“Chew On My Heart” ci mostra un James Bay solare e catchy come non mai
Il cantautore britannico promette che uscirà entro la fine del 2020 il suo terzo album in studio. Nel frattempo possiamo goderci l’energico pop del primo singolo estratto, che ci ha raccontato in questa intervista
Negli ultimi anni abbiamo spesso apprezzato il talento cristallino di James Bay, cantautore versatile e capace di fondere un appeal pop con un songwriting di ascendenza essenzialmente “classica”, rock e folk, da chitarra e voce. Un tratto distintivo che – unito alla genuinità del suo rapporto con i fan – lo rende facilmente empatico con diversi tipi di pubblico. Cinque anni fa l’exploit con il suo album d’esordio Chaos and the Calm (contenente le hit Hold Back the River e Let It Go), poi la seconda prova full-length Electric Light (2018) e infine il fortunato EP dell’anno scorso Oh My Messy Mind. Adesso sta per tornare con il suo terzo album (che, promette, «uscirà sicuramente entro la fine di quest’anno») e il primo brano di questo nuovo capitolo discografico ci mostra un James Bay melodico, solare e catchy come non mai. Chew On My Heart è l’inizio di una nuova modalità creativa per il cantautore? Ci spiega tutto lui stesso, collegato via Zoom da casa sua a Londra.
Chew On My Heart mi ha subito colpito per la sua energia. Ha un ritornello davvero potente, catchy e melodico. E penso che non stonerebbe all’interno di un DJ set, per esempio. Cosa ti ha spinto in questa nuova direzione sonora?
Quello che sapevo quando ho scritto la canzone era che funzionava bene per me con la chitarra. Durante il lockdown l’ho spesso suonata così, in acustico. Io cerco sempre di spingere i limiti un po’ più in là, di fare qualcosa di inaspettato. Certo, non sempre funziona perfettamente, ma ci provo. La canzone di per sé si presta a un portamento solido, da grancassa in quarti: ci siamo divertiti a tirare fuori quel potenziale. Sì, quel tipo di pulsazione la rende adatta a un DJ set. E questo ci sta: mi piace quando i generi si sovrappongono.
Come pensi che verrà dal vivo?
Ho già detto al mio batterista che dovrà pestare duro su quella grancassa! Probabilmente la renderemo anche un po’ più rock, con le chitarre molto presenti, per dare alle persone un’esperienza un po’ diversa del brano.
Il ritornello ha una melodia cantata con un falsetto molto alto: è tecnicamente impegnativo raggiungere quelle note così acute?
Sì, è davvero difficile. Ma se non facessi quel tipo di melodie avrei l’impressione di non sforzarmi abbastanza, di accontentarmi. Da ragazzino – quando imparavo a cantare e a suonare la chitarra – con il canto in generale me la cavavo, ma il falsetto proprio non faceva per me. Per anni ho fatto pratica. Ai tempi del mio primo album cinque anni fa (Chaos and the Calm, ndr) non ero bravo come oggi nel falsetto. Per cui, essendo migliorato, è una cosa che è confluita naturalmente nel songwriting e adesso posso applicarla facilmente quando voglio una melodia di quel tipo. La cosa difficile tecnicamente del falsetto è che suona molto delicato ma richiede molta aria. E passare da quello al canto pieno di petto, come faccio nel brano, è un cambio piuttosto intenso.
Pensi che questo brano rifletta il sound complessivo del tuo prossimo album?
Sì e no. C’è una buona varietà: non potrei mai fare un album che suona come una cosa sola. Non che abbia problemi al riguardo, semplicemente non l’ho ancora voluto fare. C’è un buon equilibrio fra momenti pacati, dolci, intimi e cose più energiche come appunto Chew On My Heart. Alcune cose hanno più strumentazione, altre meno. Per cui ho esplorato diverse modalità e dinamiche.
Il brano è stato prodotto dal grande Dave Cobb. Cosa pensi che abbia apportato al tuo songwriting?
Non tutti sanno che in realtà Chew On My Heart e un altro pezzo dell’album non sono stati prodotti da Dave, ma lui ha fatto tutto il resto. Dave è un produttore fantastico. Crede davvero nell’importanza di seguire il tuo istinto. Sai, puoi andare in studio di registrazione e fare 40 o 50 take di un pezzo. E questo va benissimo, ma Dave è davvero convinto che le prime tre o quattro take abbiano quella freschezza e quella magia che altrimenti si perdono. Mi sono davvero divertito a seguire questo approccio, così come ad avere tutti i musicisti contemporaneamente nella stessa stanza. È una cosa che dà un’atmosfera un po’ più da live a molti pezzi. Ci sono molti ottimi musicisti. Per esempio alla batteria c’è Nate Smith, che suona con una fantastica band di nome Vulfpeck (uno dei più brillanti gruppi funk contemporanei, ndr). E tutto è stato fatto in quegli studi fantastici che sono gli RCA di Nashville.
Hai detto che questo pezzo è una delle cose più personali e positive che tu abbia scritto. Interessante, perché per molte persone sono due aggettivi che non necessariamente vanno a braccetto. Per dirla in parole semplici: sei felice?
(Ride, ndr) Sì, lo sono! Sai, siamo tutti felici e anche tristi, ansiosi, arrabbiati: tutti viviamo quelle emozioni all’interno di uno stesso giorno, anche solo per un momento. Nel mio songwriting cerco costantemente di esplorare queste emozioni negative, come per esempio le delusioni d’amore – mie o di altri. Ci sono aspetti della mia vita – come il rapporto con la mia fidanzata – che mi piace mantenere privati, in modo che siano qualcosa di solamente mio. Ma ci sono aspetti che mi rendo conto essere molto universali. Per cui ho capito che non era un problema raccontare alcune di quelle cose nelle canzoni. Sì, sono felice e mi piace esprimerlo nella mia musica. Certo, ci sono momenti un po’ più tristi nell’album, ma mi è piaciuto celebrare la mia relazione e mostrare gratitudine attraverso il mio songwriting.
So che non puoi rivelare troppo della tua collaborazione con Brandon Flowers dei The Killers. Ma cosa ci puoi dire al riguardo?
Nei mesi precedenti avevo saputo che gli piaceva l’idea di co-scrivere pezzi ma non aveva avuto spesso l’opportunità di farlo. Un amico comune mi riferì ciò e così io mi proposi. I The Killers stavano iniziando le registrazioni per il nuovo album (Imploding the Mirage, in uscita il 21 agosto, ndr). Per cui erano già in studio, ma mi dissero che se mi andava di fare un salto da loro in Utah avremmo provato a scrivere un po’. Brandon è un mio eroe: è un artista e un songwriter fantastico. Abbiamo lavorato insieme per un paio di giorni. Il risultato è molto buono, spero che lo possiate ascoltare un giorno.
Ultimamente hai spesso parlato della necessità di tutelare i locali di musica dal vivo in questo periodo di crisi. Ovviamente nessuno ha la bacchetta magica per risolvere il problema, ma che futuro vedi per quei posti e per la musica dal vivo in generale?
La dura realtà – visto lo stato di questa pandemia nel mondo – è che i musicisti hanno bisogno di concerti per tornare ad essere quello che erano. Non ci sono vie di mezzo. A Londra nelle ultime settimane la gente ha cercato di mostrare al governo e agli esperti che la riduzione delle capacità delle venue sì, è una cosa che si può fare, ma non è affatto redditizia per i gestori di quelle venue, per i promoter, per gli artisti. Soprattutto non è all’altezza di quello che tutti noi amiamo: ciò che la politica deve capire è che l’atmosfera è l’ingrediente essenziale di uno show. Se non hai l’atmosfera giusta, la gente se ne andrà con un ricordo sbiadito. La gente sta facendo tutto quello che può. Io ho fatto un’esibizione in un locale vuoto a Londra per raccogliere fondi per la campagna Save Our Venues. Era anche un modo per dire alle persone: “Guardate, ricordate questa cosa in cui io sto sul palco e voi nel pubblico? Ci siamo quasi, ma dobbiamo tutti essere diligenti e fermare l’espansione di questo virus”. E questo è il meglio che possa fare nel frattempo.