Azael non è come tutti gli altri
Classe 2000, Michelangelo è diverso da tutto quello che avete ascoltato fino ad ora in Italia ed è arrivato il momento di conoscerlo

Thrilljard e Azael, foto di Giulio Catenelli
GEN B è il nuovo format editoriale di Billboard Italia che vuole dare agli emergenti più interessanti in circolazione lo spazio che meritano. Una serie di cover digitali che approfondiscono a tutto tondo le next big thing della scena scelti direttamente dalla redazione, che ogni mese punterà su due artisti che hanno dimostrato di avere quel quid per fare il grande salto. Il terzo protagonista è Azael.
Foto: Giulio Catenelli
Creative Director: Orlando
Stylist: Carlo Salzano
Ass. stylist: Antonio Rossini
MUA: Erika Monti
Executive Producer: Angelo Kras
Se c’è una cosa che Azael ripete spesso durante la nostra chiacchierata seduti su un marciapiede davanti a un Forum eccezionalmente deserto dove stiamo scattando questa copertina, è il prefisso “sovra”. Sovrastrutturare, sovranalizzare: la musica, i pensieri, le parole. Se c’è una cosa che Azael non fa mai, nella musica, nei pensieri e nelle parole, è proprio sovrastrutturare e sovranalizzare.
Niente in lui, classe 2000, nato e cresciuto a Ravenna dove «ho passato tutta la mia adolescenza fino ai 18 anni, quando mi sono trasferito a Milano dopo che ho mollato la scuola» è costruito o finto. Non lo sono i suoi dischi – incazzati, disturbanti, sporchi, realizzati come un flusso bar for bar come “il mondo non vuole pace, vuole solo corpi morti” -, non lo è il suo immaginario – fortemente influenzato dai film horror e dalla violenza a cui volenti o nolenti Internet ci sottopone ogni giorno -, non lo è il suo stile di vita – che arriva dalla sua vicinanza giovanile al post punk -. Insomma, niente in Azael è uguale a quello che avete visto e sentito fino ad ora in Italia.
E infatti il suo ultimo album, uscito a ottobre per Gud Serben e interamente prodotto da Thrilljard, mette nero su bianco questo concetto: THEY R NOT LIKE US. Così, tutto in maiuscolo, urlato come quei mostri trasfigurati e deformati che Michelangelo ci sputa addosso con i suoi testi così estremi da farti chiedere se sia tutto vero e Fabio con le sue produzioni grezze. Più il mondo fa schifo, più Azael lo gratta in profondità per tirare fuori quelle cose oscure che tutti pensiamo e che sicuramente nessuno riesce a dire, anche a costo di dare fastidio con il suo malessere vivo e crudo, che poi si scopre appartenere forse anche a chi riesce a capirlo. Ci ha spiegato questo e tutto il suo mondo – dalla sua visione fuori dagli schemi al team creativo che la supporta – nella sua prima intervista in assoluto.
L’intervista a Azael
Hai iniziato a fare musica a Ravenna o a Milano?
Sì, anche se poi ho continuato più seriamente quando ho conosciuto lui (indica Thrilljard, ndr) e ho cambiato anche genere. Prima non facevo quello che faccio ora.
Cosa facevi?
La primissima cosa che mi ha fatto pensare “okay, faccio musica” è stato il post punk. Ascoltavo i Dead Kennedys, Rancid, Television, Bauhaus… In questo un po’ mi hanno influenzato i miei genitori che erano ex punk degli anni Ottanta, anche se avevano una mentalità diversa dalla mia. Loro prendevano il punk solo come musica, mentre per me era proprio uno stile di vita.
E il passaggio a Milano com’è avvenuto?
Un po’ per caso. Nel concreto non ho nulla che mi abbia portato qui, ho scelto Milano perché che altra città c’è in Italia per fare musica?
Non è proprio l’unica, dai.
C’è anche Bologna, ci ho passato l’adolescenza ma non mi ha mai convinto così tanto da trasferirmi. E poi qualche mio amico si stava trasferendo a Milano per studiare e ho deciso di venire qui anche io. Sono arrivato qui proprio quando è cominciato il Covid, quindi inizialmente la città non l’ho praticamente vissuta. Ero chiuso in casa a bere whisky sottomarca perché ero pure povero in culo.
Il tuo modo di fare musica è cambiato quando sei arrivato a Milano?
Diciamo che conoscere Fabio ha un po’ svoltato tutto. Per altro abbiamo linkato a caso, non c’era nessun vero motivo per cui dovessimo diventare amici. Sai quei periodi in cui ti trasferisci, conosci tante persone ma non ti piace un po’ nessuno?
Chiaro.
Ecco, con lui è nata subito un’intesa. Ci siamo conosciuti bene quando mi sono trasferito a casa sua perché: mi ero anche fatto malissimo e son dovuto stare un mese a letto ma non avevo un posto dove stare. Quella cosa ci ha uniti tanto.
Thrilljard: mi era dispiaciuto un botto che si fosse fatto male perché l’avevo appena conosciuto e ci trovavamo stra bene! Anche io poi mi ero appena ritrasferito in Italia da Londra e lui è stata una delle prime persone che ho conosciuto a Milano.
E avete iniziato subito a fare musica insieme?
A: praticamente sì, abbiamo iniziato a sperimentare un sacco. Io ho sentito la sua roba e ho detto “okay, ci devo rappare sopra”. Per me è una cosa stra rara perché non mi capita spesso di dire “questa roba mi gasa”.
T: la cosa assurda è che entrambi avevamo le stesse idee riguardo a certe cose ma non avevamo mai avuto modo di farle finché non ci siamo conosciuti. Poi ormai noi facciamo tutto insieme, usciamo insieme, quindi le cose ci succedono sempre insieme, le viviamo, le maturiamo e le mettiamo in musica.
A: quando ci succede qualcosa penso “okay, domani vado in studio e lo dico”.
E un vostro pezzo come nasce? Oggettivamente fate una cosa che in Italia non si è praticamente mai sentita.
Tendenzialmente io faccio tutto bar for bar. A volte rappo pure seguendo il tempo, le metriche, ma quasi tutto l’ultimo album l’ho scritto così. Poi sui brani non torno neanche troppo su perché mi piace che rimangano così, che congelino quel momento. Per me non ha senso stare lì a dare troppe sovrastrutture, perché la maggior parte delle volte strapensare e provare a rendere una canzone perfetta la peggiora. È un po’ come rimacinare la stessa carne: alla fine diventa polvere.
Quali sono le cose che vi influenzano di più?
A: entrambi siamo molto fan dei film horror. Anche Instagram negli ultimi anni mi ha sottoposto a un sacco di ultraviolenza, che però in qualche modo mi ha sempre affascinato perché ci vedo un qualcosa di artistico.
Violenza reale o finzione?
Reale. Ma io trovo realtà anche nella finzione. Nella copertina di Being disgusted : Our Experience c’è un tipo che si scarnifica il volto. Quella roba è finta ma in qualche modo è reale. Anche perché poi ultimamente non si capisce molto che cazzo è vero e che cazzo è finto, però ci sta anche questo. È bello che Internet non abbia più credibilità, è dal 2010 che la gente posta su Facebook le peggiori minchiate e tutti ci credono, ora invece vediamo le cose e ci diciamo “ma forse non è vero”. Finalmente posso mettere tutte le cose che voglio e nessuno saprà mai se sono vere o no!
Lo fai anche nella musica?
No, nella musica dico solo robe vere. Ho fatto tante cazzate ma non ne ho mai dette.
Nei tuoi pezzi c’è una sorta di disperazione molto personale ma allo stesso tempo generazionale.
Quella è la cosa più vera di tutte.
Ne l’effetto finisce dici “non conta se sei alto, conta quanto sei incazzato”. Voi quanto lo siete?
T: Ultimamente un bel po’…
Quanto è importante per voi avere un team attorno che supporta una visione così fuori dagli schemi?
T: Tantissimo. Tutti loro ce l’hanno svoltata un sacco. Prima eravamo solo io e lui, ora io non riuscirei a immaginarmi senza di loro. Ci danno una grandissima mano in tutto.
Come siete subentrati nel progetto?
Angelo: ci siamo conosciuti quando loro sono venuti a Milano. Anche io faccio musica quindi inizialmente ci siamo stimati per quello. Loro già spaccavano, ed è nata l’esigenza di avere una realtà che mettesse davanti le esigenze degli artisti e da lì abbiamo creato Gud Serben. Noi ci comportiamo da amici più che da manager, perché pensiamo che per un artista la cosa più importante sia innanzitutto avere un buon amico anche nel lavoro per instaurare un rapporto di fiducia. Quando loro hanno fatto il disco io non ho mai messo bocca sulla creatività perché voglio che in primis ci siano davanti le loro esigenze artistiche.
Ecco, voi vi siete fidati subito l’uno dell’altro?
T: beh, lui è stato un mese in casa mia senza che ci fossi io, quindi mi fidavo!
A: io tendenzialmente sono ultra diffidente di chiunque, ma ultimamente mi sto lasciando un po’ andare. Ho passato anni di odio supremo, ma almeno ora non sono più da solo a farlo.
Hai paura in futuro di entrare in certe dinamiche dell’industria che potrebbero allontanarti da quella che è la tua visione della musica?
Per il momento nessuno mi sta addosso nella musica che faccio, e finché tutto rimane naturale non mi preoccupo. Il problema è quando le cose iniziano a sovrastrutturarsi perché è lì che potrebbe esserci un cambiamento, ma per ora non mi preoccupo. Finché mi produce lui sono a posto.
Tu produci anche?
Mi ha insegnato Fabio, anche se il mio stile è molto diverso dal suo. Di base ho imparato ad usare Ableton. Se senti le mie robe sono tutte molto vuote, un po’ anche per mia scelta perché non me ne frega un cazzo, mentre poi c’è lui che me le fa belle (ride, ndr).
Fabio, tu quando hai iniziato a produrre?
Sembrerà assurdo ma ho iniziato quando ho conosciuto lui. Io arrivo più dalla musica suonata, suonavo la batteria e pian piano ho iniziato a introdurre anche l’elettronica. Poi a un certo punto ho iniziato a smanettare con i programmi e ho cominciato effettivamente a fare beat.
La cosa figa è che sembra che stiate crescendo insieme sia artisticamente che come persone. Caratterialmente vi completate secondo voi?
A: siamo due persone molto simili ma allo stesso tempo no… Semplicemente stiamo bene, siamo come due sassi che stanno lì… Però non ti saprei dire se ci completiamo… Skippiamola questa, troppa sovranalisi.
Okay, allora intanto chiedo a Giulio come è stata sviluppata tutta la parte fotografica del progetto.
Diciamo che questa è una sperimentazione che stiamo facendo. Sono contento di partecipare a questo progetto è supportarlo perché mi piace, lo vedo autentico e solido e lo rispetto. È una cosa fuori da tutte le dinamiche ma che esiste, quindi se riusciamo ad accompagnarla con una parte visiva e creativa è gas.
Antonio: una cosa molto figa poi è che il lato visivo se lo sono sempre curato loro due in una maniera coerente con la musica, quindi è una cosa genuina tanto quanto. Noi abbiamo dato una mano in una cosa che già esisteva e aveva un suo senso, non c’era nulla da costruire.
Angelo: questo spirito pirata loro ce l’avevano già, c’era solo bisogno delle persone giuste.
Orlando: con questo shooting poi abbiamo voluto rendere ancora più reale quello che è il loro immaginario giocando un po’ con questa estetica un po’ internet, AI, gore.
Azael, vuoi aggiungere qualcosa?
Sì, che questa roba per me ha un peso, e lo sento in primis su di me.
Spiegami meglio.
Non lo so, a volte è proprio pesante. Magari dico la barra divertente, ma non è tutto divertente, capisci? Dico anche un sacco di roba disagiante, e nell’estetica questa cosa cerchiamo di trasmetterla apposta. Ti devo dar fastidio, ma non è una provocazione la mia.
Non è voler essere disturbante ma è esserlo davvero?
Esatto… Io poi ho anche avuto esperienze non proprio carine a livello visivo per colpa di varie sostanze, e molta della roba è proprio bloccata nel mio cervello ed è disturbante, e io cerco di trasmettere quella cosa.
Quanto è importante per te che le persone ti capiscano?
In realtà tanto, quella è la base. Anche se secondo me non è ancora arrivata del tutto, per questo per me è importante metterlo in chiaro. C’è troppa gente che dice cazzate e questo poi fa sembrare cazzate anche quelle degli altri.
Troppi rapper che esprimono un disagio che in realtà non c’è e mettono in dubbio quello vero?
Esatto. Se mi guardo attorno non c’è tanta gente che parla davvero delle cose brutte della propria vita, e se lo fanno le romanticizzano.
Secondo te le persone sono pronte per una cosa così poco edulcorata? Sicuramente quella cosa arriva forte e chiara.
Cazzo, grazie, questo è un buon segno. Non lo so se sono pronte… Io spero di sì.
Qual è il tuo obiettivo con la musica?
A me basta che le persone la sentano davvero. Quando arrivano dei ragazzi che mi dicono che si rispecchiano nella mia roba io son felice.
Anche perché siamo in un momento storico in cui di positivo c’è ben poco…
T: noi infatti non riusciamo troppo ad ascoltare della roba felice.
A: e questa roba infatti ci ha fottuto il cervello.