Lunga vita al Sónar! Intervista a Georgia Taglietti
Il più importante festival di musica elettronica al mondo è a Barcellona (14-16 giugno) e compie 25 anni. Lo osserviamo sotto la lente critica, attenta e appassionata del suo capo della comunicazione, Georgia Taglietti
Conosco Georgia Taglietti da molti anni e mi hanno sempre colpito la sua amabile gentilezza, la preveggenza nell’utilizzare i nuovi media e la sua infinita passione per la musica tout court. Ammetto anche un pizzico di invidia per due cose, su tutte: la città dove vive, Barcellona, e la sua empatia con gli artisti. In fin dei conti forse potremmo riassumere il successo del Sónar proprio con questi due fattori, la città incredibile dove si svolge e l’atmosfera unica che si percepisce dal palco, dove chiunque vada lì a esibirsi si sente in un ambiente stimolante, elettrizzante di giorno e di notte. Da quelle prime volte in cui andavo a metà giugno (il periodo è rimasto lo stesso negli anni) molte cose sono cambiate. Non più palchi tra il MACBA e il CCCB di giorno e la spiaggia di Mar Bella al calar della sera, ma il suo fascino rimane intatto.
Quando hai capito che il Sónar stava diventando importante nel panorama mondiale?
Quando sono arrivati da noi come ospiti dei veri influencer musicali come John Peel o Mary Anne Hobbs. Ci danno dato allure in una nazione strategica come l’Inghilterra. Nel 2002 John Peel venne al Sónar con i suoi 7″ e si divertì tantissimo a suonarli al Sónar Día nel tardo pomeriggio di una favolosa giornata di performance. Era solo l’atto finale di un’estrema curiosità e attenzione che Peel aveva per noi. Attraverso i suoi programmi alla BBC ci ha fatto da cassa di risonanza, lui era curioso di conoscere quali nuove proposte presentavamo.
Avete anche lanciato la carriera di artisti che addirittura venivano come pubblico da voi. O rilanciato artisti quasi dimenticati.
Abbiamo avuto i primissimi show di Hot Chip e Buraka Som Sistema, dei beniamini della Red Bull Music Academy che nel tempo si è legata a noi sempre di più. Voglio poi ricordare Tokimonsta o i Fat Freddy’s Drop che sono stati dapprima davvero tra il pubblico e poi sono arrivati come artisti qui da noi, talmente orgogliosi di essere tra i protagonisti del Sónar che hanno girato un bel documentario che li vedeva in viaggio dalla Nuova Zelanda alla Catalogna. Per rispondere alla seconda parte della tua domanda mi piace ricordare che siamo stati il primo festival di musica elettronica a portare nel 2014 sul palco principale gli Chic, con enormi perplessità iniziali da parte della stampa e invece fu un successone con Nile Rodgers commosso.
Del Sónar colpisce la sua “solidità”: hai creato una comunicazione vincente e forte, puntando sulla rete e sui social in tempi non sospetti.
La scommessa del 1994 – anno in cui siamo nati – che facemmo sulla musica elettronica, sul DJ come artista tout court e sulla realtà pervasiva di internet è stata vinta definitivamente. Io credo che per essere vincenti si debba essere certamente coerenti con le proprie scelte ma bisogna sapersi mettere anche in discussione ogni volta che un’edizione del Sónar finisce. Siamo molto autocritici e scegliamo accuratamente gli artisti: non devono essere figli di un’operazione di puro marketing, costruiti a tavolino da cinici producer, ma devono saper davvero fare delle autentiche performance, che sia un DJ set o un live.
Ma perché, venendo nel backstage o nell’area accoglienza dei vostri show, si percepisce sempre un aria di sano divertimento? Non è una cosa così scontata anche perché dietro il sipario ci sono migliaia di persone in trepida attesa.
Noi siamo la “casa” della musica elettronica per il pubblico ma anche per gli artisti stessi. Sai, quando un musicista si sente a suo agio, e si sente circondato da colleghi con una forte credibilità, esprime il meglio di se stesso. Spesso i DJ che finiscono la loro esibizione e non scappano via, rimangono qui nel backstage o nell’area village per ascoltare cosa suonano gli artisti successivi e capire cosa piace al pubblico. Venire qui per loro è un’esperienza lavorativa a 360 gradi e questo mi rende orgogliosa.
Ci sono stati momenti di crisi organizzativa in questi 25 anni?
Il fatto di non voler mai essere sold out e di permettere comunque alla gente di potersi muovere in uno spazio “friendly”, visti i numeri crescenti di affluenza negli anni, è la nostra priorità. Il primo “trauma” organizzativo fu lo spostamento della parte “Noche” dal mare alla zona fieristica ma sinceramente fu in realtà un beneficio pensando alla sicurezza delle persone e poi ora il sound system è senza dubbio migliore. Lasciare il CCCB e il MACBA è stata per tutti noi della Advanced Music una decisione più dura perché non siamo più in uno spazio musicale che era una cifra del Sónar ma negli ampi spazi del Fira Montjuïc, così abbiamo rispettato la nostra regola di vivibilità degli spazi per chiunque venga. Per noi è un’ulteriore fatica organizzativa perché abbiamo scelto un luogo dove peraltro dobbiamo produrre tutto da zero. Una delle cose che dovete pensare è che il nostro è l’unico festival al mondo che ha due produzioni simultanee e distanti tra loro, in pratica siamo due festival contemporaneamente.
Qual è la geografia del pubblico straniero del Sónar?
Al festival vengono 71 nazionalità diverse. Con l’Inghilterra al secondo posto di affluenza, poi al terzo c’è la Francia. La Germania è in calo e l’Italia in salita costante. Tanti arrivano da nazioni dove la musica dance è di casa come il Belgio e l’Olanda. In questi ultimissimi anni sono in calo le presenze dei russi e dei sudamericani ma aumentano gli statunitensi che arrivano qui anche grazie alla crescita di interesse per la musica elettronica dovuta al Pitchfork Festival, che ha proposto in questi ultimi anni non solo indie band o artisti hip hop. Così è avvenuto nelle edizioni migliori del Coachella, intendo quello di qualche anno fa però.
Per concludere ci racconti alcuni tuoi momenti magici al Sónar?
Avere i Beastie Boys, una band che ho sempre amato, e poi conoscerli è stato piacevole e incredibile anche perché mi hanno aiutato a crescere grazie ai loro consigli. Nel 2002 ricordo che prima dell’esibizione dei De La Soul si è presentato nel backstage, tutto vestito di bianco, Kanye West. Avevo pensato che volesse avere il privilegio di vedere lo show da lì e invece mi disse: “I’m ready!”, e andò in scena con i suoi amici De La Soul per uno show indimenticabile. Poi diventare amica di Ryuichi Sakamoto, conoscere meglio Nile Rodgers… Voglio ancora nominare John Peel e l’amicizia con James Murphy: ricordo ancora che lui fece un DJ set ancor prima che uscisse il loro primo album e quando gli LCD Soundsystem quando erano “fenomenali” solo per la stampa ultra specializzata. Poi è tornato con il set dal vivo e adesso, dopo la lunga pausa, James non poteva mancare per il nostro anniversario.