Per il rap, per la gente, per Corviale: Red Bull 64 Bars Live è stato una celebrazione di Roma
Dopo tre edizioni a Scampia l’evento si sposta nella periferia romana e porta sul palco il meglio della scena capitolina capitanata da Noyz Narcos e Danno, che dal palco esprime la sua solidarietà alla Global Sumud Flotilla e alla Palestina
Noyz Narcos a Red Bull 64 Bars Live a Roma
Tutte le strade portano a Roma, e mai come nella giornata di ieri questo proverbio è stato veritiero. Nelle scorse ore, infatti, la Capitale da una parte è stata l’epicentro di una mobilitazione nazionale oceanica (si parla di un milione di persone che si sono riversate nelle piazze e nelle vie della città) per chiedere la liberazione della Palestina, dall’altra ha accolto l’enorme macchina di Red Bull 64 Bars Live, che dopo tre anni passati a far risuonare le Vele di Scampia, per la quarta edizione ha animato per una notte il quartiere di Corviale, periferia Sud-Ovest di Roma caratterizzata da un enorme complesso popolare in cui vivono circa 4500 persone.
Fa dunque un certo effetto, durante la serata, vedere quel “serpentone” in cui si nascondono tante storie diverse eppure così simili svettare dietro al palco di un evento che è stato sì per il rap, ma soprattutto per la gente di Corviale, – come già fatto negli scorsi anni a Scampia, anche questa volta sono stati riservati dei biglietti a prezzo super calmierato alle associazioni di quartiere -, per Roma e la sua scena. «Sono contento che questo tipo di eventi venga fatti in questi quartieri che hanno delle difficoltà», ha raccontato a poche ore dallo show Noyz Narcos, il padrone di casa per eccellenza. «Spesso i concerti vengono fatti nei club del centro, quindi tutto il mondo della periferia spesso tende a non andarci. Sia per la lontananza sia perché in certi contesti non viene presa in considerazione».
Sick Luke, master of ceremony di Red Bull 64 Bars Live: «Dai quartieri nascono i talenti»
A lui ha fatto eco Sick Luke, master of ceremony della prima edizione romana di Red Bull 64 Bars Live (che in conferenza stampa rivela di non disdegnare una futura partecipazione a Sanremo. «Dopo Shablo, se Carlo Conti mi vuole io ci sono»). «Un evento del genere a Roma per me è una novità. Dopo l’esplosione della Dark Polo Gang sento che la città è stata un po’ abbandonata», ha detto il producer. «Vedere questa cosa a Corviale poi è ancora più bello. Rappresentare i quartieri è sempre importante perché è da lì che nascono i talenti».
Tra questi Uzi Lvke, classe 1998 e straight from Corviale, che ieri sera ha raggiunto sul palco Side Baby, ospite speciale della serata insieme a Ketama126 e Franco126. Una generazione di mezzo, quella del 2016, che ha preso in mano la legacy del TruceKlan e del cantautorato romano e che a sorpresa ha portato un anthem generazionale come Stay Away.
I re di Roma: Danno e Noyz Narcos chiudono Red Bull 64 Bars Live con “Karashò”
Ciò che Roma aspettava davvero, però, erano i suoi king. Il momento di massimo calore dei 10mila del pubblico (sold out), infatti, si raggiunge quando sul palco di Red Bull 64 Bars Live si susseguono Danno – accolto da un boato quasi commovente che si riserva ai profeti in patria – e Noyz Narcos. Dopo due set incendiari, calano il sipario sulla serata con una chiusura epica con Karashò, che i due hanno portato live dopo 18 anni. Come ricorda Noyz, la prima e l’ultima volta era stata nel 2007 al Leoncavallo.
Da lì tante cose sono cambiate. Il Leo non c’è più, il mercato si è trasformato (anzi, è nato e cresciuto) e il rap italiano ha a disposizione palchi che una volta non erano nemmeno lontanamente immaginabili. Ma certe sensazioni restano immutabili e indelebili. «Farla in prova è stata un’emozione incredibile», ha detto Danno, «quello è ancora oggi un pezzone grazie anche a quel sample de I guerrieri della notte».
Fabri Fibra: «Esporsi è importante quando la musica che fai legittima il messaggio»
Red bull 64 Bars Live, però, non è stato solo romacentrico. La Capitale ha aperto le sue porte anche a Lazza, Tony Boy, Lacrim – primo ospite internazionale del format e delle quattro edizioni dello show -, Ele A e Fabri Fibra (insieme anche per una nuova e apprezzata versione di Luna Piena. «L’ho conosciuta tramite Neffa e la trovo molto talentuosa. Spero sia di ispirazione per tanti ascoltatori»). Il rapper di Senigallia ha aperto la serata con un monologo su «un’epoca in cui la paura toglie le opportunità, in cui tutti parlano di libertà di espressione ma alla fine sembra che nessuno dica nulla» e ha parlato del post di Ghali riguardo ai rapper che non si espongono sulla causa palestinese.
«Quello che sta avvenendo, la partecipazione della gente, è un qualcosa che di giorno in giorno prende una piega sempre più rilevante», ha detto Fibra. «Rispetto molto Ghali perché si è esposto prima degli altri. E perché vedo che crede in quello che dice e sento la sua lotta in una nazione che ti fa sentire sempre straniero. Nessun popolo dovrebbe vivere sotto un oppressore. Ciò che però voglio dire è che è importante esporsi quando la musica che fai difende il messaggio. Se sei una persona che si è sempre esposta nel sociale con la musica, allora hai una credibilità che legittima il messaggio».
La solidarietà di Danno agli attivisti della Global Sumud Flotilla e alla Palestina
Una riflessione che aprirebbe ad altre mille, ma che evidenzia un problema reale del rap italiano. Se pochi si espongono, allora poca musica legittima il messaggio. Oltre a lui, infatti, l’unico a farlo è stato Danno, che alla fine del suo set esprime la sua solidarietà agli attivisti della Global Sumud Flotilla e inneggia alla libertà della Palestina. Non uno slogan, ma un coinvolgimento sentito e consapevole di un artista che dell’impegno politico e sociale ha sempre fatto il suo perno.
Sarà che un genocidio si sta consumando sotto i nostri occhi dall’altra parte del mare. Che quella che ha generato è la mobilitazione globale più grande e sentita da che molti di noi ne abbiano memoria. O che la contemporaneità con la manifestazione nazionale nella stessa città era una contingenza impossibile da non considerare e che rendeva il silenzio distonico. Ma ieri sera – in un contesto che è un regalo alla periferia e a quegli ultimi che vengono lasciati indietro a cui il rap ha sempre parlato – da parte degli artisti ci si aspettava un pizzico di coraggio in più. Meno condizionato da quella paura di cui Fibra parlava e più consapevoli della risonanza delle proprie voci. Dimostrando davvero che come ha in modo anche provocatorio risvegliando più di una coscienza scritto Ghali la sera precedente, il rap non è morto.