Little Simz ha portato sul palco la rivincita degli introversi
La rapper (ma la definizione è riduttiva) di Islington ha infiammato il Fabrique di Milano – orgogliosamente sold out – con un live minimale e allo stesso tempo maestoso che ci insegna il potere dell’essenzialità e si annovera senza dubbio tra i migliori dell’anno
«But trust me, this music tings is my prophecy, I didn’t need to convince them ‘cause they saw it all from just watching me. Now I got them on sight, confidence rises. There ain’t no stoppin’ me, I’m unstoppable», recita Little Simz in quello che è quasi uno spoken word davanti alla folla accorsa ad acclamarla lunedì sera in un Fabrique orgogliosamente sold out per l’unica data italiana del suo Sometimes I Might Be Introvert Tour.
E Simbiatu Abisola Abiola Ajikawo (questo il vero nome della rapper – sebbene sia una definizione decisamente riduttiva – di Islington), unstoppable, sul palco, lo è davvero. Lo è nei movimenti, mentre si abbandona sinuosa e magnetica ai ritmi afrobeat e quasi tribali di Point and Kill e Fear No Man e ai synth ipnotici e scintillanti di Protect My Energy, mentre fluttua da una parte all’altra come trasportata da un soffio di vento. Ma lo è anche nelle barre serratissime di Rollin Stone, nell’extrabeat di Venom e nel flusso autobiografico della sopra citata How Did You Get Here. Lo è in risposta a tutti coloro che, prima del successo mondiale, le dicevano «Tu? Lì? Mai», come ricorda in uno degli intermezzi dello show.
E in quel metaforico ma non troppo lì, Little Simz, ci è arrivata dopo anni di carriera e un susseguirsi di album incredibili (a cui presto se ne aggiungerà un altro, No, Thank You) che le sono valsi la benedizione di Kendrick Lamar (che beh, insomma, quando il rapper migliore del mondo ti definisce “la miglior rapper in circolazione”, il chiacchiericcio di chi non credeva in te diventa solo un impercettibile rumore di sottofondo). Ma anche l’accostamento a nientepopodimeno che Ms. Lauryn Hill, che Simbiatu ricorda molto da vicino e di cui raccoglie senza dubbio l’eredità artistica per tematiche e attitudine.
La parola è l’unico vero statement di Little Simz
E sul palco del Fabrique, Little Simz, ha dimostrato che la dichiarazione di K-Dot proprio un’iperbole non era, tenendo una vera e propria masterclass il cui unico mantra è stato less is more. Una formazione minimale alla vecchia maniera (femcee e dj), lei così minuta ma al tempo stesso enorme, in una tuta monocromatica e una t-shirt bianca senza alcun brand in bella vista. Ed è proprio in quel momento che si insinua la consapevolezza che il contorno – talvolta – è solo frivolezza, che l’essenziale è tutto ciò di cui abbiamo davvero bisogno quando si parla di arte, quella vera. Che quando le cose da dire sono tante e così tanto importanti, non è necessaria alcuna forma patinata ed effimera che colmi le lacune del contenuto e mascheri una vacuità di fondo.
Ma anche che i gioielli e gli orpelli ostentati spesso e volentieri dai maschi alpha dell’hip hop non sono nulla in confronto all’urgenza espressiva traboccante di Little Simz, il cui unico statement è la potenza assoluta della parola. Pregna di innumerevoli significati, ponderata e riflessiva ma al contempo istintiva e strabordante. Quell’urgenza che senti pulsare quando “c’è una guerra dentro”, come rappa in Introvert, il brano apripista della sua colossale opera, premiata recentemente come album dell’anno con il prestigioso Mercury Prize.
La rivincita degli introversi
Che il Fabrique fosse sold out, poi, non è un dettaglio da trascurare. Sometimes I Might Be Introvert (così come era stato Grey AREA) è infatti sì un album monumentale, ma decisamente non semplice da masticare per la complessità di suoni, tematiche e corposità delle tracce. È uno di quei dischi che ha bisogno di tempo per restare nel tempo. E forse questo tutto esaurito non del tutto scontato è il segnale che il pubblico italiano è davvero pronto per un certo tipo di rap che vada oltre la comprensione immediata e il puro intrattenimento.
Quello di Little Simz, infatti, è molto più di un semplice concerto. È un rito collettivo di amore, condivisione («Siamo qui, di nuovo insieme. La musica è il linguaggio che ci unisce tutti»), empowerment e riflessione. È uno di quei live di cui non ti scordi così facilmente, perché ti lascia appiccicata addosso la sensazione che quella a cui hai appena assistito è un’esperienza che trascende anche la musica stessa. È la rivincita degli esclusi, di tutte le donne messe all’angolo, di tutti quelli a cui la vita ha sbattuto porte in faccia a suon di “non puoi farlo”. La rivincita di coloro che sì, a volte potranno anche essere introversi, ma forse è solo perché devono ancora trovare la loro occasione per brillare. E allora, come direbbe Simz: Woman to Woman, I just wanna see you glow.