Alexis Ffrench a Piano City Milano: «La classica è nel DNA della musica mainstream»
Giovedì sera in Villa Necchi Campiglio a Milano si è tenuto il concerto del pianista britannico che ha suggellato la storica partnership tra il festival meneghino e Apple Music Classical
Vi siete mai chiesti cosa hanno in comune la musica di Beyoncé, il dissing tra Kendrick Lamar e Drake e la musica classica? Se la risposta è no, è perché ancora non vi siete imbattuti in Classical Connections, il canale radio targato Apple Music condotto dal pianista britannico Alexis Ffrench, che incontriamo in una serata di maggio a Villa Necchi Campiglio, dove di lì a poco si sarebbe esibito in occasione di Piano City Milano.
Una classica accessibile quella di Alexis Ffrench. Godibile anche da coloro che nel genere non si rispecchiano, con linee melodiche gentili e delicate, capaci di scrutare nell’anima. Il pubblico risultava così variegato da non sembrare nemmeno di assistere ad un tradizionale concerto di musica classica. Il che rispecchia l’intento di Ffrench e del suo programma radiofonico: raggiungere un target che valorizzi le tracce non per il periodo di composizione, ma per gli stimoli che suscitano indistintamente dal gap intergenerazionale degli universi di riferimento, il mainstream e la classica.
Tra le righe dell’intervista, l’artista britannico parla proprio del DNA a volte vicino, anzi vicinissimo, tra tracce lontane secoli e brani attuali nelle classifiche. Eppure, nonostante l’approccio catchy e progressista alla narrazione di brani che alle masse potrebbero risultare distanti, quando sfiora i tasti le ispirazioni di Alexis Ffrench si sentono tutte. Da Bach a Debussy, dal gospel al soul.
Al pianoforte, Alexis Ffrench trasmette la passione delle sue composizioni e tiene alta l’attenzione del pubblico per tutta la durata del concerto. Tra brani corali composti al momento con la platea, e sketch sulla propria vita privata. Ecco cosa ci ha raccontato.
L’intervista ad Alexis Ffrench a Piano City Milano
Com’è essere tornato dopo anni in Italia durante una settimana così speciale come quella di Piano City Milano e in una location così suggestiva?
È meraviglioso essere tornato. Per me l’Italia rappresenta il posto dove io e la mia famiglia spendiamo solitamente il tempo libero, una via di fuga da tutto il resto. Dal punto di vista musicale, la cosa che amo di più del vostro Paese è la tradizione di centinaia di anni di musica classica, da Rossini a Verdi. Musica senza tempo che parla all’anima. L’Italia è la casa della melodia, e proprio per questo per me è un dono poter suonare qui.
Nel tuo programma Classical Connections su Apple Music parli di Cowboy Carter di Beyoncé. Perché pensi sia importante avere influenze reciproche dalla musica classica a quella mainstream delle classifiche?
Sono un suo grande fan, ai suoi show è quasi indecente quanto mi diverta. Indipendentemente dal mio genere, io sono un fan della musica in generale, amo scoprire nuovi artisti e portarli alle orecchie degli ascoltatori. Con questo programma, il mio intento è mostrare come la musica classica è strettamente connessa a molte tracce che ascoltiamo oggi. Sia che si tratti di interpolazioni o sample, o che si tratti del DNA della traccia stessa.
Ci sono tracce in cui queste reference sono presenti costantemente, come nel caso del nuovo album di Beyoncé, e tramite il programma provo a saltellare da una traccia all’altra per far capire a chi ascolta quanto vicini siano a volte i DNA di due pezzi molto spesso distanti centinaia di anni. È quasi come dire “se ti è piaciuta questa traccia, ci sono chance che ti piaccia quest’altra”. È importante però non avere un approccio pedagogico, non dire “siediti e ascolta, voglio insegnarti qualcosa”. Non sono qui per insegnare nulla, sono qui per condividere delle storie e degli aneddoti a volte anche curiosi. È come riportare in vita dei compositori che non ci sono più.
Una cosa inedita che ho fatto recentemente ad esempio, e che ancora non è stato pubblicato sul programma, è stato immergermi nell’hip hop e analizzare il dissing tra Drake e Kendrick Lamar. Non da un punto di vista del messaggio dietro le offese stesse, ma dal punto di vista musicale analizzando le basi di Family Matters ed Euphoria e cercando di confrontare le due tracce a partire dal loro DNA.
Hai collaborato con alcuni dei più grandi artisti pop al mondo. Puoi raccontarci qualche episodio divertente o interessante di queste collaborazioni?
Ricordo di aver visto Leona Lewis a X Factor, con una voce così angelica. In realtà poi ci siamo conosciuti durante la pandemia, quando tutti avevamo abbastanza tempo da dedicare alle cose a cui non potevamo dedicarci prima. Quindi abbiamo iniziato ad avere delle conversazioni molto profonde, come fecero molti artisti in quell’anno. È stato un momento di riflessione intensa, a partire da uno scambio di opinioni su ciò che volevamo fare musicalmente. Ho provato ad ascoltare ciò che il suo cuore dettava, e abbiamo tradotto le emozioni di quelle conversazioni in una bellissima canzone insieme.
Nel futuro ho altre collaborazioni in programma, a partire dal nuovo album, Classical Soul vol.1, che includerà diverse influenze della cultura africana e una miscela di afrobeat e musica classica. Il nuovo album sarà proprio un intreccio, dalla cultura classica ai pilastri del soul.
Il tuo ultimo singolo, Reverie, è una melodia confortevole per i cuori di coloro che trovano nella musica un rifugio. Dopo tutti i tuoi successi, ti consideri ancora un sognatore come eri agli inizi della tua carriera?
Sono sempre stato un intenso sognatore, intensissimo. Probabilmente ora ancora più di prima. Cerco sempre di utilizzare i miei sogni come un innesco per azioni concrete che mi diano l’eccitazione di andare sempre avanti.
Il problema dei sogni però è la concezione generale che per raggiungere l’obiettivo del sogno si debba saltare immediatamente dalla condizione attuale in cui ci si trova a quella desiderata. In realtà, il processo è uno Step-by-Step, un piccolo passetto dopo l’altro. Passo tanto tempo a parlare con i giovani che sognano in grande, e noto che la difficoltà principale è l’immediatezza con cui si ottengono le cose ormai. Tutto e subito, purtroppo i sogni non funzionano così. E se guardi alla distanza tra il punto di partenza di un sogno al raggiungimento dello stesso saltando gli step intermedi che si occorre percorrere, ti sembrerà un obiettivo irrealizzabile.