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Il cielo elettrico non ferma i Tame Impala. Un concerto da ricordare

Ieri sera all’Ippodromo di Milano una dimostrazione di stile e talento da parte di Kevin Parker e i suoi accoliti

Autore Tommaso Toma
  • Il8 Settembre 2022
Il cielo elettrico non ferma i Tame Impala. Un concerto da ricordare

I Tame Impala dal vivo a Milano il 7 settembre 2022 (foto di Stefano Masselli)

Sopra San Siro incombe un cielo elettrico. I lampi silenziosi in lontananza e la luna nascosta fanno pensare ai quadri di Caspar David Friedrich e a Stranger Things. Io aspetto mia figlia 15enne che mi deve raggiungere all’ingresso – è da un anno che aspetta di vedere questo concerto – e intanto osservo questo flusso curioso: da una parte un’onda di magrissimi ragazzini con papà, accomunati dagli stessi colori nero azzurri; in direzione contraria invece corrono leggere verso il concerto dei Tame Impala le ragazze stilose, tante straniere.

È un delirio tutto attorno, tra auto impazzite e orde di gente con la bandiera nerazzurra, alcuni supporter del Bayern spaesati, scaltri bagarini, steward svogliati a controllare il flusso alle transenne dell’Ippodromo. Sembra di assistere a una performance artistica di altissimo livello.

Ma ad essere veramente al top sarà il concerto. Il sound dei Nu Genea prima però, dopo che nel tardo pomeriggio il delizioso Giorgio Poi ha imbracciato la sua chitarra davanti a un pubblico poco numeroso. Come sempre Massimiliano Di Leva e Lucio Aquilina danno dimostrazione della loro leggerezza trascinante. Tienaté, Marechià e le canzoni di Bar Mediterraneo (la cui scritta campeggia sul palco) ci fanno ricordare che nonostante il cielo minaccioso c’è voglia di fare l’ultimo saluto all’estate (fa comunque caldo, ci sono 27 gradi). Mi immagino Kevin Parker che batte il piede dietro il palco.

Foto di Stefano Masselli

Il pubblico “onnivoro” dei Tame Impala

Se dovessi spiegare a un neofita il sound dei Tame Impala, prenderei a modello la selection che va in sottofondo in attesa del loro arrivo. Mushroom dei Can, Living for the City di Stevie Wonder, una manciata di classiconi della West Coast degli anni ’70. Ci mancava un pezzo dei Daft Punk ed eravamo al top.

Il loro intreccio psichelico-rock-soul-elettronica è la sintesi di una generazione di pubblico che sa ascoltare un po’ di tutto. S’infervorisce per Kendrick Lamar, aspetta con ansia il nuovo live degli Arctic Monkeys, andrebbe di sicuro a un concerto di Mac DeMarco, ballerebbe fino a tarda notte in un DJ set electro/house e accetta rispettosamente di ascoltare i dischi dei Jefferson Airplane dello zio.

Personalmente amo questo pubblico. Mi sento a mio agio e quando attaccano sul palco i Tame Impala, mi dimentico di avere 50 anni, di avere un gap generazionale, di non dovermi sentire sideralmente lontano da mia figlia che qualche passo più avanti al mio è in posizione “statua della Libertà” per documentare l’incipit e far diventare gelosi gli amici che non sono lì accanto a lei.

Fra psichedelia e synth pop

Il concerto è bellissimo, parte con un messaggio video salutista ma estremamente lisergico sui benefici della pasticca Rushium in vendita qui in uno stand. Poi la band attacca con One More Year. Messa lì all’inizio ci fa ricordare come Kevin Parker sia diventato un oggetto di culto.

Saper passare dalle cose prodotte a Perth nel 2010/12 con quell’intrigante repêchage di psichedelia mutante, sfumata e quel rock vicino al periodo fine ’60 / inizio ’70 (Beatles e il Todd Rungren di A Wizard, a True Star) a un flusso sonoro formato da correnti funk, disco, synth pop (un vortice temporale senza via di uscita ma con tante opzioni aperte alla noi ascoltatori) è un’operazione sopraffina, difficilissima.

Kevin Parker, assieme a Cameron Avery, uno dei più stilosi bassisti in circolazione, senza dimenticare gli altri del gruppo – tutti disposti sul palco come una band della West Coast anni ’70 – hanno dimostrato ancora una volta che i Tame Impala ci sanno fare, eccome.

Foto di Stefano Masselli

Il concerto

Ad aiutarli, un impianto scenografico dove la luce è la principale protagonista. Dai video lisergici e psichedelici a quell’interessante struttura circolare che dall’alto del palco incombe e si muove creando giochi di luci e fumi. Non so cosa sembri: un anello iperspaziale, la riproduzione della pista circolare dove corrono i neutrini del Cern, un omaggio ai Pink Floyd?

All’inizio il suono è un poco basso, poi si assesta e anche la band si scalda. Kevin urla: «Non mi interessa più se adesso piovesse, fanculo! Sono troppo felice di essere qui». Durante tutto il concerto ha continuato a mandare messaggi di amore verso Milano e addirittura, prima del finale, la band si è messa a jammare su un inedito, Milano Blues

Scivolano sull’olio (non quello da fumare…) Nangs e Disciples, dal sempre piacevolissimo Currents. Poi arriva il funk con quel pazzesco giro di piano che è Breathe Deeper. Accanto a me due ragazzi a torso nudo ballano e si baciano. Non manca la svisata rock con Elephant e partono i fumi e i coriandoli, voilà. E poi una corsa attraverso le canzoni simbolo della band: Feels Like we Only Go Backwards, la paraculissima Eventually, per finire in magnificenza con quel giro di basso che ti si appiccica addosso di The less I Know the Better e si chiude con i lampi sopra le nuvole e One More Hour. Ciao Kevin e ciao estate.

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