un modo estremamente trasparente e chirurgico.
I micro errori diventano errori giganti e la performance richiede un grande lavoro di preparazione tecnica ma soprattutto mentale. Hai 3 minuti per convincere chi ti sta ascoltando a non voler cambiare canale, 3 minuti per emozionarlo almeno l’1% di quanto tu sei emozionata. Ed è una grande prova, ti mette difronte ai tuoi stessi limiti e ti spinge a migliorarti.
Mi ha colpito che nonostante un 2020 così difficile tu abbia comunque scritto in un post IG che “dicembre è un bel mese da non finire mai”. Considerato anche l’ingresso in Warner possiamo dire che paradossalmente è stato il tuo anno più importante a livello professionale?
Questo anno è stato personalmente molto complesso per tantissime ragioni che non sono legate minimamente al Covid. Magari un giorno ve lo racconto (o magari no). Ma paradossalmente è stato l’anno più intenso che mi sia capitato, e trovare la mia squadra manageriale con Kosmi Carlucci e Flavia Guarino e il successivo ingresso in Warner, hanno segnato un grande punto d’inizio per quello che sognavo da quando mi sono messa addosso una chitarra a 11 anni. Quindi si, è stato un anno incredibile. Poi manca ancora qualche giorno perché finisca il 2020 e si sa che i gol al 90esimo minuto succedono, quindi se ne riparla a Capodanno.