Uno, nessuno, cento Lauro
Il tour nei palazzetti, la prossima uscita di “Ragazzi Madre – L’Iliade”, le sue mille vite artistiche: l’istrione della musica italiana si è raccontato nella nostra cover story
Achille Lauro, uno, nessuno e centomila. O forse non è proprio così. Perché prima ancora delle diverse vite artistiche passate e presenti – quella di ragazzo “di strada” nel collettivo romano Quarto Blocco, poi da protagonista dei famosi “quadri” Sanremesi (di festival ne ha collezionati già 4 in presenza), performer da palazzetti sold out, neo imprenditore e adesso giudice amorevole e sapiente a X Factor – Lauro De Marinis è una persona limpida. Una di quelle dalle solide convinzioni, sincere e appassionate, che mettono al centro dell’attenzione la sua idea di artista, capace di sorvolare sopra tutto ma mai sulle proprie capacità e determinazione. Incontrare Achille Lauro per questa intervista in un bel pomeriggio a Milano dopo l’uscita del suo ultimo singolo “Amore Disperato”, con il delicato ma incerto suono di una lezione di pianoforte in sottofondo, è stata solo la conferma di tutto questo.
L’intervista a Achille Lauro
Come artista, ma non solo, hai già cambiato tante volte “pelle”. Hai già vissuto almeno un paio se non tre vite: quella a Roma da giovanissimo con il tuo collettivo di persone fidate, la grande notorietà e adesso sei anche un imprenditore. Sei come i gatti, hai nove vite.
Lo spero, così ne ho ancora alcune da spendere (ride, ndr) No, a parte tutto, per me la vita è sempre piena di momenti, occasioni per cambiare. Non penso di essere l’unico, io credo che ci sono alcune persone che vivono proprio così, cambiando pelle e vita, rincorrendo qualcosa che immaginano, un’idea, ricercando un obiettivo sempre più lontano. La mia maledizione ma anche la mia benedizione è tutto questo.
E anche il fatto che mi senta spesso talmente tanto proiettato verso il futuro che non riesco a vivere sempre il presente. Questa però è anche la mia forza: essere oltre il contemporaneo, anche per stupire me stesso. La cosa più sbagliata che hanno scritto su di me è che mi accusassero di cercare sempre di stupire le persone e invece io ho solo cercato di superare me stesso, finendo spesso in territori che non conosco. Non voglio che il mio lavoro si trasformi in una catena di montaggio senza qualcosa di veramente personale e nuovo.
Sei un talentoso onnivoro e penso anche che non hai paura di perdere nulla, perché non c’è niente da difendere se non il tuo talento.
Mi piace “onnivoro”, ma io credo che il talento alla fine non basti. Contano la dedizione verso quello che ami e un impegno estremo, oserei dire. Alla fine tutto questo poi porta a grandi risultati. Oltre a ricercare sempre, sempre la novità. È importantissimo. Tu hai ragione, non ho mai avuto paura di perdere niente. Io incido un disco e il successivo non è mai il tentativo di consolidare un qualcosa. Alla fine ogni mio album è sempre diverso dal precedente, perché cerco un universo nuovo in cui immergermi. Credo che sia stato più difficile inizialmente per un ascoltatore riuscire a capire la mia direzione. Ma io non sono rassicurante, non ti voglio portare in una comfort zone per forza facendo sempre la stessa cosa.
Sono dieci anni che sei sulla scena, e in questo decennio in Italia musicalmente è successo di tutto. Una vera e propria rivoluzione generazionale nelle classifiche, ma è successo anche che Sanremo sia tornato al centro del villaggio… E tu sei stato un protagonista del festival più volte.
Credo che siano stati dieci anni intensi, perché c’è stata una grande evoluzione del nostro panorama, grazie soprattutto ai giovanissimi. Molti di loro hanno capito che più si rendono unici e particolari, più colpiscono le corde dei sentimenti del pubblico. Non sono neanche convinto fino in fondo che l’auto-tune sia stata cifra stilistica di quest’epoca, del decennio.
Se ci pensi, andando indietro nel tempo, già negli anni ’70 le band funk usavano il vocoder e poi ci sono stati i Daft Punk negli anni ‘90… Quando avevo iniziato io, era il momento dello street rap in cui dovevi dire certe cose e magari ti vergognavi a mostrare i tuoi sentimenti, le tue debolezze. Non potevi, era musica “machista” e veniva da un retaggio super chiuso, periferico. Oggi forse c’è invece spazio per le emozioni, per i sentimenti e per la sensibilità, che è importantissima per me.
Comunque nella scena trap e urban c’è stata una grande evoluzione. Siamo passati da una produzione super, super dark a qualcosa di meno scuro. E soprattutto quei ragazzi che arrivano dalle zone ghettizzate, periferiche, non hanno scimmiottato gli americani, non si mettono più a fare robe parodistiche, ma hanno scelto la loro strada narrativa, salendo di qualità tantissimo.
Raccontano di realtà misere che sono in contrasto con il lusso che luccica a 15 minuti di distanza da loro. Milano è il luogo per eccellenza per descrivere questa discrepanza. E la musica per loro, come per me, è importante. È una via per la redenzione e il riscatto. E poi è bello che il pop nella sua accezione non è assolutamente più considerato sinonimo di musica scadente, anzi, e questo permette a tanti giovani artisti di cimentarsi in questo genere senza paura e vergogna.
E cosa ti infiamma nel pop o nelle produzioni in generale?
Una certa musica “sperimentale”. Tutto quello che mi risulta strano, che all’inizio quasi ti disturba. In questo momento sono attratto da un concetto di produzione minimale dove less is more. Quest’estate durante i live ho provato a lavorare anche per sottrazione e mi piace questo processo. E poi sto cercando di lavorare su grandi canzoni pop che però non sono facilmente inquadrabili, forse difficili da far capire al panorama italiano. Ma è qualcosa che ho già fatto, pensa a Ragazzi Madri, Pour l’Amour, 1969, erano totalmente fuori moda in quel momento.
Che ne pensi del fatto che la musica dance elettronica si connetta sempre di più con il pop? Un processo iniziato anche questo lustri fa ma che continua a livello mainstream anche qui da noi.
Assolutamente vero. A me piacerebbe aprire la top 50 e sentire dei prodotti competitivi a livello mondiale e mi auguro anche una accelerazione verso la contaminazione tra la dance/ elettronica con quello che davvero caratterizza la propria cultura, il proprio paese. Guarda cosa accade in Spagna con Rosalìa o Tangana, che riprendono la loro tradizione e la “schiantino” con qualcosa di nuovo per sentire qualcosa di strano.
Cosa stai trovando come giudice a X Factor?
Sto cercando di trovare nella mia squadra qualcosa di super forte nella identità e con le tre mie scelte finali sono sicuro che sono talenti un poco fuori asse e fuoriclasse – spero (ride, ndr) –. Mi sono giocato tanto con Les Votives – come un X pass – e credo in loro. Ma in tutti e tre perché rappresentano in un certo modo tre anime diverse della mia personalità. Sono contentissimo di poter cercare di fare qualcosa di diverso per il programma. Alla fine sono rimasti X Factor e Sanremo a dare una grande motivazione ai ragazzi, ai nuovi talenti… Solo in questi contesti succede veramente qualcosa di diverso e importante.
E ripeto, tu di Sanremo ne sai oramai tanto…
Diciamo che sono stato presente ma anche attivamente partecipe di un cambiamento. In meglio come evento musicale perché il festival è stato più permeabile alle novità che si stavano e continuano a verificarsi del nostro panorama musicale, come prima di dicevo. Si è avvicinato a mondi lontanissimi, mai attenzionati prima. Calcare un palco con dieci milioni di persone che ti guardano, è una occasione che io ho sfruttato sempre, anche schiantandomi.
E adesso dopo quattro volte tu vorresti fare Sanremo più come ospite o come concorrente?
Se ho la canzone giusta ma certo che ci andrei. Io amo quello che faccio e voglio portarlo in alto ma non nel senso biecamente economico. Io mi sono sempre arrangiato, ora sono anche un imprenditore, faccio mille cose diverse, ho anche aperto una società immobiliare, quindi figurati se penso a Sanremo per puro ritorno di soldi. Ma io sono ambizioso, Sanremo è come Champions League per un calciatore di una squadra di calcio. O le Olimpiadi e se ci vai lo fai anche perché non basta partecipare ma vuoi anche per vincerle.
Nel tuo film c’è un passo dove sveli il tuo grande amore per le ballad e il nuovo singolo Amore disperato è un brano intimo, dalle sonorità acustiche e dal sapore malinconico.
Io amo le ballate perché mi permettono di parlare delle mie storie personali, di raccontare il mio vissuto, senza inventarmi dettagli o dei particolari, per abbellirle o renderle più “autentiche”. Non devo inventare niente. È tutto in quella canzone, certo, devo essere bravo a descrivere tutto ma con una certa semplicità, per me la semplicità e l’autenticità vanno di pari passo. E questo accadeva anche per una hit come Rolls Royce che non è una ballad, ma io ero sempre lo stesso, sincero, anche se ho scioccato qualcuno. Amore disperato tratta di una storia vera quindi mi è stato facilissimo realizzarla e nel farla mi sono commosso.
Sono entrate persone nuove importanti per te musicalmente dopo Boss Doms, Frenetik, Orang3 e tuo fratello?
Ho aggiunto qualche produttore, come Danien con cui ho già lavorato anni fa e GÖW TRÏBE. Sai, tutte queste persone che tu hai nominato fanno parte del mio percorso di vita, non solo professionale, perché la mia vita è la musica, è tutto una commistione.
Di recente sei stato negli USA e hai parlato di una futura collaborazione con un certo Arturo Fratini che in arte si fa chiamare Lester Nowhere. Alle cronache musicali è arrivato perché abbiamo saputo che ha lavorato con Kanye West dopo averlo “pedinato” e avergli passato un CD con il suo numero di telefono.
Abbiamo fatto delle cose insieme durante il mio viaggio di lavoro a Los Angeles, che è stata una parentesi interessantissima e per me proficua. Lester Nowhere è un artista super interessante e un’altra dimostrazione che tra la legge dell’ossessione per qualcosa, qualcuno e la legge dell’attrazione, qualcosa di incredibile può accadere. Come nel suo caso, incontrare e poi lavorare con un grande come Kanye West.
Ti senti più Los Angeles o New York?
Ma non lo so. Devo dire che comunque hanno tutte e due un fascino diverso. Però Los Angeles è il polo adesso della musica mondiale e lì ti confronti con un livello molto alto e trasversale.
Voglio concludere chiedendoti come sono andate le recentissime date a Milano e Roma.
Benissimo. Dopo anni di musica super trasversale, un pubblico cresciuto in maniera importante e eterogeneo, i primi palazzetti sono un po’ un punto di arrivo per noi, una chiusura di un cerchio e allo stesso tempo l’apertura di un altro.
Ma immagino che siano le tue due città nel cuore e quindi anche la tua attesa deve essere stata notevole.
Io amo Milano, che per me è come una seconda casa, ma a Roma c’era un clima veramente incredibile perché lì è nato tutto. Poi sai, i romani sono persone de’ core, era l’ultima data del tour… Puoi immaginare…
Durante il concerto a Milano hai fatto anche l’annuncio che tutti i tuoi fan di vecchia data aspettavano dal 2015. C’è tuttora tanto affetto nei confronti di Ragazzi Madre.
Perché è un album che parla di un certo mondo, di ragazzi in difficoltà e che ora trova una sua evoluzione. Oggi parliamo di quel mondo con gli occhi degli adulti, di uomini che conoscono le conseguenze di certe azioni. E soprattutto abbiamo una posizione diversa su quello che è il mondo degli invisibili, perché ora possiamo aiutare in modo concreto. Infatti insieme al disco ho annunciato la creazione di una fondazione per aiutare i ragazzi in difficoltà. Per noi questa è una grande cosa.