Tutti i mondi di Anna and Vulkan
Nata e cresciuta a Napoli e ora di casa a Vienna, la musica della cantautrice classe 1996 si muove tra il calore del Vesuvio e del sole partenopeo e l'intimismo

GEN B è il nuovo format editoriale di Billboard Italia che vuole dare agli emergenti più interessanti in circolazione lo spazio che meritano. Una serie di cover digitali che approfondiscono a tutto tondo le next big thing della scena scelti direttamente dalla redazione, che ogni mese punterà su due artisti che hanno dimostrato di avere quel quid per fare il grande salto. La nuova protagonista è Anna and Vulkan.
Foto: Dalila Slimani
Creative director: Pierfrancesco Gallo
Stylist: Melissa Brollo
Ass. foto: Riccardo Matterazzo
MUA: Nicole Melillo
Set design: Thala Belloni
In Anna and Vulkan convivono due mondi: da una parte l’italianità e il calore di Napoli, il luogo in cui è nata e cresciuta e in cui a 16 anni ha iniziato a fare musica, dall’altra quel temperamento tipicamente mitteleuropeo – raffinato, intimista e malinconico – un po’ di nascita e un po’ instillato dalla sua permanenza a Trieste prima e a Vienna poi.
Classe 1996, sin da bambina nelle canzoni Anna ha trovato la libertà di essere ciò che ha sempre voluto, da quando ascoltava Avril Lavigne e i Paramore a quando – proprio a Vienna – ha scoperto suoni lontani e bellissimi, passando per la scoperta dei cantautori italiani che le hanno insegnato quell’incredibile sentimento che è la nostalgia e che la rendono una creatura quasi vintage ma catapultata nel futuro, in una sorta di Periodo particolare che canta con la leggerezza (ma mai la superficialità) di una sigaretta consumata guardando il mare e che anticipa il suo primo album di prossima uscita.
Con lei abbiamo parlato di arrivi e (ri)partenze, di quanto è importante far parte di una realtà come Pluggers in cui l’umanità è al primo posto, cambiamenti, crescita e – ovviamente – Napoli.
L’intervista ad Anna and Vulkan
Come hai deciso di spostarti da Napoli a Vienna?
Prima mi sono trasferita a Trieste per l’università. Ho studiato lì tre anni e poco prima di laurearmi mi sono trasferita a Vienna perché avevo trovato un lavoro e volevo provare un’esperienza al di fuori dall’Italia. Ero molto convinta di volerlo fare, non sapevo bene dove andare, poi ho conosciuto la mia ragazza che è di lì e ho detto “ma sì dai, proviamo”.
E a Vienna che succede?
Lavoravo come brand designer. I primi anni sono stati un po’ brutti perché dopo sei mesi che ero lì è arrivata la pandemia. Conoscevo un po’ di persone, ma poi piano piano sono andate tutte via da Vienna. Proprio in questo periodo però ho ricominciato a fare musica, una cosa che avevo messo un po’ da parte durante l’università perché non avevo persone intorno che suonassero ed ero molto impegnata nello studio. Avevo abbandonato l’idea, ma questa voglia mi tornava sempre, anche perché a Vienna ho iniziato ad ascoltare tantissima musica diversa. Lì ci sono comunità di persone che vengono dai paesi balcanici, dalla Turchia, e quindi si sente tanta musica particolare. Ricordo che i miei vicini si ascoltavano sempre delle canzoni bellissime e questa cosa mi ha un po’ influenzata.
E come hai ricominciato?
A quel punto ho deciso di approfondire il mondo della produzione, una cosa avevo già iniziato in passato però sempre un po’ così. Mi sono messa lì più seriamente, ho iniziato a scrivere i primi brani, li ho mandati in giro e ho trovato Pluggers: pensavo facessero prettamente rap, però ho deciso comunque di mandare una mail con le mie canzoni. A loro però avevo scritto una cosa diversa da tutti gli altri, non so perché, me la sentivo così. Dopo cinque minuti mi ha risposto Koki per dirmi di fare una chiamata e con loro ho pubblicato il mio primo EP.
Si sono create anche delle collaborazioni con i ragazzi di Fuck Pop.
Sì, abbiamo fatto un pezzo insieme e ieri sera a Pompei ne abbiamo suonato un altro inedito. È bello perché non c’è nulla di stabilito, ma le cose si mischiano. Loro poi sono dei matti, ma sulla musica sono precisissimi, ci tengono tantissimo.
Mi sembra comunque che ci sia un aspetto umano molto forte: quanto è stato importante per te entrare in una realtà che dà molta attenzione a questa componente?
Tantissimo. All’inizio forse, non avendo avuto nessun’altra esperienza in nessun’altra etichetta e dunque non avevo un’altra realtà con cui fare un confronto, pensavo fosse la normalità. Poi col tempo ho capito che è una cosa abbastanza peculiare, non è scontato che sia così. Mi piace molto che gli artisti abbiano tanta libertà: loro mi hanno dato una gran mano a trovare una direzione, ma senza mai snaturarmi, senza mai farmi fare cose che non sentissi mie al 100%. C’è tanto rispetto dell’identità dell’artista e un grande lavoro di squadra. Questa cosa secondo me è molto bella e fa sì anche che tutti ci sentiamo poi parte di qualcosa di più grande.
La primissima volta che ti ho vista suonare era proprio a un loro evento e mi sembravi timidissima, l’anno dopo invece sul palco ti ho percepita già molto più aperta, più confident.
Credo di essere cambiata molto sotto questo aspetto. In generale sono una persona molto timida, molto riservata. La musica mi ha sbloccata tanto da questo punto di vista, perché era una cosa che ho cercato di fare negli anni ma che non ero mai riuscita a realizzare. Nonostante l’ansia che ogni volta c’è prima di salire sul palco, è come se avessi trovato il modo di allinearmi, mi sento veramente me stessa.
Prima non era così?
Dopo l’università ho passato un periodo abbastanza buio in cui semplicemente mi alzavo la mattina, e lavoravo fino alle cinque. Nonostante il lavoro mi piacesse, questa cosa non mi faceva stare bene: mi sentivo molto distaccata da me, sentivo quasi di vivere la vita di un’altra persona. Da quando faccio musica mi sono liberata di questa sensazione e sento di essere finalmente ciò che sono e che volevo.
E invece per quanto riguarda il lavoro in studio? Anche proprio a livello di brani mi sembra che tu abbia trovato la tua direzione.
Una cosa che ho trovato molto liberatoria è stata cantare anche in napoletano. Stando a Vienna avevo anche provato a cantare in inglese, però non sentivo mai che quello che facevo era veramente mio. A un certo punto ho iniziato a provare a cantare il napoletano e questa cosa mi ha dato una grande spinta perché vedevo che riuscivo a entrare in una dimensione che sentivo più mia. Era una cosa molto forte per me. Per quanto riguarda le canzoni, mi piace molto sperimentare, giocare con la musica, non voglio focalizzarmi su un solo genere.
La cosa che trovo più interessante nell’idea di fare musica è farla senza darsi troppi paletti. Infatti nei brani che devono ancora uscire penso che questa cosa si senta molto: ci sono tanti pezzi diversi tra di loro che hanno come filo conduttore il fatto di essere identificativi. In generale mi piace molto l’idea di fare una canzone pensando “okay, questa cosa non assomiglia a nulla di ciò che ho già sentito”.
La cosa bella di Napoli in particolare è che ci sono tante cose diverse tra loro.
Assolutamente. Credo che il fatto che stiano uscendo così tanti progetti faccia in modo che anche altre persone si sentano più invogliate a fare musica. Negli ultimi anni è come se i napoletani avessero un po’ preso di nuovo in mano il racconto della città e della propria vita, dopo un lungo periodo in cui sembrava quasi che Napoli potesse essere raccontata solo dagli altri. Non so in che direzione si andrà nel futuro, ma mi piace il fatto che tutti gli artisti che vengono da Napoli abbiano un legame indissolubile con la città e che tutti portino un racconto originale.
A Vienna ti manca Napoli?
Moltissimo. Io vengo dalla provincia, ma lì ho fatto un anno di università ed è stato un periodo bellissimo. Napoli è il posto che mi rende felice, quello in cui torno quando sono in ansia o sono triste. Sono molto legata alla città e credo che questo legame si sia rafforzato anche nel momento in cui sono andata via. Napoli non è solo dolce vita, ovviamente, però ha tante cose che non trovi altrove come la cultura, il modo di approcciarsi alle persone, il clima che si respira a livello umano.
Prima parlavi del mondo della produzione: ti definiresti una produttrice?
Sì. Lavoro con altre figure, ma l’idea principale completa è la mia, che poi viene affinata. Per ora non credo che riuscirei a farlo per altre persone in maniera completa, ma mi piacerebbe tanto imparare. Sono contenta che ci siano sempre più donne che si avvicinano alla produzione: è come se ci stessimo riappropriando di uno spazio che fino ad ora non avevamo considerato perché era visto come un lavoro prettamente maschile.
So che stai lavorando a un disco.
Sì, è pronto e lo stiamo già portando un po’ in giro. Ho iniziato a lavorarci un anno fa e Periodo particolare è stato l’ultimo brano che ho scritto. Sono molto contenta di come è venuto fuori e non vedo l’ora che esca. Ci ho giocato tanto ed è stato molto bello lavorare in studio. Sono curiosa anche di vedere come sarà percepito perché sarà diverso da tutto quello che è già uscito.