Alessandro Fiori si è “perso nel bosco” ma ha ritrovato la luce
Il cantautore ha appena pubblicato il nuovo album solista: dodici canzoni ispirate che idealmente accostano Robert Wyatt a Gino Paoli, i Flaming Lips a Luigi Tenco
Alessandro Fiori è un nome familiare per gli appassionati di indie italiano. Il suo primo progetto, i Mariposa, rappresenta una pagina importante del nostro rock alternativo. Da solo è autore di dischi meritevoli di riscoperta. Questo nuovo Mi sono perso nel bosco, uscito venerdì, è forse il suo migliore. Dodici canzoni ispirate, intense, che accostano Robert Wyatt a Gino Paoli, i Flaming Lips a Luigi Tenco.
L’album è impreziosito da una serie di feat. interessanti: Brunori Sas, Iosonouncane, Levante, Colapesce, Dente. Il disco esce per 42 Records ed è frutto della collaborazione con Giovanni Ferrario, Stefano “Asso” Stefana ed Enrico Gabrielli. Si parla di amore, di sogni, di quotidianità, di vita e morte, ma soprattutto del desiderio di reagire, uscire di nuovo alla luce. Perfette per questo tempo, ma nate a prescindere e destinate a restare.
Quali sono i temi principali di Mi sono perso nel bosco?
È un disco che inizia con un incubo e racconta di come la persona che amo mi prenda per mano e mi riconduca alla luce, al sicuro. La scaletta chiude con un pezzo, Troppo Silenzio, che cita La vida es sueño di Calderón de la Barca. Anche il sogno è un tema importantissimo nel disco.
Mi colpisce il fatto che ti sia assunto il rischio di raccontare l’amore maturo. Sei d’accordo?
Sì, la sfida era proprio questa. Volevo tenere alta la tensione espressiva anche parlando di una fase dell’amore diversa da quella in cui si è ragazzini, o da quella in cui un sentimento nasce. Il pubblico dirà se ci sono riuscito.
Al di là della bellezza delle composizioni, mi sembra un modo anche molto contemporaneo di parlare d’amore. Due tuoi colleghi di etichetta, per esempio, Cosmo e Andrea Laszlo De Simone, arrivano anche a parlare di paternità. Non trovi che sia un allargamento di prospettive interessante rispetto a ciò che può essere argomento di una canzone basata sul proprio vissuto emozionale?
Giustamente noti che non sono l’unico a farlo. Credo che questo possa essere interessante perché ci aiuta a uscire dai cliché. Qualunque espressione personale, se veramente sentita, può aspirare a raggiungere una forma di bellezza. Invece sembra che si debba per forza attingere da una sorta di calderone comune di immagini. Ci sono autori molto ispirati, penso a una come Madame, ma c’è anche tanta omologazione. E credo che raccontare un sentimento personale fingendo sia un controsenso dettato dalle esigenze del mercato.
Il tuo modo di raccontare sembra nascere da una continua dialettica fra confessione intima e una sorta di volontà di osservare la propria vita da fuori. Penso in particolare a Una sera.
Una sera è una canzone paradigmatica del disco. È come un cortometraggio in cui la telecamera guarda anche dall’esterno, non per prendere le distanze, ma per cogliere i particolari. Penso ad un pezzo come Anna e Marco di Lucio Dalla. Anche quello è un pezzo scritto nello stesso modo, una specie di piccolo film.
Il disco contiene diversi feat. Ti va di parlarne ai lettori?
Volentieri. A parte Enrico Gabrielli, Stefano Amerigo Santoni, Giovanni Ferrario e Alessandro Asso, che sono stati un po’ il team di base, ci sono i cori di Colapesce e le tastiere di Iosonouncane, dalle atmosfere tardo-ottocentesche; c’è la splendida voce di Levante in Fermo accanto a te, si è divertita moltissimo; Brunori, che ha cantato Io e Te; Marco Parente, che fa i cori in L’Appuntamento. E poi da non dimenticare è l’oboe suonato dalla maestra Lea Mencaroni: un sogno che avevo da tempo, quello di mettere l’oboe in un disco.
Ci sarà un tour?
Prima ci sarà un breve giro di presentazioni, in cui suonerò qualche pezzo da solo, poi ci sarà un tour estivo in cui saranno con me Giacomo Papini, batteria, Stefano Amerigo Santoni al basso, Francesco Chimenti al violoncello e cori e Massi Amadori alla chitarra. Per adesso però non posso dire di più.