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Yann Tiersen, ovvero l’arte di sopravvivere a se stessi

Come molti artisti, Yann Tiersen è prigioniero del successo raggiunto agli esordi (con la colonna sonora de “Il favoloso mondo di Amélie”). Ma dal vivo prova che è possibile (e doveroso) guardare avanti

Autore Federico Durante
  • Il15 Marzo 2019
Yann Tiersen, ovvero l’arte di sopravvivere a se stessi

© Christopher Fernandez

Ci passa la maggior parte degli artisti di successo. Raggiungere inaspettatamente un pubblico globale con la forza trainante di un singolo o di un album è una lama a doppio taglio. Da un lato getta le fondamenta per una solida carriera internazionale, dall’altro costringe l’artista a vivere nell’eterno presente di quel momento di hype. Immaginate la frustrazione dei Radiohead se fossero solamente “il gruppo di Creep“, o se i Coldplay fossero ricordati come “quelli di The Scientist“.

Gli artisti si evolvono nelle loro forme di espressione e associarli costantemente ai loro maggiori successi giovanili è un atteggiamento – quando non apertamente offensivo – quantomeno limitante. Ne sa qualcosa Yann Tiersen, giunto all’attenzione del grande pubblico con la straordinaria colonna sonora de Il favoloso mondo di Amélie (ma anche con quella, non meno memorabile, di Good Bye, Lenin!), che però è solo uno dei tasselli necessari per comprendere l’arte del grande compositore bretone.

Yann Tiersen è in Italia in questi giorni (14-15 marzo Milano; 16 marzo Roma; 17 marzo Bologna; 19 marzo Torino), all’interno di un lungo tour, per portare dal vivo il suo ultimo bellissimo album All. Nel backstage del Conservatorio di Milano, al termine della mia intervista (la troverete sul numero di aprile), puntualizza: «Stasera suoneremo il nuovo album». Non è del tutto preciso, perché in realtà qualche accenno ad Amélie nel corso del live ce lo metterà. È il piccolo prezzo da pagare in cambio dell’affetto incondizionato dei fan.

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Yann Tiersen (foto di Christopher Espinosa Fernandez)

Il palco è essenziale quanto le sue composizioni. Quattro musicisti – oltre a lui, la moglie Emilie (canto, percussioni), un cantante e un tastierista – e vari strumenti: pianoforte a coda, violino, sintetizzatori, tubular bells, organetti e un registratore, “Alex”, che accompagna tutto lo spettacolo con suoni della natura registrati fra l’isola dove abita Yann, Ushant (Bretagna), e altri luoghi nel mondo. Il parco luci è minimale ma suggestivo e la scenografia consiste prevalentemente in visuals al rallentatore di droni che riprendono una natura incontaminata.

Il minimalismo è senz’altro la cifra espressiva fondamentale di Yann Tiersen, sia nella composizione che nelle in tutte le sue altre manifestazioni. La sua arte vive in una dimensione appartata, di riservatezza, complice anche la sua scelta di vivere e creare lontano dalle grandi città. Assistere a uno spettacolo di Tiersen è come ricevere il permesso di entrare in punta di piedi nel mondo privato di qualcun altro. Infatti tutti sono qui per la sostanza, non per la forma: pochi gli smartphone puntati verso il palco, tanta l’attenzione immersiva dei presenti.

Come spesso capita con gli artisti, soprattutto di ascendenza classica, Yann è di carattere timido e parla con un filo di voce – timidezza che perde del tutto quando mette le mani sugli strumenti. E nei bis dà il meglio di sé a livello tecnico. Se durante il concerto l’approccio è più basato sul togliere che sull’aggiungere, negli “extra” (rientra sul palco per ben tre volte) dà un assaggio del suo notevole virtuosismo al violino e al pianoforte.

Chi viene per assistere a un’auto celebrazione dell’autore delle musiche di Amélie rimarrà inevitabilmente deluso: ci sono giusto un paio di fugaci citazioni. Ne guadagnerà in piacere estetico, invece, chi viene con l’orecchio aperto al potere evocativo delle melodie e con l’immaginazione pronta a lasciarsi guidare dalle note.

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