Interviste

Da “funkytarri” a “protomaranza”, sempre Articolo 31: «Mai scesi a patti con i nostri gusti per essere cool»

Abbiamo ascoltato in anteprima il nuovo album del duo, in uscita venerdì 10 maggio, nello studio di J-Ax dove è stato registrato. Ci ha raccontato il disco e, come spesso accade, siamo finiti a parlare un po’ di tutto: rap, classifiche, Elly Schlein e censura

Autore Samuele Valori
  • Il7 Maggio 2024
Da “funkytarri” a “protomaranza”, sempre Articolo 31: «Mai scesi a patti con i nostri gusti per essere cool»

Entrare al Willie l’Orbo Studio e mantenere la calma è complicato. Avresti voglia di esplorare ogni singolo angolo e di fermarti a guardare tutti gli oggetti sparsi in modo ordinato sugli scaffali. Hai la tentazione di metterti lì a parlare con J-Ax e di farti raccontare la storia e l’esclusività di ciascun cimelio. Lui probabilmente ne sarebbe contentissimo e potrebbe dare sfogo alla sua anima nerd. Però c’è un disco da ascoltare e, in questo caso, anche per il rapper è difficile tenere a bada l’entusiasmo: svapa, muove la testa a ritmo e canticchia il ritornello di ogni pezzo. Protomaranza: un nuovo album degli Articolo 31 a 31 anni esatti dal loro primo disco. J-Ax giura che è una coincidenza e che non ci sia nulla di programmato, e ci crediamo.

Nati per errore e sempre troppo poco cool per il pubblico snob. Il funkytarro, nel lontano 1996, nel primo e unico disco di diamante del rap italiano Così Com’è, era una confessione «senza pudori né riguardo». Citava pure quello stesso Pino d’Angiò, oggi tornato di moda e osannato da tutti, quando era poco figo rappare su basi funky. «Con gli Articolo 31 volevamo costruire un ponte fra il rap che arrivava dall’America e quello che si ascoltava in Italia utilizzando canzoni della nostra cultura popolare. Senza nemmeno una coscienza precisa della volontà di farlo ma solo perché, oltre all’hip hop, io ero un fan del pop e di cose che oggi verrebbero definite “cringe” o “trash”. Negare che ti piace una cosa solo perché non è cool è proprio da fighetti di m**da» racconta J-Ax in uno dei rari momenti un cui guarda al passato.

Le regole del gioco

Gli Articolo 31 non hanno mai tenuto fede a uno stile ben preciso e anche Protomaranza probabilmente scontenterà i fan degli anni ’90 più intransigenti e quelli dei Duemila affezionati alla svolta pop punk. J-Ax e DJ Jad continuano a fare quello che vogliono, ma con la mentalità nerd dei videogiocatori. Il livello da superare oggi è un mondo che corre veloce e non ha tempo. «Se devo giocare lo faccio con le regole di adesso, quindi l’attenzione è bassa e la durata delle canzoni è ridotta. Avremmo potuto fare un feat con i Club Dogo, ma volevamo avere il tempo di dire più cose. Alla fine, ci sono ma sono divisi».

L’abilità sta proprio nel riuscire a essere se stessi in un contesto che è cambiato. Quindi 16 tracce, scelte tra le trenta scritte dal duo, quasi tutte papabili hit, che allo stesso tempo nascondono delle chicche tipiche del duo, come il campionamento di Dimmelo di Iva Zanicchi in Nel Drink con Guè. «Cosimo ha guidato il pezzo, non voleva fare la classica strofa ricca di punch line che gli chiedono sempre».

Anche il numero delle collaborazioni segue il trend di oggi. Oltre al primo singolo Peyote con Fabri Fibra e Rocco Hunt, c’è la traccia omaggio Dogo-Articolo Come godo con Jake La Furia, c’è la rivisitazione di Tedua, c’è il ritorno di Nina Zilli in Non ho voglia (Disco Party) e quello di Neffa in Contrabbando. Quest’ultima non è una reunion dei Due di Picche, ma un vero featuring in cui l’ex Sangue Misto torna a rappare. E poi anche Vaffanculo papà, che inizia con una telefonata a Mr. Rain per chiedergli in prestito i “bambini” per il ritornello. Una risposta non troppo ironica a chi prende di mira i testi dei rapper.

Si divertono ancora, non c’è il minimo dubbio, e godono come un tempo quando il loro animo nazionalpopolare fa storcere il naso ai più sofisticati. J-Ax, funkytarro o protomaranza, chiamatelo come volete, d’altronde non è mai sceso a patti con i propri gusti. Li ha sempre sbandierati in ogni suo disco, pure da solista, anche al costo dell’insuccesso. Il nuovo album del duo inizia però in modo serio, con un brano introspettivo inserito all’ultimo, il primo che ascolto insieme a lui e quello da cui è iniziata inevitabilmente l’intervista.  

L’intervista a J-Ax

Il disco degli Articolo 31 si apre con Intro (spettivi), un brano molto diverso dal resto della tracklist di Protomaranza.
Il pezzo mi è stato suggerito da un commento sui social dopo l’uscita di DISCO PARADISE.  Io vado spesso nei gruppi dei fan po’ più integralisti per vedere che dicono. Molti scrivevano: «Eh però, alla loro età, dovrebbero essere più introspettivi». In quel periodo avevamo appena scritto il freestyle che abbiamo pubblicato pochi giorni fa su Instagram e che avrebbe dovuto essere l’intro del disco. Volevo iniziare così, “alla cazzo”, dicendo cose poco serie, come quella di Steve Jobs e Steve Wozniak. Leggendo quei commenti mi è salita la “carogna” e ho scritto di getto quella che alla fine è diventata la prima traccia di Protomaranza.

È un inizio introspettivo in cui parli di quanto non ti piaccia condividere. Non è un paradosso per un artista?
Forse è un limite mio, probabilmente perché faccio parte della Gen X, però a me non piace parlare al pubblico dei miei guai, perlomeno al di fuori della musica. Preferisco presentarmi stronzo e argumetative, come dicono in inglese. Preferisco fare rabbia al pubblico piuttosto che fargli pietà. Io mi sono fermato varie volte, ma non l’ho mai detto esplicitamente. Con questo non giudico chi decide di aprirsi, sia chiaro, ma a me proprio non viene in mente. L’intro è un modo per far capire al pubblico perché certe cose non gliele dico e «se non lo capiscono, fanculo pure ai fan», come canto nel pezzo. Perché la miglior vendetta è essere felici e divertirsi.

Non voglio snaturare la mia musica, che è sempre stata la mia macchina del tempo, solo perché la società dice che a una certa età devo comportarmi e vestirmi in un certo modo. Tutto questo mi ricorda la mia adolescenza e mi stimola ancora di più a essere dalla parte degli emarginati. La discriminazione è un grande motore per chi fa rap. 

Quindi aveva ragione Mia Martini, come dici nel brano.
Sì, «la gente è strana, prima ti odia e poi ti ama». Quando l’abbiamo incontrata dal vivo io e Jad eravamo completamente fuori dal giro e, arrivati nel backstage, ero super gasato: «Minchia, Mia Martini che mito, quella che canta con il “growl” a Sanremo». Nel frattempo, vedevo quelli che si toccavano i coglioni. Io li ho visti con i miei occhi ed erano gli stessi che, dopo la sua scomparsa, la osannavano. Per questo bisogna fregarsene, fare quel cazzo che si vuole e divertirsi, che tanto non farai mai felici tutti, soprattutto il nostro pubblico.

Perché i vostri fan sono complicati?
Il punto è che gli Articolo 31 hanno un pubblico variegato che è impossibile accontentare in toto. Ci sono quelli che ci seguono dal primo disco, che vorrebbero pezzi più old school e che erano già scontenti quando abbiamo pubblicato Domani smetto. E poi c’è chi han iniziato a seguirci da quella seconda fase e vorrebbe più brani in quello stile.

Torniamo all’inizio. Perché il titolo Protomaranza?
È una trollata. Io e Jad da ragazzini venivamo etichettati come “maranza”. Una parola che era molto utilizzata nei primi anni ‘90 e che oggi è tornata di moda. Lo dice anche mio figlio. Quindi se oggi ci sono i “maranza”, allora noi siamo i “protomaranza”. Per questo abbiamo optato per l’artwork del museo. È un modo per spiazzare i fan perché poi non c’entra nulla con le canzoni. C’è anche una motivazione più seria, in realtà: volevamo dare un taglio al passato. Noi, come Articolo 31, abbiamo sempre fatto l’album con la titletrack. Qui non c’è. Il disco tuttavia, in vari momenti, risente di cose che abbiamo fatto. C’è sempre una coerenza con il nostro trascorso, ci sono diversi richiami. Che poi quale è la musica “maranza” oggi è difficile dirlo, ai nostri tempi era la techno.

Il disco è figlio dei tempi, non è un’operazione nostalgia e lo si nota proprio dallo stile immediato delle canzoni.
La cosa più assurda è che, pur essendo fatto con le strutture tipiche degli Articolo 31, siamo riusciti a scrivere dei pezzi che durano quasi tutti due minuti e mezzo. Oggi la soglia di attenzione è diminuita, fare brani lunghi è un rischio e bisogna adeguarsi. Poi è inutile lamentarsi. Io non ho mai creduto al mito del musicista che scrive per se stesso. Allora che pubblichi a fare? Sai quanta roba ho nel pc che non ho mai pubblicato. Io ho sempre inteso la musica come un medium di emozioni. Tu puoi giocarti tutte le cartucce possibili, circondarti di gente che scrive hit, adottare il suono del momento, ma se non hai l’emozione dietro si sente. La musica traduce le sensazioni di chi scrive e le trasmette. La soluzione può essere una composizione di Bach, oppure Smack My Bitch Up dei Prodigy.

Oggi, tra l’altro, i due generi più ascoltati in Italia sono il rap e il pop punk, che sta vivendo l’ennesima nuova giovinezza. Le due strade percorse dagli Articolo 31 in carriera.
Sì, è vero però, come dico in Chi se ne frega di noi, non ci riteniamo né maestri né tantomeno dei pionieri. Ci sono sempre stati sul cazzo quelli che si ergono e dicono: «Questa roba l’ho inventata io». Io credo che la predominanza di questi due generi sia dovuta al crollo della sovrastruttura che controllava il consumo e gli ascolti. Oltre alle nicchie, che non scompariranno mai, i due macrogeneri sono il pop e l’urban. Semplicemente perché è la musica più bella: la puoi ballare, fa pensare e ti diverte. Con lo streaming la gente è libera di andare ad ascoltare quello che gli piace, non deve più sottostare alle scelte delle radio. Poi, c’è anche da dire che oggi non reputo nemmeno troppo veritiere le classifiche.

Perché?
Per me non rappresentano veramente il consumo di musica nel Paese, per due motivi. Il primo è che, appunto, il numero di ascolti incide molto di più rispetto al numero degli ascoltatori. Quindi quelli che hanno più tempo di fare binge listening dettano il mercato, ovvero i dodicenni. Magari chi ha un pubblico dall’età media più alta che lavora e ha meno tempo o che addirittura preferisce ascoltare l’album nella versione fisica, pur avendo numericamente gli stessi fan, ha stream molto più bassi. Non mi spiego sennò com’è possibile che ci siano artisti che riempiono sette stadi e non entrano in classifica.

La situazione ottimale per me la raggiungeremo tra 20 o 30 anni, quando tutte le generazioni utilizzeranno le piattaforme. Siamo in un momento di passaggio. Con questo, come detto, non voglio fare l’artista che si lamenta. Se vuoi giocare, devi stare alle regole. Oggi le regole del gioco sono queste.

Il nome Articolo 31 nasce da un errore. Una legge irlandese, abrogata nel 1994, che dava al Governo il potere di vietare la presenza in TV, radio e ogni altro mezzo di comunicazione a qualsiasi partito ritenuto dal governo stesso nocivo per l’ordine pubblico. Impossibile non pensare alla nuova Par Condicio in Rai e a quello che è successo a Scurati.
Io credo che la televisione sia ormai diventata una bolla che presto esploderà. Non frega più nulla a nessuno di quello che passa in TV. Scurati sì, non ha potuto fare il monologo ma, come si è visto poi, ci sono YouTube e i social, mezzi attraverso cui raggiungi persino più pubblico. La televisione è un media morente. Ci sono dei programmi che funzionano, tipo Amici di Maria De Filippi o Che tempo che fa, ma sono delle eccezioni. Hanno un pubblico fidelizzato che accende la tv solo per quello. Lavorandoci mi sono reso conto che è come essere in una realtà autoreferenziale in cui c’è gente che non sa neppure cos’è Twitch. Oggi è la golden age dei podcast, dove si possono dire cose per cui in televisione si offenderebbero. E questo si può fare solo perché gli ultrasessantenni non sanno che esistono (ride n.d.r.).

Parlando di politica, in Libertario Surf c’è un insert di Elly Schlein. Come mai?
Ci siamo seguiti a vicenda su Instagram dopo il discorso a Orban (quello che si ascolta all’inizio del brano n.d.r). Ringrazio Elly Schlein per avermi dato il permesso di usarlo, anche perché all’interno del pezzo io vado contro le idee del suo partito. La canzone l’ho scritta proprio perché, dopo i miei litigi con Meloni e Salvini, tutti credono che io voti il Partito Democratico, ma non è vero. Apprezzo il politico singolo, nel caso specifico Elly, per aver parlato di salario minimo, ma poi ci sono altri temi del PD con i quali non sono per nulla d’accordo. Io sono un libertario progressista e oggi, la sinistra in Italia non lo è molto.

Negli ultimi tempi si è parlato fin troppo dei testi dei rapper. Voi rispondete, in pieno stile Articolo 31, in Vaffanculo papà, dove avete preso “in prestito” i bambini di Mr. Rain.
Sì, quello è un pezzo che suona come una canzone per bambini, ma è rivolta agli adulti. Se cresci male è colpa dei tuoi genitori, non del rap o della musica che hai ascoltato. Sono tutte stronzate per gente che non ne sa un cazzo e per genitori pigri che non hanno voglia di spiegare ai loro figli il contesto. Io stesso lo faccio con mio figlio che, crescendo in America, da sempre ascolta hip hop con testi “politicamente scorretti”. È una rottura, ma da genitore lo devi fare e non puoi dare alla musica e ai musicisti, o in generale alla società, il compito di educare. Quelli che parlano male della nuova generazione di rapper sono gli stessi che negli anni ’80 consideravano Madonna il male assoluto perché faceva i video col crocifisso e i preti in Chiesa e che oggi la definiscono la Regina del pop.

Poi mi fanno imbestialire le trasmissioni televisive in cui leggono dei versi decontestualizzati e dicono: “Questa non è arte”. Senza rendersi conto che si potrebbe fare la stessa identica cosa con alcune frasi di Bukowski. Quindi quella non è letteratura? Sono armi di distrazione di massa, per dire ai vecchi: «I giovani vi rapinano, non perché sono stati lasciati in una condizione economica di merda, ma è colpa di Rondodasosa e dei trapper». È sempre stato così, prima erano gli immigrati, adesso addirittura, con gli artisti di seconda generazione le due cose si stanno fondendo. Se io fossi uno di questi nuovi trapper incrocierei le dita e spererei in una legge che vieti le mie canzoni, perché ciò le renderebbe ancora più appetibili. Come è avvenuto con la droga.  

A proposito di adolescenti e di scuola, nel disco c’è un brano, Scusi maestra, in cui riscrivete con Tedua A pugni col mondo. Come è nata la cosa?
Io e Jad volevamo che nel disco ci fosse un’artista della generazione attuale e abbiamo scelto subito Tedua, non l’abbiamo chiesto a nessun altro. Tedua, nonostante il grande successo, ci sembra un outsider e in questo ricorda proprio gli Articolo 31. È uno che vuole fare l’artista e meno l’”imprenditore”, non gli frega un cazzo di essere cool, non è un paninaro. Noi non vogliamo essere cool e non vogliamo piacere a chi è cool. Quando sono andato in studio da lui per proporgli la cosa mi fa: «Cavolo Ax, avevo già campionato A pugni col mondo che è uno dei miei pezzi preferiti». E abbiamo finalizzato quel lavoro quindi, paradossalmente, la scelta del brano l’ha fatta lui. Secondo me quel pezzo lì piacerà ai nostri fan e piacerà ai suoi, è una roba molto difficile.

Uno dei pezzi di Protomaranza che più ricordano per attitudine e stile gli Articolo 31 di Tranqui Fanky è Non ho voglia (Disco Party) dove torni a collaborare con Nina Zilli.
Le sarò sempre grato, la mia carriera solista è decollata grazie al singolo Uno di quei giorni con lei. Il bello d’esser brutti è stato il mio album più di maggiore successo come J-Ax. In più siamo amici quasi di famiglia, dato che lavoro anche spesso col suo compagno (Daniele Lazzarin dei Two Fingerz). Tra l’altro li ho fatti conoscere io (ride n.d.r.). Tra l’altro, solo a lei potevo chiedere di cantare un ritornello del genere, pensavo mi mandasse affanculo e invece si è dimostrata come sempre molto ironica.

Protomaranza si chiude con l’altro pezzo più personale, Contadino, in cui parli della genealogia della tua famiglia e chiudi immaginando il futuro di tuo figlio. Com’è nata?
Il genere che prediligo negli ultimi anni è il conscious country che è diverso dal New Country che è quello che sta tornando di moda in America e che parla di pick- up, birra e altri cliché. Tra i pionieri del conscious c’è Willie Nelson. Io mi sono ispirato a un suo brano, Highwayman, per scrivere Contadino. Lui parlava di un altro mestiere ovviamente, io ho pensato a mio nonno che lavorava la terra ed era sfruttato dai padroni e sono arrivato a immaginare che, come in un ciclo che si ripete, mio figlio tornerà a fare il contadino su Marte.

Nel freestyle che hai nominato prima, a un tratto definisci il giornalismo musicale «morto». Qual è il tipo di giornalismo musicale che ti piacerebbe?
Dipende molto dalle penne, io adoro le voci fuori dal coro, sia che parlino bene o male di me. Loro hanno la licenza poetica di scrivere quello che vogliono perché hanno una cifra stilistica e zero interessi. Ma l’ultimo stronzo, che magari si è formato leggendo Pitchfork, e che faceva trasparire il suo odio per l’artista e non per la musica, per me può andare affanculo. Se odi il disco ci può stare, ma non devi essere di parte solo perché ti sto sulle palle.

Ci sarà San Siro dopo il Forum, come i Club Dogo?
No, per me il palazzetto è lo spazio più grande dove riesco a divertirmi. Preferisco fare i club, non sono un cantante da stadio. Come Articolo 31, l’avremmo già potuto fare l’anno scorso, anziché riempire quattro Forum, ma abbiamo detto di no. Mi piace avere il pubblico più vicino, vederlo pogare, stringere qualche mano. Poi io sono la prova vivente che la Legge di Murphy è reale e sono sicuro che semmai facessi un concerto a San Siro pioverebbe a dirotto.

Però l’hai fatto con Fedez.
Quando ho suonato a San Siro con Fedez era la conclusione di un percorso artistico nazionalpopolare, ma è stato molto complicato. È uno sbattimento: c’è il regista e devi programmare e calcolare ogni movimento sul palco. Però, se mi permetti, vorrei flexare: noi l’abbiamo fatto con lo stage al centro; quindi, non con 40mila spettatori come fa la maggior parte degli artisti, ma con 80. Magari ci tornerò quando faremo il concerto d’addio, ma per il momento non ci penso. 

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