Interviste

Chicoria: «Ai giovani voglio ricordare che c’è sempre un’alternativa»

Una delle leggende del rap romano pubblica domani “Due lettere dopo”, il nuovo album di un uomo che ha finalmente trovato la sua pace ma non abbandona la rabbia sociale per un mondo ancora in guerra

  • Il27 Marzo 2025
Chicoria: «Ai giovani voglio ricordare che c’è sempre un’alternativa»

Chicoria

Quante volte capita di parlare con una leggenda? A me è successo un lunedì mattina di marzo, quando per questa intervista incontro Chicoria in un bar di quartiere nell’anima, trapiantato però in una via elegante nel pieno centro di Milano.

Sedersi al tavolo con Armando, infatti, vuol dire trovarsi di fronte non solo a un pezzo di storia della cultura hip hop capitolina, ma ad un uomo che in una sola vita ne ha vissute almeno 10, e che dopo anni turbolenti ha trovato finalmente la sua pace, senza però abbandonare la rabbia sociale per un mondo ancora in guerra, come ci ha raccontato in questa lunga intervista in cui il Chico ha parlato davvero di tutto, dai diritti civili alla necessità di una sinistra che sia davvero tale, passando per le condizioni dei detenuti in Italia, la violenza in tv e sui social e il messaggio che vuole trasmettere alle nuove generazioni.

Ma anche come dimostra in Due lettere dopo, il suo nuovo album in uscita domani in cui ad accompagnarlo ci sono amici e concittadini, tra cui Speranza («i ragazzi di Caserta sono miei fratelli», mi racconta), Carl Brave, Side Baby, Gemello e Briga. Un disco crudo e sincero come il Chicoria ha sempre saputo essere, che racconta di un sistema controverso, malato, corrotto, senza una via d’uscita e in una vorticosa e quotidiana discesa, ma da cui, in qualche modo, si può uscire migliori.

L’intervista a Chicoria

Quando hai iniziato a lavorare a questo album?
Mi sono messo a registrare questo album finita l’avventura di Servizio funebre nel 2021 e già sapevo che sarebbe stata la seconda parte di Lettere perché volevo caratterizzarlo di più a livello emotivo e trasmettere quello che avevo dentro. Non è un disco da club o ballabile, è un disco su cui riflettere, ti ci devi proprio fare un viaggio. 

Nell’ultima lettera ti rivolgi a chi non ci sente: chi sono oggi queste persone? 
Sono quelle che permettono di governare questo Paese a delle persone che non sono preparate e che pretendono di ripristinare il Medioevo nel 2025. Il governo viene deciso dal popolo, è troppo tardi lamentarsi a cose già fatte. 

Però forse in questo influisce anche il modo in cui la sinistra si pone nei confronti del popolo. Recentemente anche Marracash ha detto che l’unico modo che la sinistra ha per salvarsi è ripartire dal popolo.
Sì, è vero, ma nel farlo deve essere unita. Non è possibile che non si trovi mai un punto di contatto, mai un modo unitario di vedere le cose. La destra punta sull’immagine di compattezza e funziona perché alimenta delle idee populiste. Va in periferia, fa gli scoop, la gente si arrabbia, loro si nutrono di quella rabbia e ottengono il consenso. Poi però non va a prendersela con i criminali veri, ma pensano di risolvere le cose sfrattando la povera gente dalle case popolari. E la stessa cosa poi succede su internet. 

Che è letteralmente pornografia del disagio…
Esatto, e aggiungici pure il buco dell’assistenza sociale. Le persone non dovrebbero stare in certe condizioni, la non accoglienza è un pericolo per tutti. Se alle persone non vengono riconosciuti dei diritti è logico che poi la rabbia monta, e gli italiani non si rendono conto che il cambiamento non si può fermare. I giovani di seconda generazione sono il futuro e devono avere gli stessi diritti che abbiamo noi. 

Anche nell’album parli molto di tematiche sociali. 
Sì, Lettera ad un aborto si apre con l’immagine di me che dovrei portare un ipotetico figlio mio sulla spiaggia e al posto dei pesci c’è solo plastica. Quello è un futuro che ormai non è più così distopico. Quando ero bambino mia madre mi portava a Ostia e in acqua c’erano le stelle marine, i cavallucci marini… Ora ci sono solo topi e monnezza. Ti faccio un esempio: io sono un accanito fumatore di canne, ma se non ho un posacenere a disposizione i morti me li metto in tasca. Sticazzi che poi c’ho le tasche piene, ma almeno non ho inquinato. 

Tu hai fiducia nelle nuove generazioni?
Avoja se ho fiducia nei pischelli! 

Ne incontri anche molti.
Io da 10 anni vado in giro per scuole, licei, università, cooperative, e chi dice che i giovani sono incapaci è perché non ha capito niente. 

Che messaggio vuoi lanciare ai giovani con Due lettere dopo?
Che c’è sempre un’alternativa. Ovviamente l’ambiente in cui cresci conta tantissimo, quando eravamo ragazzini eravamo tutti affascinati da un certo tipo di vita, e quindi era più facile rimanere incollati in quel contesto, soprattutto se hai intorno delle persone che magari quando sbagli ti fanno i complimenti. Io ai ragazzini vorrei dire di non tenersi vicino le persone che li spalleggiano qualsiasi cosa facciano, ma di affiancarsi a quelle che li aiutano, che gli aprano anche altre vedute. E poi chiunque abbia fatto veramente questa vita ti dirà che è più quello che ci ha rimesso di quello che ci ha guadagnato. Guarda anche solo Baby Gang: lui non racconta la sua vita ai ragazzi per spingerli ad emularlo, ma il suo racconto è un monito. Lui per me è uno esemplare. 

Forse il cortocircuito si crea poi quando questo racconto viene veicolato dai media sbagliati.
Certo, qualsiasi cosa faccia Baby Gang viene presa, deplorata e massacrata perché così il pubblico si indigna e si fa audience. 

Ti hanno mai invitato a parlare in un programma di Rete 4?
Su Rete 4 no, ma l’altra sera mi ha invitato Antonino Monteleone e lì è diverso. Ho raccontato il mio vissuto, c’è stato un confronto senza giudizio. In certi programmi invece è come tirare fuori la frusta per fomentare i leoni, ma è esattamente quello che vogliono: chiamano un pischello che non sa reggere il confronto, lo schiacciano e prendono il consenso. Questi poi sono gli stessi che si lamentano della violenza dei testi della trap, però i loro modi violenti in tv vanno bene. 

In che momento della tua vita arriva questo disco? 
Diciamo che mi sento una persona felice, ho trovato una mia pace, e credo che questa cosa si rifletta nel mio album. Non ci sono troppi banger incazzati o violenti perché non ho più la rabbia personale di prima. Da ragazzino mi rodeva sempre il culo e facevo qualsiasi cosa, ora non sono più quella persona, e quindi cerco di tirare fuori me stesso e le cose che mi rappresentano. 

Cioè?
Diciamo che ho cercato di far fiorire le mie competenze e le ho trasformate in un lavoro. Mi piace incontrare i ragazzi nelle scuole, fare il feat a un pischello sconosciuto ma talentuoso, tutte queste cose. 

Senti di aver trovato il tuo equilibrio personale?
Assolutamente sì. Non devo più dipendere da certe cose, scelgo come e con chi lavorare, quello che voglio fare: sono il capo di me stesso. Chi sta meglio di me?

Però mi sembra che per fortuna ci sia ancora una rabbia sociale.
Certo, ce l’ho perché chi ci dovrebbe governare non lo fa bene. Tutta questa repressione chi l’ha messa in atto? Il modello Caivano chi l’ha istituito? Chi ha devastato il sistema detentivo minorile? Il DAP deve capire che i detenuti vanno lavorati singolarmente e accompagnati adeguatamente, devono andare dallo psicologo, ma non 5 minuti al mese – quando va bene – perché c’è il sovraffollamento. Ci deve essere una vera riabilitazione, altrimenti non c’è un miglioramento. 

Da parte delle nuove generazioni vedi più attenzione al tema delle condizioni dei detenuti?
Sì, i ragazzi nei licei mi chiamano per parlare della mia vita da ex detenuto, perché vogliono capire cosa succede davvero dietro le sbarre e empatizzano con i racconti che gli fai. 

Qual è invece la cosa di cui ti senti più orgoglioso?
Il fatto di essere riuscito a far cambiare idea a certe persone, magari anche più adulte di me. C’è una rima di Simba La Rue che mi fa impazzire: “Stavo sul cazzo a quella puttana della maestra, pensava diventassi un barbone, invece nique ta mère”. Godo proprio quando la sento perché a me succedeva la stessa cosa. I professori a scuola non mi potevano vedere, tranne qualcuno aveva capito che mi piaceva scrivere e quindi mi spingeva un po’, ma in generale mi denigravano. Ecco, farcela in quello che ti piace è il più grosso smacco che puoi dare a queste persone.

Share: