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LOST Music Festival è stato un viaggio intimo al ritmo dei bambù

Per tre giorni arte, musica e linguaggi si sono intersecati inevitabilmente e in perfetta simbiosi con la natura circostante

Autore Giovanni Pontorno
  • Il9 Luglio 2024
LOST Music Festival è stato un viaggio intimo al ritmo dei bambù

LOST Music Festival, foto di Stefano Mattea

Si è appena concluso il LOST Music Festival, che dal 5 al 7 luglio si è svolto presso il Labirinto della Masone a Parma. Un festival in cui arte, musica e linguaggi si sono intersecati inevitabilmente con la natura circostante. E dove il labirinto (è quello di bambù più grande al mondo) è proprio elemento imprescindibile, senza il quale la manifestazione per come l’abbiamo vissuta, non avrebbe motivo di esistere.

Il LOST Music Festival non è il posto in cui trovare headliner o nomi in grado di spostare masse critiche di grandi dimensioni. Il senso del festival è scoprire nuove chicche e lasciarsi guidare verso un percorso in simbiosi con il luogo che lo ospita. È il labirinto stesso a dettare i tempi, consapevolmente plasmato dalla programmazione musicale di Luca Giudici, direttore artistico del festival. Un mix nazionale e internazionale, con live inediti e progetti musicali esclusivi, in cui il labirinto rappresenta il contenitore, e il festival il liquido che prende forma all’interno di esso.

Al LOST Music Festival conta solo un senso: l’udito

Il primo impatto con la contorta venue è disorientante. Ci si perde tra i vicoli nella penombra per poi iniziare a comprendere che l’unico modo per orientarsi è lasciarsi guidare da un unico senso: l’udito. I primi 30 minuti tra i bambù lasciano perplessi: può realmente essere così complesso spostarsi tra un palco e l’altro? Ci si può ritrovare allo stesso punto di partenza per due volte, cercando di scovare la via tramite la vista, provando a distinguere le deviazioni già percorse.

L’unico modo per trovare il percorso è ascoltare le vibrazioni provenienti da Bamboo 1, Bamboo 2, i primi due palchi tra i 4 vissuti durante le prime due ore al festival. Recuperata la via, mi trovo davanti al mio primo live, Agua Dulce di Ale Hop e Laura Robles. Rude, primitivo, stranamente connesso con il movimento delle altissime canne di bambù leggermente mosse dal vento. È stato spiazzante, perché non ho mai vissuto un senso di connessione così intrecciato tra musica e natura? Ed ecco proprio il senso del LOST Festival: sintonizzarsi su un’unica frequenza, respirare al ritmo polmonare del labirinto.

Proseguendo il percorso durante la giornata, e acquisito completamente l’orientamento tra le vie del labirinto, mi imbatto nel live – o forse meglio definirlo rituale – di Maria W Horn e Sara Parkman con il loro progetto Funeral Folk: un’elevazione spirituale tra gli occhi lucidi della gente.

L’omaggio di Gabber Eleganza a Franchino

Il momento più forte è l’omaggio di Gabber Eleganza a Franchino. “Questa notte la voglia di vivere è sempre più grande. È la magia della musica della notte. È il vivere per vivere, quando la musica non è più musica, ma la musica diventa magia”. La voce della notte, la voce del clubbing storico, che viene accompagnata da un’improvvisa fievole pioggia, e che ci ricorda che la musica elettronica è un viaggio sia collettivo che individuale, è la combinazione di pace interiore e dolore. Silenzio tombale per pochi secondi, per poi lasciare spazio alla decompressione del set di Gabber.

Il giorno successivo, la domenica, è stato perfetto per scaricare tutte le energie accumulate il giorno prima e ballare spensieratamente, accompagnati da un carichissimo set di due ore di Badsista, e da un set finale di Piezo B2B Simo Cell, lo stesso Piezo che il sabato notte aveva presentato l’introspettivo Cortex of Light.

Luca Giudici ha saputo portarci per mano dentro al labirinto, ha saputo guidare la comunità che fa vivere il LOST Festival ogni anno dal 2022 per come lo conosciamo, rendendolo un festival estremamente consapevole. Come Jorge Luis Borges sosteneva nella sua poetica, il labirinto rappresenta l’allegoria della tortuosità del mondo, un mondo non intellegibile con la sola razionalità, ma scrutabile attraverso lo spettro dell’emotività. Proprio come il LOST, che è stato personalmente un viaggio, inaspettatamente il più intenso e intimo degli ultimi tempi.

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