Lost Music Festival, La trama labirintica di un sentire comune
L’evento ci ricorda che una forma alternativa di vivere i festival è possibile, senza spettacolarizzazione e con presenza, nel qui e ora

Foto di Stefano Mattea
Lo scorso anno dicevamo che il Lost Music Festival era stato un viaggio intimo al ritmo del bambù. La prima esperienza in un contesto naturalistico e suggestivo come il Labirinto della Masone è difficile da replicare – probabilmente come ogni prima volta – ma quest’anno il festival è riuscito a sedimentare un sentimento di appartenenza ancora più viscerale. In un panorama di festival sempre più affollato e spesso guidato dall’hype, il Lost ci ricorda che una forma alternativa di vivere i festival è possibile, senza spettacolarizzazione e con presenza, nel qui e ora.
Il senso di appartenenza al Lost Music Festival
Parlando di senso di appartenenza, non ci si riferisce solamente al legame che i festival-goers instaurano con le lineup, ma soprattutto alla comunità che essi stessi compongono e a cui sentono di appartenere. Il Lost è proprio questo: un contenitore per persone che di vita vogliono vivere, di sensazioni inebriarsi. La cura collettiva negli spazi verdi del festival è notevole: non mancano sorrisi verso sconosciuti, nuove amicizie, semplici domande come “come ti stai vivendo questo festival?”.
Come se ci fosse un’aura di sensibilità più alta, condivisa, in cui tutti i pezzetti di un puzzle si prendono cura l’uno dell’altro, per attaccarsi perfettamente e comporre un’immagine unica. “Codici di geometria esistenziale”, per citare Battiato. Ed è questo che contraddistingue quei boutique festival che vanno vissuti tutti d’un fiato, dall’inizio alla fine, con annessa esperienza in camping. Quest’ultimo è stato il “dietro le quinte” del popolo del festival: nel labirinto si viveva la musica, nel camping la socialità – grazie a miglioramenti sostanziali e di qualità nei servizi offerti, tra cui una tenda di scoperta di vinili e libri, selezionati e gestiti da Box of Tangerine, e una dedicata al collective care.
La varietà della proposta artistica
Dal punto di vista artistico c’era una certa varietà, con un’alternanza simbolica tra il “sentire” dei live ambient, spesso più performativi, e l’“ascoltare” dei DJ set più spensierati. Sarebbe stato bello avere più live suonati, meno elettronica in favore di strumenti dal vivo in alcuni intermezzi. Inaspettata, spesso, la distribuzione della lineup. Se siete soliti rilassarvi il pomeriggio ai festival e “pestare” la notte, il Lost vi avrà lasciati forse con dei dubbi, di primo acchito.
Al festival del labirinto, i set più spinti si vivono alla luce del sole, come il molleggiante set di Nazar con ritmo spezzato e influenze kuduro del sabato pomeriggio, e quelli della domenica, di cui parleremo dopo. Il sabato sera, dalle 21.30 all’una di notte, ci si sarebbe aspettati una componente ritmica più marcata. Invece, davanti al Pyramid Stage, è andata in scena una serie di live performativi dal forte carico emozionale. Rainy Miller ha presentato Joseph What Have You Done?, mentre Hesaitix ha proposto il progetto Santarosae nel labirinto – quasi un rito immersivo – che ha avvolto la notte in sequenze ambient distensive.
Se da un lato queste scelte rafforzano il carattere meditativo e site-specific del festival, dall’altro possono lasciare disorientati i partecipanti meno pronti a destrutturare il proprio modo di fruire la musica ai festival. Il set di Torus ha poi riequilibrato l’atmosfera con un approccio più leggero, soddisfacendo il bisogno di movimento che aleggiava nella notte.
La domenica
Dall’imprevedibilità artistica del sabato, che ha lasciato molti con domande aperte, si è passati a una domenica più definita. Simbolicamente il giorno della pausa, si è trasformato invece nel giorno della danza: quello in cui ci si muove, si balla, ci si ricarica. Il set di Significant Other, al mattino, è stato liberatorio e ha aperto una giornata scandita da bpm più alti, lasciandosi alle spalle le atmosfere ambient del venerdì e parzialmente del sabato.
Tra gli altri set notevoli, abbiamo scoperto quello di Takkak Takkak, che ci ha fatto sorridere per l’ampia platea di ragazzi e ragazze che indossavano il loro coloratissimo merch. Il pomeriggio ha concluso quella narrazione che probabilmente la direzione artistica voleva trasmettere: dare spazio alla luce del giorno, alla solarità dei volti. Corpi in movimento anche per la conclusione del festival, con il set di Piezo B2B Upsammy sotto fulmini e pioggia – una cornice ancora più suggestiva per il saluto finale al labirinto.
Proprio come nel 2024, la domenica ha rappresentato il momento della transizione dall’introspezione alla solarità: si è tornati a casa stanchi il giusto, ma con la serotonina più alta rispetto all’arrivo. Quasi nessuna sovrapposizione tra i set: un percorso lineare che, volente o nolente, invitava il pubblico ad affidarsi al flusso, indipendentemente dalle aspettative.
Lasciarsi andare al Lost Music Festival
L’unico modo per vivere il festival era lasciarsi condurre e scoprire, senza saltellare da un palco all’altro. Il che è positivo in parte, ma merita anche una riflessione circa la libertà del pubblico più avvezzo a una fruizione esplorativa. Qualche scelta simultanea in più avrebbe forse aiutato chi, per indole, preferisce vagare tra un palco e l’altro.
Nel pubblico c’erano tante persone alla loro prima volta, che avevano scelto di esserci perché qualcuno di cui si fidavano aveva detto che era il posto giusto per scoprire e riscoprirsi. La scoperta rappresenta la chiave di lettura di questo festival, e forse anche di quell’intera costellazione di festival sartoriali che ambiscono a mettere radici nella comunità che li genera e li nutre.
Non importa conoscere la lineup alla perfezione: basta abbandonarsi alla volontà di mettersi in discussione senza preconcetti, di lasciarsi andare, e dare una chance alla cura collettiva nelle contorte vie del labirinto. La lineup, tra l’altro, riflette questa idea: nessun nome pensato per trainare la biglietteria: al Lost, è il Lost stesso a essere il richiamo.
I numeri di quest’anno hanno superato le edizioni passate, ma insieme al successo echeggia un dubbio: il Lost saprà conservare l’intimità delle origini nel pieno del suo climax di notorietà? Pur lontano dalle logiche di massa, nel 2026 il festival entrerà in una fase delicata, affrontando la sfida che molti boutique festival hanno già conosciuto: restare fedeli a sé stessi mentre cresce l’attenzione.