Interviste

Il ritorno dei Courteeners, eredi del suono indie di Manchester con il sogno di un tour con gli Oasis

In Italia non sono in tanti a conoscerli, ma la stampa britannica li adora. Abbiamo parlato con il leader Liam Fray che ci ha raccontato come è nato il loro settimo album “Pink Cactus Café”

Autore Billboard IT
  • Il23 Novembre 2024
Il ritorno dei Courteeners, eredi del suono indie di Manchester con il sogno di un tour con gli Oasis

Foto di Michael Clement

Facciamo una premessa, i Courteeners non hanno lo status di band hyper cool e purtroppo è da lungo tempo che non pubblicavano un nuovo album. Ma se vi piace il suono indie rock della grande Manchester che affonda le radici in formazioni mitologiche come The Smiths, Stone Roses e, of course, Oasis, dovete ascoltare questo quartetto, soprattutto questo loro ottimo ritorno sulle scene con il loro settimo album, Pink Cactus Cafè.

Facciamo dunque un attimo di storia della band. Il gruppo nasce nel 2006 a Middleton, vicino a Manchester ed è composto dal frontman Liam Fray (voce e chitarra), Michael Campbell (batteria e cori), Daniel “Conan” Moores (chitarra solista) e Mark Cuppello (basso). Nel corso del tempo alcuni membri hanno cambiato ruoli o lasciato la band. La loro musica si distingue per un mix di chitarre vibranti e melodie accattivanti, combinate a testi che riflettono la vita quotidiana, l’amore, i conflitti generazionali e la cultura urbana. Liam Fray, noto per la sua abilità narrativa, ha una forte presenza carismatica che ha contribuito a cementare la loro popolarità soprattutto nel Regno Unito.

Sebbene non abbiano raggiunto lo stesso livello di fama globale di altri gruppi britannici, i Courteeners sono considerati una delle band più influenti dell’indie rock moderno, soprattutto nella scena musicale del nord dell’Inghilterra. La loro capacità di rimanere fedeli alle radici, celebrando e criticando la cultura contemporanea, ha creato un seguito fedele e appassionato. Abbiamo finalmente fatto la conoscenza con Liam Fray. Il frontman sembra a suo agio e ci chiama proprio da Manchester. Ha voglia di raccontarsi e di raccontare cosa ha portato lui e la sua band alla realizzazione del loro settimo album intitolato Pink Cactus Cafè.

L’intervista ai Courteneers

È passato del tempo dal vostro introspettivo sesto disco More. Again. Forever. L’approccio al nuovo album è decisamente più positivo. Sono successe tante cose in questi quattro anni, come le avete vissute?
Questi ultimi anni sono stati strani perché appena dopo l’uscita di More. Again. Forever. siamo andati in lockdown a causa della pandemia. Quindi siamo stati costretti a lavorare in solitaria. Io sono un songwriter e non avevo mai sperimento una cosa del genere nel mio lavoro. Alla fine ci sentivamo solo per telefono e c’è voluto tempo per cominciare a concepire qualcosa di più positivo rispetto a prima. Poi, ecco è arrivato il nostro nuovo settimo album.

Che s’intitola Pink Cactus Café. È un riferimento a un luogo reale o immaginario?
È un posto assolutamente immaginario dove potere stare in solitudine e isolarsi dal mondo contemporaneo. Magari potrebbe essere in Marocco, ma non necessariamente.

Trovo strano che in alcune dichiarazioni abbiate accostato il vostro nuovo disco al lavoro delle HAIM (famoso trio americano formato da tre sorelle e fautore di un synth-pop molto commerciale ndr).
In realtà è stato un po’ una dichiarazione goliardica. Musicalmente non centriamo niente con loro ma ci piacerebbe raggiungere il loro successo!

Chi ha prodotto l’album?
Per la prima volta io sono il coproduttore del disco. Comunque ho collaborato con James Skelly dei Coral (storica indie-band proveniente da Liverpool, ndr). Le registrazioni sono state effettuate nei suoi studi.

Mi sembra di capire che questo sia il vostro album più collaborativo di sempre. Parlami un po’ degli ospiti e del loro approccio alla vostra musica.
Tutto è nato in modo naturale e i nostri collaboratori provengono da esperienze molto diverse. Esempio c’è Brooke Combe che è una soul singer scozzese di colore che ha dato un’impronta molto intesa alla canzone Sweet Surrender. Poi abbiamo questa bravissima artista di Liverpool chiamata Pixey nel pezzo intitolato First Name Terms. Personalmente mi ricorda molto un gruppo degli anni ’90 chiamato Saint Etienne ed è il motivo pur cui l’ho voluta. Si sono anche gli australiani DMA’s in The Beginning of the End che sono nostri amici e che, fra poco, verranno in tour inglese con noi. Senza dimenticare l’amico Theo Hutchcraft degli Hurts che è uno dei più talentuosi artisti con cui abbia mai lavorato. Lui ha collaborato in ben tre brani.

Il disco dura solo 35 minuti. Eppure, so che avete scritto molti più pezzi.
Mah, devi capire che le session per l’album sono durate quattro anni, quindi abbiamo composto almeno trenta brani. Molti erano un po’ introspettivi e d’atmosfera quindi si è deciso di puntare sui dieci più intesi. Diciamo le canzoni che in gergo “spaccano”. Per il resto sì, magari un altro album potrebbe uscire con le restanti songs il prossimo anno. Vediamo.

Quanto c’è della Manchester attuale nel disco?
Difficile da dire perché sono nella band da 18 anni e molti di noi e dei nostri fans all’epoca erano solo maggiorenni. Oggi la nostra/loro età media è molto più elevata. Noi siamo cambiati ed anche la città nel frattempo è cambiata tantissimo sia a livello musicale che strutturale. Io però sono convinto che il cuore di questa città musicalmente lo puoi ancora trovare nella club-night e nei piccoli localini. E in questo ci riconosciamo.

Ma Manchester è ancora una città stimolante per chi vuole fare rock non commerciale?
Sì credo di sì. Vent’anni fa c’erano così tante band in giro che non sapevi veramente dove guardare. Ora devi cercare più a fondo, ma lo spirito musicale della città è sempre lì, presente.

Però anche lì hanno chiuso, come in tutta l’Inghilterra, tanti club che sono l’humus dove forgiarsi, crescere, farsi una fan base. Che ne pensate?
Vero, molti hanno chiuso ed è un peccato. Ma nuove band continuano a nascere e il circuito dei concerti non credo morirà mai.

Com’è stata l’esperienza, ai vostri inizi, col produttore Stephen Street. Una vera leggenda che, tra gli altri, ha prodotto The Smiths, Blur e Depeche Mode.
È stata una situazione assurda. Quando l’abbiamo conosciuto e ci ha detto che avrebbe voluto collaborare con noi, ci siamo detti: “Incredibile, pensa uno che si chiama Stephen Street come il produttore degli Smiths, un buon segno”. Poi ci ha spiegato che lui era “quel” Stephen Street, e noi siamo rimasti senza parole. Eravamo così giovani che non eravamo mai stati neanche in uno studio vero e proprio. Lui ci ha fatto un po’ da guida negli studi londinesi Olympic dove siamo andati per il nostro primo album St. Jude e dove hanno registrato leggende come David Bowie e i Rolling Stones.

So che Morrissey è un vostro fan e che avete aperto dei sui concerti. Cosa hanno rappresentato per voi una band come gli Smiths?
Gli Smiths sono stati una band fantastica ed è incredibile che un gruppo considerato di emarginati sia riuscito negli anni a rappresentare così tanto per molti. Non solo per la loro musica che è stata assolutamente originale, ma anche per i loro ispirati testi spesso veramente molto buffi e strani. E poi quanta gente ha provato ad imitare la chitarra di Johnny Marr? Incredibile. Per noi l’appoggio di Morrissey è stato un vero onore.

Da una leggenda locale all’altra. Com’è stata la vostra esperienza da supporter degli Stone Roses durante il loro reunion tour?
Quando abbiamo saputo della loro reunion non ci potevamo credere perché abbiamo sempre amato la loro musica. Essere stati scelti come loro opener e averli conosciuti non ha eguali.

Restiamo in tema mancuniano. Cosa pensi di questa reunion degli Oasis?
Una notizia fantastica. Stavo andando a fare una settimana di vacanza in Francia e la notizia era appena uscita. Non c’era una persona in aeroporto che non ne parlasse o fosse sul cellulare per saperne di più. Sono contento, non solo per me, ma per le nuove generazioni che non hanno mai potuto vederli dal vivo. Il primo concerto che ho visto in assoluto è stato un loro show. In tutto li ho visti quattro volte. Pensa che i due fratelli Gallagher non abitavano poi così lontano da casa mia.

E se vi volessero come loro supporter?
Beh diremmo subito di sì! Sarebbe un sogno (tra l’altro con gli Oasis condividono lo stesso management, ndr).

Dimmi due canzoni degli Oasis che avresti voluto scrivere tu?
Ce ne sono molte anche più famose che mi piacciono, però opterei per due pezzi meno conosciuti: Sad Song (bonus track di Definitely Maybe del 1994) e Stay Young (extra track da Be Hear Now del 1997 e B-side del singolo D’You Know What I Mean?).

Mi dici il nome di una band locale che apprezzi?
In questi ultimi tempi non ho avuto modo di ascoltare molte band di Manchester proprio non saprei.

Allora diciamo una nuova band Inglese in generale.
Sono irlandesi, ma direi i Fontaines D.C.. Con il nuovo album hanno raggiunto un livello veramente notevole. Sono una band che mi piace molto.

Vi vedremo presto in Italia?
Assolutamente sì, la nostra idea e di venire da voi quanto prima. Come ti dicevo stiamo per imbarcarci in un lungo tour inglese, quindi a partire dal 2025 vedremo di concentrarci maggiormente sull’Europa.

Articolo di Carlo Villa

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