Interviste

Boro, A modo mio

Venerdì 28 novembre uscirà “Tello”, il nuovo album dell’artista torinese: lo abbiamo incontrato per parlare di amicizia, successo, amore e solitudine

  • Il18 Novembre 2025
Boro, A modo mio

Boro, foto di Filippo Moscati

A distanza di quasi due anni da Bendicion, venerdì 28 novembre Boro tornerà con il suo nuovo album, Tello (diminutivo di fratello). Un disco che segna la crescita e un cambio di prospettiva dell’artista torinese classe 1996, che nelle tracce mira a liberarsi di un’immagine forse troppo leggera che negli anni iniziava ad andargli stretta. Perché, come ci racconta Boro in questa intervista, «ho avuto voglia di liberarmi, di estrapolare cose personali che prima non avevo il coraggio di dire direttamente. Ora mi sono aperto e ho provato a instaurare un rapporto più personale con chi mi ascolta». Il tutto a modo suo. Come suggerisce il titolo, al centro dell’album non c’è solo Boro, ma anche i rapporti: quelli con gli amici di sempre, quelli sentimentali e quelli che lo legano a ciascun feat.

Boro
Foto: Filippo Moscati
Creative director: Pierfrancesco Gallo
Ass. foto: Lorenzo Zeno Reali
Stylist: Claudia Valente
Ass. stylist: Francesco Meleleo
MUA: Beatrice Torchio

A pochi giorni dall’uscita lo abbiamo incontrato per parlare di amicizia, successo, amore, solitudine e gratitudine.

L’intervista a Boro

Quali sono le vibe?
Io sono bello positivo, contento. Penso di aver ritrovato una parte di me che, per pensieri, avevo un attimo tralasciato e lasciato in sospeso. Ho ritrovato le vibes di quando ero più ragazzino, molto spontanee. Quello che mi viene da dire, lo dico senza farmi troppi pensieri. Sono molto più diretto, sicuramente meno inquinato da certe dinamiche.

Ti riferisci alle dinamiche del lavoro?
Sicuramente sì. Pensavo troppo a quello che era diventato il mio lavoro. Non la prendevo più come prima: faccio musica perché mi va di farla, perché ne ho bisogno. Mi facevo condizionare da pensieri e situazioni capitate nel percorso.

Quando hai iniziato a lavorare a questo disco?
Ideologicamente parlando, da tanto tempo, addirittura prima dell’uscita di Bendicion. Avevo già iniziato a mettere tasselli, con la voglia di fare un progetto dove dicevo più cose mie personali, per far conoscere di più la mia persona. Il grande pubblico mi conosce per le hit aperte, che non è vero che non abbiano contenuto: per me un significato c’è sempre. Non mi piace dire le cose dritte, mi piacciono i giri di parole. Io so cosa voglio dire, gli altri devono scavare. Avevo iniziato già tempo prima. ma non avrebbe avuto senso far uscire un album così prima di Bendicion. In quell’album avevo grandi hit da raggruppare e avevo iniziato ad aprirmi, a far vedere quello che volevo fare. Ho completato tutto nell’ultimo anno.

Boro

Con quel disco volevi anche instaurare la cultura reggaeton in Italia, giusto?
Sì, è il mio sogno. Arrivo dalla trap, dal rap, da Torino, dal freestyle. Sono cresciuto con quella roba. Poi mi sono appassionato alla musica latina, al reggaeton e alle sue mille sfaccettature. È una roba che mi piace tantissimo e che voglio continuare a spingere, però in questo album compare meno perché è più introspettivo. Ci sono comunque tre-quattro pezzi in quel mood. Sto cercando di evolvere quel genere, come con Habibi o Nuova Chain: suoni afro, reggaeton, una crescita del genere. Ho 29 anni, sto crescendo e voglio trattare tematiche diverse.

Forse anche l’ultimo disco di Bad Bunny ha fatto capire meglio cos’è il reggaeton?
Assolutamente sì. In Italia siamo indietro per pregiudizio: qui il reggaeton è visto come canzone dell’estate. Non sanno che è un genere ultra urban, più urban del rap. Arriva dai barri, dalla strada, e parla anche di strada, problemi, vita. Non solo amore. Io penso di essere stato il primo a fare questa roba molto urban. Prima c’erano Fred e Baby K ma in chiave italiana. Ora in ogni album dei rapper c’è la traccia reggaeton. Per questo il disco di Bad Bunny ha segnato un prima e un dopo.

Questo album segna una crescita, un cambio di prospettiva?
Sicuramente sì. Sono cresciuto e ho cambiato prospettiva. Guardo tutto da un altro punto di vista, con gli stessi ideali, ma pensieri diversi, più rivolti al futuro. Ho avuto voglia di liberarmi, di estrapolare cose personali che prima non avevo il coraggio di dire direttamente. Ora mi sono aperto e ho provato a instaurare un rapporto più personale con chi mi ascolta.

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Boro

C’era qualche stereotipo su di te che hai sofferto?
Non mi hanno mai ferito, ma non li ho mai capiti. Non capivo il perché di certi pensieri o dell’odio. Ho perso tempo a cercare di capire. Poi un giorno ho pensato: fino a ieri non ci ho mai pensato, perché ora sì? Perché sprecare energie in una cosa che non mi tocca? Ho sempre fatto musica per me. Se gli altri si immedesimano o si divertono è bellissimo, ma il bisogno primario era estrapolare i miei pensieri.

Il disco si chiama Tello, diminutivo di fratello: che rapporto hai con amicizia e solitudine?
A me piace molto stare da solo. Molte volte non c’è niente di più bello, perché non hai niente a cui pensare. Forse perché per me l’amicizia è talmente importante che quando sono in giro penso troppo se gli altri stanno bene. Mi rovino le serate a pensare se qualcuno non è a suo agio. Quando sono da solo sto tranquillo. Ma non voglio stare da solo tutto il tempo: ogni persona ha bisogno della propria solitudine.

Il successo influisce su questo?
Sì. Io non vorrei mai che qualcuno soffrisse il fatto che magari io sono il più guardato della stanza. Faccio molta attenzione. Ad esempio: le fidanzate dei miei amici le saluto, ma non ci parlo troppo. Non vorrei che i miei amici pensassero che potessero essere affascinate dal personaggio. Non voglio mettere nessuno a disagio.

I tuoi amici sono più persone di prima o nuove? E si possono creare amicizie nel mondo della musica?
Un po’ e un po’. Il mio migliore amico è il mio tour manager, poi altre persone del team le ho conosciute dopo. Io seleziono molto. Non do tutto subito, anzi do poco. Sono scettico nei nuovi rapporti. Ho aiutato persone che poi me l’hanno ridata male. Amo la gratitudine. Se non hai certi valori non possiamo stare insieme. Ma sì, anche dopo il successo si possono creare amicizie vere.

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Boro

A chi sei più grato?
A mia mamma e mio papà. E a Dio.

Sei credente?
Sì. Sono un faticante, però penso che esista qualcosa di più grosso di noi. Se fai del bene tornerà, se fai del male tornerà. Ci credo molto.

Vuoi raccontarmi i feat dell’album?
Sono tutti frutto di una scelta personale, non mi piace fare musica con gente che non stimo. L’unico che non conoscevo era Silent Bob: mi piace molto quello che fa, ci siamo conosciuti in studio e ho scoperto una persona d’oro. Abbiamo lavorato spalla a spalla e il pezzo è bellissimo. Lubi è un emergente a cui voglio bene. Ho rimesso Gucci, con cui feci Money Rain. Non stava più facendo musica, l’ho chiamato, sono andato a prenderlo e l’abbiamo fatta. Con Rhove ho sempre avuto un bel rapporto: abbiamo fatto varie sessioni e abbiamo scelto il pezzo migliore, idem con Cosimo. Tony Boy è un fratellino. Il pezzo con Young Hash è quello più club dell’album: siamo amici da anni e nessuno poteva farlo meglio di lui.

Boro

C’è un consiglio di Guè che ti è rimasto?
Di Cosimo amo la mentalità da lavoratore: fa tantissime canzoni e non ne sbaglia una. Mi piace quanto è artista: riesce a far immedesimare un quattordicenne e un cinquantenne. Crea film visivi al primo ascolto. È incredibile.

L’amore che ruolo ha nella tua vita?
Molto importante. L’amore per un amico, per mio fratello, per mia mamma, mio papà. L’amore è la benzina della vita.

C’è tanto amore in questo disco?
Sì, anche sì.

Boro

Qual è il messaggio che vorresti che arrivasse?
Che le persone conoscano di più la mia persona. Che anche dietro i grandi successi felici, le canzoni spensierate, c’è tanta malinconia, tristezza, pensieri e tanto amore. E quello che vivo, quello che faccio, lo faccio per amore. Vorrei continuare a far vivere amore anche alle altre persone.

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