Chi ha ucciso il Record Store Day? Un’indagine sui limiti dell’evento e sui negozi che resistono
Corroborante per il boom del vinile, l’evento si inserisce però anche tra i paradossi del mercato. Abbiamo sentito tre protagonisti del RSD: i negozianti
Un’occasione di festa non si rifiuta mai. Ma negli anni le buone intenzioni del Record Store Day, che si celebra oggi, hanno lasciato il posto a uscite spesso poco interessanti e a paradossi come la vendita delle edizioni targate RSD anche da parte dei colossi dell’e-commerce.
Nata nel 2007 e diventata realtà l’anno successivo l’iniziativa, di matrice statunitense, ha preso il via con l’idea di celebrare i record store indipendenti di tutto il mondo. Nell’intento originario, ogni terzo sabato del mese di aprile negozianti, artisti, discografici e appassionati di musica avrebbero fatto squadra per supportare – economicamente e simbolicamente – spazi iconici che negli anni hanno attraversato, tra alti e bassi, difficoltà che per molti hanno significato la chiusura. Ma per molti negozianti l’evento non ha alcun valore. Vediamo perché.
Il paradosso Amazon
Il tessuto dei negozi di dischi indipendenti italiani conta circa 200 esercizi commerciali sparsi lungo lo Stivale. Non in tutti si respira l’aria a cui il piccolo cult di Nick Hornby, Alta fedeltà, farebbe pensare. Perché le incombenze quotidiane, la diversificazione delle attività per poter affrontare la crisi del mercato o anche solo la naturale evoluzione delle forme di aggregazione che lo scorrere del tempo si è portato dietro hanno spesso avuto la meglio sulla voglia di condividere consigli, classifiche o anche solo una pizza tra i dischi.
Backdoor, però, a Torino, è certamente uno di questi: uno di quei luoghi dove, come racconta il comproprietario e giornalista musicale Maurizio Blatto, si va per la qualità del tempo – prima ancora che dei dischi – offerta.
Lo definisce una specie di bocciofila, nel senso migliore del termine, dalla fortissima connotazione comunitaria, dove nascono amicizie e dove i concerti delle band che trovano casa con i loro dischi a Backdoor spesso li si va a vedere insieme.
Qui per anni il Record Store Day è stato accolto con tavolate imbastite in negozio e set di musica dal vivo. C’era la libertà di assembrarsi che la pandemia ha poi messo al muro ma c’erano anche grandi pubblicazioni in esclusiva per quel sabato di aprile che in anni recenti, complice anche il fatto che ormai è stato ristampato tutto il ristampabile, hanno iniziato a scarseggiare.
«Le uscite sono spesso prive di attrattiva, magari dischi che vengono semplicemente ripubblicati in vinile colorato. E poi trovo assolutamente privo di significato che le produzioni del RSD si trovino in vendita su Amazon, che non solo è un competitor durissimo e fa parte della grande distribuzione ma è proprio l’antitesi del negozio di dischi e, ancor più, di quelli indipendenti», spiega Blatto.
L’effetto Record Store Day sulle vendite
Partito bene, l’evento ha poi perso qualità e valore e anche dal punto di vista economico, che non dovrebbe essere secondario, gli incassi dipendono molto dalle pubblicazioni. «Ci sono anni in cui prodotti più interessanti smuovono un po’ il mercato e altri meno. Come negoziante devo dire che sugli ordini ci vado sempre più con i piedi di piombo perché sono articoli che se quel giorno non funzionano non li vendi più», prosegue il giornalista precisando come rispetto a un normale sabato lavorativo il Record Store Day porti al negozio un 20/25% in più di guadagni, cifre che diluite sul fatturato annuo diventano piuttosto irrilevanti.
Blatto è al timone di Backdoor, con il suo socio, dal 1995 ma il locale ha aperto nel 1982, attraversando dunque, dopo il periodo d’oro che gli anni ‘90 hanno rappresentato per la musica, la forte crisi alla quale hanno contribuito il download prima e lo streaming e l’e-commerce poi. Sebbene i numeri non siano mai tornati a eguagliare quelli delle origini, per il negoziante il trend è positivo e, specie grazie al boom del vinile degli ultimi 4/5 anni, in crescita, con un picco significativo nel 2021 quando secondo i dati Deloitte per FIMI il vinile ha superato nelle vendite il CD, in Italia, per la prima volta dal 1991.
L’opportunità di attirare clienti non abituali
Chi invece, come Nicola Mazzetti che gestisce Serendeepity a Milano, ha aperto in anni più recenti – nel suo caso era il 2009 – da quando ha iniziato la sua avventura, in uno dei periodi più neri per il mercato del vinile, ha visto i ricavi del negozio crescere sempre di più.
Nel centro del capoluogo lombardo, Serendeepity vende per il 95% vinile, con la restante percentuale dedicata a CD e cassette. Il grosso è musica elettronica ma ultimamente si è aperto molto sia alla musica italiana sia a generi come l’hip hop, il soul, il funk e il jazz.
«Vuoi un sacchettino?», chiede Mazzetti a una cliente mentre mi racconta al telefono il suo negozio, spiegando come i frequentatori dello spazio non sempre siano interessati a scambiare due chiacchiere e farsi consigliare della buona musica. Spesso entrano già con un disco in testa e in quel caso, spiega, nessuna richiesta verrà accolta storcendo il naso.
«Abbiamo un approccio senza pregiudizi verso i giusti di chi viene qui. Non abbiamo mai la supponenza di saperne di più, ognuno ha il suo viaggio musicale ed è giusto che ascolti quello che gli piace. Se poi c’è il desiderio di scoprire qualcosa di nuovo siamo ben felici di contribuire».
Per Serendeepity, il Record Store Day è ancora un giorno importante. Mazzetti spiega che procurandosi buona parte delle pubblicazioni esclusive previste l’evento, attirando nel negozio anche i clienti che normalmente acquistano attraverso altri canali, permette di fare cassa, anche grazie a DJ set organizzati per l’occasione. «Per noi ha un’importanza prettamente economica», sottolinea.
L’IVA al 20%
Di parere opposto è Roberto Mento, comproprietario di Rock Bottom Records a Firenze. Qui si vendono solo vinili, nuovi e usati, con una forte impronta rock.
Se è vero che in occasione del RSD si guadagna meglio – Mento indica un 60% in più rispetto a una normale giornata – è anche vero che i prezzi degli articoli del RSD sono mediamente maggiori. Le aspettative dei clienti sono tanto alte quanto difficili da soddisfare. Infatti non è mai possibile sapere con anticipo cosa arriverà della lista delle pubblicazioni. Gli oggetti che arrivano spesso valgono poco. E non è raro che l’unico modo per averli sia contattare direttamente l’etichetta, saltando quindi a piè pari i negozi di dischi.
«Il senso dell’operazione poteva essere interessante all’epoca ma ora per noi è più un problema da gestire che un’opportunità o una risorsa», spiega Mento.
Il benessere e la salute dei negozi di dischi non sono in primo piano, nemmeno nel giorno del RSD. Per i restanti 364 giorni dell’anno, invece, a pesare sono, oltre alle difficoltà sotto gli occhi di tutti legate al fatto che quella che passa per l’oggetto fisico non è più la modalità di fruizione della musica dominante, aspetti come la concorrenza delle fiere del disco – che risultando come scambi tra privati sono esenti da tassazione – e un’IVA al 20% che, sottolinea il negoziante, impedisce ai prodotti di essere competitivi. Quella relativa ai libri, paragonandole, è del 4%.
I due prodotti appartengono a categorie diverse, merceologiche e culturali: «La musica in Italia non è considerata cultura, lo diventa solo quando c’è la Prima alla Scala e finisce lì. Non abbiamo mai vissuto il rock come un fenomeno culturale rivoluzionario e non ne sentiamo il peso splendido. Questa dell’IVA è davvero una grande beffa», precisa Mento.
I tempi cambiano, il vinile resta?
Per lui aprire un negozio di dischi resta una strada percorribile, anche se più difficile di quanto non lo fosse quando nel 1993 Rock Bottom aprì i battenti. Ma la professione continua a trovare le sue nicchie di sopravvivenza. «Fino agli anni ’80 inoltrati a Firenze c’era un negozio di dischi in ogni quartiere. Una cosa oggi assolutamente impensabile», ricorda.
A incoraggiare è certamente, oltre alla crescita del vinile, l’avvicinarsi delle nuove generazioni a questo formato. E l’emergere di trend positivi come la sempre maggiore presenza di donne e ragazze che per anni sono rimaste fuori dal locale ad aspettare i compagni.
Per quanto un classico come The Dark Side of The Moon resti il disco più venduto nella storia tanto nelle classifiche FIMI quanto nei piccoli negozi di dischi, vedere un gruppo di giovani entrare in un record store per comprare l’ultimo album dei Måneskin non dispiace per nulla. Sperando che l’aumento dei prezzi degli LP, che nel giro di un anno sono arrivati a costare fino a 10 euro in più, non rompa la magia di un ritorno di scena faticosamente rimesso in piedi, rendendo i dischi talmente costosi da non poterli più acquistare nemmeno volendolo.
Articolo di Erica Manniello