Avete mai ballato guardando un film? “Stop Making Sense” dei Talking Heads è perfetto per farlo
Torna finalmente al cinema oggi per tre giorni, e dopo 40 anni, il film concerto della band statunitense. Un’opera non solo notevole dal punto di vista musicale, ma soprattutto per l’incredibile performance “atletica” di David Byrne che s’ispirò nei movimenti alla tradizione del teatro tradizionale giapponese
«Credo che l’essenza di questo film sia da trovare in quel mix tra il momento top della band e un David Byrne così elastico!». A parlare, è Jerry Harrison, con un tocco di ironia che si lascia andare nel privé dell’Alcatraz, lontano dai riflettori del palco dove aveva da poco presentato in mia compagnia e di Luca De Gennaro una delle tappe italiane dello Stop Making Sense Tour Party, un paio di settimane fa. Una serata riuscitissima, dove due terzi del locale era pieno di molti cinquantenni, sessantenni – ovvero chi all’epoca aveva vissuto in prima persona l’uscita del disco e del film – ma anche di tanti ventenni, perché “i Talking Heads sono i Talking Heads”.
Girato in quattro differente serate al Pantages Theater di Los Angeles tra il 13 e il 16 dicembre 1983 da Jonathan Demme, Stop Making Sense fu davvero la sublimazione filmica delle idee di Byrne e dei Talking Heads.
Il ritorno in sala dei Talking Heads con Stop Making Sense in 4K e audio Dolby Atmos 7.1
E finalmente da oggi, per tre giorni, il film arriva nelle sale italiane con la Cinema Experience. L’invito per il pubblico sarà quello di partecipare agli appuntamenti con un dress code ispirato al film e alla musica degli anni ‘80. Un modo per provare a ricreare tutti assieme l’atmosfera nella quale il film fece il suo debutto internazionale.
La nuova edizione è stata supervisionata da James Mockoski di American Zoetrope e include una colonna sonora completamente rimasterizzata, curata proprio dal chitarrista e tastierista dei Talking Heads, Jerry Harrison. «Quando fai qualcosa del genere c’è il rischio di esagerare. Molte volte le persone si entusiasmano così tanto grazie alle possibilità che la tecnologia offre, da rischiare di perdere il suono che l’opera aveva in origine. Il trucco è usare la tecnologia senza perdere il senso di come le cose venivano fatte in passato. Penso che ci siamo riusciti» ha dichiarato l’artista.
La bella serata del Stop Making Sense Tour Party all’Alcatraz, mi ha fatto capire che un film musicale può trasformarsi in un vero e proprio happening dove il pubblico non ha bisogno di una sala cinematografica, ma può andare benissimo anche una pista da ballo. Sempre alla condizione di avere comunque una bella proiezione e un potente impianto. Certo, sono pochissimi i film concerto perfetti, per realizzare una situazione del genere.
A me personalmente, molto condizionato dai miei gusti personali vengono in mente Don’t Think il film concerto dei Chemical Brothers. E poi Depeche Mode: 101 di DA Pennebaker girato al Pasadena Rose Bowl nel 1989 e il trascinante Summer of Soul. Quest’ultimo documenta la giornata del 1969 all’Harlem cultural festival con una pazzesca performance di Nina Simone. Senza contare i set di Sly and the Family Stone, Mavis Staples, Mahalia Jackson… Mi dimentico un film concerto K Pop? Metal. Può essere, tocca a voi pensarci su nel caso.
Alla radice dei passi di danza di David Byrne
Tornando alla frase iniziale di Jerry Harrison, in effetti la forza empatica verso il pubblico di David Byrne con i suoi incredibili balli elastici è uno dei fondamentali meriti del successo in versione “clubbing” di Stop Making Sense. Torna in sala, ma davvero forse si poteva con coraggio replicare la modalità pensata per il Tour Party, anche per le tre giorni di proiezioni. Una soluzione non facilissima da realizzare ancora, ma prendete come provocazione questi pensieri. Intanto, grazie a un bellissimo magazine limited edition della casa di produzione del film, la A 24 ,“rubiamo” alcune parti di testo, per capire bene da dove nascano quei movimenti originalissimi del leader dei Talking Heads e che hanno fatto la fortuna di Stop Making Sense.
Bisogna ricordare che nei primissimi anni ’80 i Talking Heads fecero il loro primo tour in Giappone. Era all’epoca di Fear In Music. In quell’occasione Byrne ammirò per la prima volta dal vivo le tradizionali forme del teatro del sol levante: Kabuki, Noh, Butoh e Bunraku. Il suo primo pensiero fu: “Come posso applicare nella nostra musica questo tipo di performance?”. Alcuni dei movimenti elaborati imitando gli attori del teatro giapponesi divennero assolutamente funzionali per lo show di Stop Making Sense. Tra questi “Il serpente”, una mimica dove Byrne oscilla per nove secondi alla volta le sue lunghe braccia. Oppure “L’anatra”, così definito quel saltellare rapidissimamente che agli occhi di noi occidentali sembrava una mossa da fitness. Ma tantissimi altri movimenti sono davvero una pura imitazione del teatro Butoh e Kabuki.
Quarant’anni dopo, la cantante Mitski (che ha duettato con David Byrne per la colonna sonora del pluripremiato film Everything, Everywhere All At Once), ha costruito il suo ultimo tour ispirandosi ai balletti del teatro Butoh. Con la complicità della coreografa Jas Lin ha compiuto un grandioso omaggio al film-concerto dei Talking Heads. Se in queste sere, vi troverete seduti in una delle sale selezionate dal distributore, per rivivere o vedere sul grande schermo per la prima volta questo gioiello di film concerto, magari provate anche voi ad alzarvi e omaggiare la grande tradizione del teatro nipponico. David e soci ne sarebbero felici.