Artie Time
Il rapper milanese – protagonista della nostra digital cover – ha pubblicato venerdì “La Bellavita”, che più che un album sembra l’editto della sua consacrazione, una tappa di un viaggio la cui meta è molto più importante dei beni materiali: c’entra col trovare se stesso

Artie 5ive
Nell’ora di chiacchierata per questa intervista, c’è un concetto in particolare su cui Artie 5ive ritorna spesso e con una lucidità non scontata per chi nel giro di poco tempo è passato dall’essere un normale ragazzo di zona con la passione per il rap a uno dei nomi più caldi della scena: capire chi si è, da soli e in relazione alla società.
Lo dice quando riflette sul fatto che La Bellavita, il suo nuovo album uscito solo venerdì ma già destinato a diventare uno dei più ascoltati del 2025, è il risultato di anni di analisi di sé stesso e di ciò che lo circonda – dal microcosmo del quartiere al macrocosmo dell’attualità, che segue attentamente -, quando spiega quanto per lui sia stato importante rimanere profondamente ancorato alla cultura sierraleonese, e quando racconta perché uscire da quella zona di comfort che è casa abbia rappresentato un momento cruciale per scoprirsi, anche a costo di affrontare la paura di essere solo con la propria testa una volta chiusa la porta alle proprie spalle.
Che Artie 5ive avesse una spiccata attitudine all’essere estremamente centrato verso i suoi obiettivi e che avesse chiarissimo il corso delle cose e delle persone da tenere con sé sul carro del successo lo si capiva già nel 2023, nella nostra copertina dedicata al futuro del rap italiano in cui Ivan sembrava seguire un percorso già ben delineato nella sua mente, senza possibilità di compromessi, incertezze e dando tempo al tempo.
Se è vero che “il successo è un processo lungo lungo e laborioso”, come dice in I GOT 2 GO, l’outro de La Bellavita, quello di Artie 5ive non è di certo arrivato per caso, esattamente come questo disco, che se ad un ascolto superficiale potrebbe apparire come una meta arrivata dopo Aspettando La Bellavita, in realtà rappresenta solo una tappa del viaggio di Artie. Un viaggio la cui posta in gioco forse è molto più alta di quello che sembra: ha infatti poco a che fare con i beni materiali e il successo, e molto, invece col trovare davvero se stesso e col colmare certe mancanze emotive che ancora lasciano degli strascichi. E se questa è la vera Bellavita, Artie 5ive è sulla via giusta per raggiungerla.
L’intervista ad Artie 5ive
Prima dell’uscita dell’album hai fatto dei listening party ma ti sei tenuto i pezzi più “diversi” come sorpresa…
Sì, volevo lasciare per l’uscita quell’idea di viaggio che ha accompagnato tutto il progetto. Spero che le persone lo stiano ascoltando nell’ordine in cui lo abbiamo pensato, che non è casuale.
Infatti mi sembra che questo sia un disco circolare. Tra le sei vie che rappresentano La Bellavita c’è quella del sacrificio, un tema che ricorre spesso e che si incrocia spesso al tema del successo, con cui apri e chiudi l’album. Ce n’è uno in particolare che senti di aver fatto?
So che può sembrare strano, ma forse aver rinunciato alla certezza della vita normale e l’incertezza che si ha quando ancora non sai esattamente chi sei e cosa puoi fare. Le scelte stesse diventano un sacrificio: è un continuo decidere se mettere davanti a tutto te stesso e quello che stai costruendo. E non dico in modo egoistico, ma consapevole che a volte delle cose escludono delle altre.
Ascoltando l’album la cosa che ho percepito è che è come se tirassi un po’ le fila di quello che è stato, quasi come se fosse davvero il disco della maturità. Però in un periodo anagraficamente di transizione.
È vero, sì. Credo sia perché io cerco di parlare in ogni minimo dettaglio della mia vita, delle cose e delle persone che mi circondano, e questa cosa mi ha portato a sviluppare un pensiero critico su ciò che ho intorno e ad analizzare me stesso e le situazioni. So cosa è meglio per me e cosa voglio fare, che nel caso di questo album era lasciare una sorta di editto. Non è un disco in cui faccio il cazzone, ma tiro le somme di quello che sono stato e quello che sono. Sento che c’è stata un’evoluzione, e questa cosa poi è ciò su cui si baseranno i progetti che arriveranno.
Essere così consapevole ti fa vivere più intensamente il peso delle aspettative tue e degli altri?
Prima le sentivo di più, ora sto riuscendo a lasciare un po’ più andare perché sto imparando a godermi quello che faccio e voglio trasmettere questa cosa anche al mio pubblico. E non solo per quanto riguarda me, ma anche i miei colleghi. Certo, la musica aiuta le persone, ma va presa per quello che è, senza usarla come un terreno di guerra per dire chi è meglio di chi.
Nel disco ci sono anche pezzi inediti rispetto a quello che hai fatto fino ad ora; penso a Pietà, in cui dici “Dio, perdono, abbi pietà, perché il mondo non cambierà”.
Credo che siamo in un periodo storico in cui ci stiamo finalmente rendendo conto che molte cose per tanto tempo non sono state fatte nel modo giusto, e stiamo vivendo le conseguenze delle azioni di chi c’è stato prima di noi. Con questo pezzo vorrei davvero invitare le persone a riflettere sul fatto di avere più pietà gli uni con gli altri, perché quella è la cosa che più manca alla società. Cerchiamo sempre la pietà in Dio, ma poi siamo i primi ad essere spietati con gli altri.
Sei attento all’attualità?
Molto. Mi informo su quello che succede nella società che mi circonda, nel mio Paese e in generale nel mondo. Ho le mie idee, anche se magari non le esprimo pubblicamente perché per me è importante che i ragazzi si facciano la propria senza essere influenzati.
Qual è la questione che ti sta più a cuore?
Sicuramente quella dell’integrazione, che per me è stata sempre trattata nel modo sbagliato, come se gli stranieri non fossero persone come le altre. Bisognerebbe far capire alle persone che il mix culturale – come del resto accade in tutti gli altri Paesi – è un valore, non un limite. Ad esempio all’estero la comunità black non solo è integrata, ma è anche quella che setta i flussi di tendenza. Tutte le cose più interessanti nascono da lì.
A cosa guardavi di più da ragazzino per trovare una rappresentazione?
Ovviamente agli Stati Uniti, ma anche alla Francia, all’Inghilterra e all’Africa. Per me essere vicino alla mia cultura è stato importantissimo.
Sicuramente in Italia siamo storicamente e culturalmente indietro, ma le nuove generazioni stanno cambiando le cose, non sono diffidenti verso ciò che non conoscono.
Assolutamente, i giovani sono molto più sensibili su tante cose, in primis quelli che sono i diritti civili e la libertà delle persone. Prendi anche solo la situazione dei detenuti nelle carceri. Fino a 50 anni fa non importava a nessuno, mentre adesso c’è più consapevolezza, anche per quanto riguarda il tema dell’accoglienza. Prima si salvano le persone in mare, poi si pensa a tutto il resto.
Il rap per te ha avuto e ha un ruolo in questa presa di coscienza?
Sì, perché è l’unico genere che riesce a parlare di cose che altri generi non affrontano e che si muove di pari passo con la società. Quello del rap è un linguaggio con cui puoi dire tutto.
Tutto tutto?
Tutto ciò che non offende delle persone. In passato ho usato nelle mie canzoni parole come troia, puttana, ma riascoltandole mi sono reso conto che erano usate a sproposito. Mi facevano risultare troppo volgare e rischiavano proprio di far perdere il messaggio.
Guè e Jake sono concordi nel dire che sei la nuova voce che rappresenta Milano: una bella responsabilità…
Però io me la accollo di brutto, e spero che ce ne siano sempre di più e sempre diverse. Milano ha bisogno di tante voci perché è una città mista, e io sento di rappresentare bene il movimento delle piazze, dei quartieri, di chi è nato in Italia ma rimane fiero delle proprie origini e vuole portarle in alto.
Forse però non tutti sono pronti a questa evoluzione naturale.
E questo secondo me si ricollega al discorso del sacrificio. Non tutti sono disposti a mettersi in discussione dopo aver vissuto tanti anni con una determinata mentalità. Per me è importante anche che l’educazione al cambiamento parta dalle scuole. Forse se il sistema scolastico avesse lavorato meglio su certe cose in passato ora la situazione sarebbe diversa.
Come hai vissuto il periodo della scuola?
In modo tortuoso. Ho iniziato l’istituto informatico ma sono stato bocciato al primo anno, poi sono passato a grafica, ma solo fino al quarto anno perché non c’erano abbastanza posti per fare la quinta e quindi avrei dovuto farla in un’altra scuola, ma poi ho perso tutto l’anno perché mi ero stufato di cercarne una che avesse posto. Alla fine mi sono diplomato in cinema e sono stato fortunato perché sono finito in una scuola in cui i professori erano davvero appassionati di quello che facevano e ci tenevano a darci una direzione.
Hai deciso tu di tornarci?
Sì, e ho cercato di trarne il meglio. Mi sono detto “magari conosco qualcuno, o magari la mia futura moglie”.
Ed è successo?
No (ride, ndr), altrimenti credo non saremmo nemmeno qui a parlare!
Sarebbe andata diversamente?
Sì, probabilmente avrei messo davanti la mia vita privata, mi sarei accontentato di questo e non avrei rischiato.
E se la incontrassi ora?
Adesso non sarei disposto a fare questa scelta. La mia futura moglie dovrebbe appoggiarmi, così come io appoggerei lei nella sua carriera, qualsiasi cosa scelga di fare.
Tornando invece a Guè, che per altro è presente in due brani molto diversi tra loro: in cosa senti di essere più simile a lui?
Io e Cosimo abbiamo due background abbastanza diversi, ma mi rivedo molto in lui nel modo che ho di raccontare Milano e dell’approccio che ha nelle cose. Riesce a non snaturarsi mai qualsiasi cosa faccia, anche quando sperimenta. Prendi anche Sanremo: è andato, ha fatto la sua cosa e ne è uscito immacolato. Guè è uno a cui non importa di quello che pensano gli altri, ha sempre avuto chiara la sua visione e l’ha sempre portata avanti. E poi credo siamo vicini anche sul fronte party (ride, ndr)!
Avete fatto delle grandi feste insieme?
Ma sai che ancora no? Anche perché io essendo sierraleonese faccio party un po’ a modo mio, ho un’idea di club diversa da quella italiana e in generale tipicamente europea. Mi piace la musica latina, quella afro, quindi sono quelle le serate che frequento di più.
Nell’album c’è un brano dedicato a tua mamma: che rapporto hai con lei?
Ho sempre avuto un bel rapporto sia con lei che con mio padre, nonostante in passato ci siano stati tanti conflitti. Riguardandomi indietro però mi rendo conto che si sono impegnati tanto per migliorarmi la vita. Mia madre mi è sempre stata di supporto come poteva, anche se appena ho avuto la possibilità ho scelto di uscire di casa.
Quanto c’entra la bella vita col fatto di essere indipendente? E non parlo solo a livello economico, ma anche del momento in cui decidi che devi essere solo tu a scegliere per te stesso.
Tantissimo. Come esseri umani inseriti in una società per me staccarsi il prima possibile dalla propria zona di comfort per conoscersi davvero e imparare ad affrontare le cose da soli è fondamentale. C’è un momento cruciale nella vita che è quello in cui impari a capire chi sei e cosa ti aspetta nella vita.
Tu sei in quella fase?
Io sento di starmi scoprendo piano piano, ma questa cosa non mi spaventa.
In I GOT 2 GO, l’outro, dici che il successo è un percorso lungo e che senti che per i prossimi anni non avrai riposo. Questa cosa ti suscita più adrenalina o più ansia?
Adrenalina e impazienza, anche se l’ansia è un sentimento che ho iniziato a provare un po’ nell’ultimo anno, pensando al fatto che quello che ho fatto in passato e che faccio nel presente plasmano quello che sarà il mio futuro. Diciamo che ho cercato di trasformare l’ansia da blocco a motore, anche se nella società in cui viviamo non ci viene insegnato a gestirla in modo costruttivo.
Spiegami meglio.
L’ansia può anche essere una spinta a farti delle domande. Diventa un problema nel momento in cui subentra la paura di stare da solo con la tua testa e di darti determinate risposte.
Ti capita a volte di sentire questa paura?
Nella vita sono stato da solo spesso, poi però sono iniziati i periodi in cui stavo sempre con tante persone e anche se chiudevo la porta di casa mia comunque mi sentivo ancora in mezzo alla gente. Ci ho messo del tempo a riscoprire lo stare da solo, non escludo che in futuro possano tornare dei momenti più complicati, ma sicuramente ho più consapevolezza per affrontarli e gestirli.
Sempre in I GOT 2 GO scrivi “Tutto questo ancora non mi basta”: qual è la cosa più importante che vorresti raggiungere?
Vorrei che si avverasse tutto quello che dico nelle canzoni. Mi piacerebbe costruire una situazione di tranquillità che non ho mai avuto, per me ma anche per i miei amici, la mia famiglia e tutta la mia gente.
Ho la sensazione però che non siamo sul piano materiale.
No. A me piacerebbe essere un giorno quel nonno che si siede a tavola con attorno una grande famiglia, venti nipoti, è una cosa che non ho mai avuto. Ho ancora delle mancanze emotive da colmare, ma credo che anche la consapevolezza di questo sia un passo verso la bella vita, no?
Giustissimo. C’è qualcosa che non ti ho chiesto e che vorresti dire?
Vorrei dire che è un disco a cui ho dedicato veramente tanto tempo e che mi piacerebbe che le persone capissero che non è solo una raccolta di canzoni, ma che dietro c’è un concetto forte. Questo album racconta del mio percorso personale e artistico e vorrei che chi lo ascolta entrasse davvero nel mio viaggio di cui questo progetto è una tappa.
E non la meta finale quindi.
Infatti chissà se è effettivamente chiuso… Non puoi mai sapere quali sorprese ti riserva la bella vita…