Alda ha trovato il proprio posto “NEL MARGINE”. L’intervista
Il 12 aprile è uscito il primo album della rapper classe ’99 che domani salirà sul palco del Mi Ami. Sette tracce tanto personali quanto politiche che parlano delle e alle persone emarginate, tra l’influenza di Arca e l’ispirazione fondamentale di Michela Murgia
“Ho capito che di tutte le cose che possiamo fare nel mondo come donne, parlare e farlo in modo problematico è ancora considerata la più sovversiva”. Scriveva così nel 2021 Michela Murgia in una delle sue opere più celebri, Stai zitta – E altre nove frasi che non vogliamo sentire più. Da quella pubblicazione sono passati tre anni, una delle intellettuali italiane più importanti e influenti del nostro secolo se ne è andata lasciando un’eredità da portare avanti con lo stesso fuoco della rivoluzione da cui lei stessa era mossa e le cose, purtroppo, non sono cambiate più di tanto. In un mondo che ha ancora paura delle donne e della loro libertà, che cerca di zittire le voci scomode, le parole di Alda – nelle sue canzoni e in questa intervista – sono taglienti come lame nel petto, mettendoci di fronte ai nervi scoperti di noi stessi e della nostra società.
Classe ’99, nata in Albania e cresciuta in Italia, il 12 aprile Alda ha infatti pubblicato per Asian Fake il suo primo album, NEL MARGINE, uno spazio di sette tracce tanto personali quanto politiche nel puro senso del termine, scomodo ma ottimo dal punto di vista della prospettiva con cui la rapper guarda dentro e fuori da sé e parla degli e agli emarginati in maniera davvero intersezionale, sovversiva e – perché no – anche problematica. Tra l’influenza di un’artista rivoluzionaria come Arca, l’ispirazione fondamentale di Michela Murgia, la difficoltà di non trovare il proprio posto nel mondo e un profondo senso di giustizia che la anima sin da quando era bambina e che non l’ha mai abbandonata. E oggi, di voci così – soprattutto nel rap – ne abbiamo un disperato bisogno.
L’intervista ad Alda
Ti sei esibita sul palco del Primo Maggio portando un messaggio molto forte. Com’è andata quel giorno?
Molto bene, ero ovviamente emozionatissima ma avevo così tanta voglia di portare su quel palco le mie parole che l’ansia ad un certo punto è scomparsa.
Il tuo album si chiama NEL MARGINE che trovo sia un concetto molto ambivalente. Da una parte il margine delimita quasi un luogo protetto. Dall’altra esprime anche un po’ il pericolo di stare sempre in un equilibro precario. Perché hai pensato proprio a questo concept?
È vero. Diciamo che più che pensarci mi ci sono ritrovata. Io sono nata in Albania e mi sono trasferita in Italia a tre anni con i miei genitori. Quindi già il tema dell’immigrazione mi rappresenta e rappresenta tutte le persone che vivono in un contesto marginale. In più sono donna, quindi un altro margine. Posso dirti però la prima volta che ho pensato al nome da dare al disco.
Vai.
Stavo avendo una conversazione con una persona cara che mi stava parlando della parola “confine” e mi diceva che tendiamo ad attribuirle un significato negativo. Come se fosse qualcosa che ci divide. Invece può anche avere un’altra accezione. È stato lì che pian piano ho iniziato a rendermi conto che le canzoni che stavo scrivendo parlavano proprio di questo. Cioè di persone che vivono in una posizione marginale che – come dicevi prima tu – è sicuramente scomoda, ma può anche essere ottima per osservare le cose da svariati punti di vista che ad esempio chi vive all’interno non può avere.
Quando parlavi dei vari margini – l’essere immigrata e donna – mi è subito venuto in mente il concetto di femminismo intersezionale e un’intervista in cui Michela Murgia ne spiegava molto bene il significato.
Sono contenta che citi questa cosa perché per me quell’intervista è stata di grande ispirazione e anche STAI ZITTA nasce proprio dal suo libro.
@all_fem Se si vuole fare una battaglia comune, io non posso pensare che il piano del genere sia l’unico su cui devo agire. Nel momento in cui denuncio il mio dislivello di potere rispetto al maschio, devo riconoscere il mio privilegio rispetto a una donna come me, ma non bianca e non ricca. È con questo discorso sull’importanza dell’intersezionalità e sulla necessità di riconoscere il proprio privilegio e la propria responsabilità in un sistema di oppressione che vogliamo ricordare Michela Murgia. La scrittrice ci ha lasciato ieri, a pochi mesi da quando aveva condiviso la diagnosi di un tumore al quarto stadio. In quell’occasione, Murgia aveva pronunciato il seguente discorso: “Meglio accettare che quello che mi sta succedendo fa parte di me. La guerra presuppone sconfitti e vincitori; io conosco già la fine della storia, ma non mi sento una perdente […] Me ne andrò piena di ricordi. Mi ritengo molto fortunata. Ho incontrato un sacco di persone meravigliose. Non è vero che il mondo è brutto; dipende da quale mondo ti fai”. Ciao Michela, e grazie di tutto #fem #michelamurgia
♬ suono originale – Fem
Una canzone che, come hai detto tu stessa, non avresti mai voluto scrivere.
Il brano è nato dopo l’omicidio di Giulia Cecchettin, quando sui social la Polizia di Stato ha condiviso un post riportando la poesia di Cristina Torre Cáceres sotto il quale ci furono un sacco di commenti di donne che testimoniavano l’indifferenza delle forze dell’ordine alle loro denunce. In particolare ricordo il commento di una ragazza che mi aveva distrutta. Lei aveva scritto “Siete il motivo per cui quando sono stata stuprata non sono andata a denunciare”.
Nel ritornello della canzone per altro dico “se ripenso ai tempi del covid mi chiedo come cazzo ce l’hanno fatta. Devi stare in famiglia, ma cosa succede quando la famiglia è sbagliata?”. Questo era proprio un pensiero che mi tormentava e che mi ha riportato al discorso dei legami di sangue. La stessa Michela Murgia ne parlava.
Infatti lo trovo un pezzo molto politico ed è potente che arrivi da una donna. In Italia ci sono tante bravissime rapper, ma manca un po’ la componente femminista nel vero senso della parola. Tu ti sei esibita anche durante il corteo di Non Una Di Meno il 25 novembre, quindi questa cosa fa parte di te.
Sì, ci sono dei temi che mi stanno molto a cuore e la violenza di genere è uno di questi, motivo per cui ne parlo spesso nelle canzoni. A volte più esplicitamente come in STAI ZITTA, altre in modo più velato. Per me sono importanti tutte le tematiche che riguardano le persone che vivono in condizioni di emarginazione. Mi fa molto male vedere che molte persone hanno meno diritti di altre. Diciamo sempre che siamo tutti uguali, ma non è vero.
Nei brani di NEL MARGINE mi è sembrato di sentire molto l’influenza di Arca, un’artista la cui esistenza stessa è politica e a suo modo un’emarginata che ha trovato il proprio riscatto nell’arte. È una figura che ti ha ispirata?
Assolutamente sì, io sono una sua stra-fan da sempre. A livello di suono il disco prima di essere quello che è ha subito delle variazioni. L’influenza di Arca è arrivata nel momento in cui è subentrato nel progetto Francesco Fantini perché era esattamente la sua reference. La sua scelta di inserire questi suoni all’interno delle produzioni mi ha stupita molto perché ha colto perfettamente quello che volevo senza nemmeno sapere quali fossero le mie influenze o i miei gusti.
Hai detto che il momento della preghiera a scuola era uno dei pochi in cui emettevi pubblicamente dei suoni. Ora invece il tuo disco è come se fosse un megafono per molti e molte persone che si trovano in una determinata situazione. Quando hai capito che questo era quello che volevi?
Forse lo so da sempre. Mi hai fatto venire in mente un ricordo della mia infanzia, una bambina di cui parlo anche in SPECCHIO. Si chiama Zina, era un bambina nera che veniva alle elementari con me e veniva presa di mira tantissimo. Prima che arrivasse lei la straniera ero io, ma tornando a quella famosa intervista di Michela Murgia, lei oltre a non essere italiana era nera. Quindi subiva una doppia discriminazione.
Se quando se la prendevano con me assorbivo e basta senza reagire, quando hanno iniziato a prendere di mira Zina ho iniziato a provare un sacco di rabbia. Non riuscivo a sopportare il fatto che un’altra persona potesse subire queste violenze. Perciò posso dirti che ho sempre avuto un sentimento di giustizia. Poi con il tempo ho iniziato a cercare la forma di espressione in cui catalizzarlo al meglio e ho capito che era la musica.
È bello e allo stesso tempo doloroso pensare che a volte le cose che ci portano a reagire di più sono quelle che colpiscono gli altri piuttosto che quelle che riguardano noi stessi.
Ne stavo parlando proprio poco fa con una mia amica. Dicevamo che quando c’è una di noi che sta percependo un disagio molto forte quello dell’altra si attenua perché vogliamo essere d’aiuto l’una per l’altra ed è una cosa bellissima. Penso anche al live del Primo maggio. Insieme a me sul palco sono salite quattro ragazze rasate come me e io ero agitatissima ma l’ansia è andata via perché volevo essere di supporto a loro e farle stare tranquille. Sicuramente dobbiamo avere più amore per noi stessi, però mi piace questa cosa che siano anche gli altri o le altre a darmi la forza.