Macché flop. Il popolo di Ligabue è più forte che mai
Macché flop: il popolo di Ligabue è più forte che mai. Dopo le polemiche che hanno accompagnato l’inizio dello “Start Tour” di Ligabue, Milano ha celebrato il rocker a ventidue anni esatti dalla sua prima volta a San Siro. Oltre 56mila presenze hanno cantato per oltre due ore le hit del Liga. Dimostrando che quello che cambia davvero le regole del gioco è la completa corrispondenza di cuore tra chi è sul palco e chi, invece, decide di assistere allo spettacolo. Tutto il resto è (davvero!) secondario.
Sono sincero. Mentre ieri, venerdì 28 giugno, camminavo verso San Siro, avevo in testa tutte le polemiche dell’inizio del tour negli stadi di Ligabue. Il debutto a Bari che non è andato come ci si aspettava, le relative polemiche per una gestione non ottimale degli spazi vuoti, la successiva ammissione di Ligabue. «Il tour è cominciato e se da un lato è vero che in alcuni stadi, a questo giro, l’affluenza di pubblico è inferiore alle previsioni dell’agenzia, dall’altro è anche vero che l’altra sera a Bari è stato meraviglioso ritrovarvi con tutta quella energia e passione e bellezza che solo voi sapete sprigionare», ha scritto il rocker sulla sua pagina Facebook. Alimentando chi cercava ulteriori motivi per sottolineare il flop e allo stesso tempo avvicinando ancora di più a sé chi, invece, non vuole allontanarsi da lui per nulla al mondo.
Mentre salivo sui gradini verso la tribuna stampa ho incrociato centinaia di facce, dai ragazzini a quelli che, invece, lo erano qualche decennio fa. Chi con la fascetta, chi con una maglietta di qualche tour fa, chi semplicemente con la voglia di passare una bella serata all’insegna del rock. Così, gradino dopo gradino, ho capito una cosa. Che ormai siamo tutti diventati schiavi dei numeri. Dei primati. Dei record. Della presunzione di chi non ammette sbagli, errori.
La qualità di un concerto non è in nessun modo determinata dai numeri. Allora cosa dovremmo pensare di chi non occupa le prime posizioni delle classifiche? O di chi passa la sua intera vita ad esibirsi con i propri pezzi di fronte a platee di poche decine di persone? Sono forse meno rispettabili di chi invece – cercando un tormentone stupido e senza creatività – sforna “hit” destinate all’oblio? Sapete cosa cambia davvero le regole del gioco? La completa corrispondenza di cuore tra chi è sul palco e chi, invece, decide di pagare un biglietto per assistere allo spettacolo.
Questo discorso vi sembrerà retorico. Vi assicuro: non lo vuole essere. Vuole semplicemente riportare al motivo per cui un artista (artista!) fa musica. E, sì, se alcune date di un tour negli stadi non riescono a vendere abbastanza, allora, certamente, ci sono dei problemi. Che vedono a parer mio differenti responsabilità. Un esempio? I biglietti del tour di Liga sono stati messi in vendita a fine gennaio, tardi rispetto agli altri tour estivi negli stadi: Vasco ha aperto le vendite a novembre 2018, Laura Pausini e Biagio Antonacci a inizio dicembre. Insomma: ci sono più fattori da guardare prima di gridare al flop e, in ogni caso, se i numeri non sono enormi, forse un tour negli stadi risulta una scelta ambiziosa, poco aderente alla realtà dei fatti. Poco importa. Basta rendersene conto.
Questo non vuole essere in nessun modo una giustificazione di un inizio tour che, a livello di numeri, non ha obiettivamente soddisfatto le aspettative del rocker e del suo entourage (fosse l’unico big che fa fatica a riempire gli stadi…). Ma vuole semplicemente essere una proposta a tutti di guardare un po’ più in alto.
Ieri, pieno delle polemiche e dei discorsi degli addetti ai lavori («Ligabue è finito», «Ormai nessuno riempie gli stadi, le canzoni di Ligabue sono tutte uguali e nessuno più lo segue», ecc), mi sono seduto nella mia postazione. E ho visto una cosa: uno stadio pienissimo. E uno spettacolo che ha mantenuto un coinvolgimento totale con il pubblico per oltre due ore.
Lo abbiamo detto poco fa: il successo di uno show non è determinato dai numeri. Ma in momenti come questi è necessario tirarli fuori: oltre 56mila persone hanno riempito San Siro, a ventidue anni esatti dalla sua prima volta nella Scala del calcio. L’abbraccio del popolo del Liga è stato forte, fortissimo, nonostante la temperatura che ha reso tutto un po’ più complicato («In un momento come questo in cui non ci sono più certezze, mi sento di comunicarvene una: stasera non avremo bisogno di termocoperte», ha scherzato a inizio concerto).
La salvezza di Ligabue sta nella forza delle sue canzoni (che, ammettiamolo, sappiamo tutti a memoria), nella sua intenzione rock e credibilissima mentre esegue le sue hit, nella sua continua ricerca dello sguardo del pubblico. Dopo le prove generali del tour a Reggio Emilia (qui vi avevamo raccontato le prime impressioni), lo stesso Liga ci aveva raccontato che non vedeva l’ora di abbracciare il suo pubblico di nuovo, tanto che ha chiesto di inserire alcuni gradini sulle due passerelle che lo avvicinano alla folla nel parterre, in modo da poter toccare le mani dei suoi fan. E così è stato. E, ve lo assicuro: il coinvolgimento è stato totale.
Quando ci si interessa di musica ma allo stesso tempo si iniziano a seguire le bagarre degli addetti ai lavori (che – novità! – molte volte sono dettate solo da interessi e mai da una sincera ricerca della verità), ci si fa spesso influenzare da slogan e titoli. Io sono entrato al concerto pieno di domande sullo show. Sarà pieno? Sarà vuoto? Ligabue è davvero finito? Il suo pubblico è stanco? Ma forse, a volte, basterebbe andare a vedere con i propri occhi cosa succede. Per potersi fare un’idea propria, per toccare con mano la verità. O, perlomeno, per provare ad avvicinarcisi.
Io ieri sera ho visto uno show che mi ha emozionato, commosso ed esaltato. Ho visto un popolo che non è per nulla stanco di cantare il repertorio di Liga, che siano le hit di sempre o i nuovi pezzi (che, a dir la verità, funzionano forse meglio dal vivo che nella versione in studio). Un popolo che – in un momento come questo in cui tutti sembrano interessarsi di numeri, primati persi o posti vuoti – ha voluto esserci. Testimoniando che non è un popolo morto come tanti colleghi amano dire. In una semplice frase: macché flop, il popolo di Ligabue è più forte che mai.