Don Joe e Shablo: «“Thori & Rocce” ha aperto la strada a tutti i producer album di oggi»
A 11 anni di distanza, la ristampa di un classico dell’urban italiano: il disco che ha scolpito nella roccia il nome di due leggende
È il 2011. Di lì a poco sarà un’epoca di grandi trasformazioni per il rap e, tra imminenti separazioni e nuove promesse, Don Joe e Shablo pubblicano Thori & Rocce, un progetto destinato a diventare un cult del genere in Italia.
Sin da Le leggende non muoiono mai – brano di presentazione del progetto – era chiaro quale fosse il fil rouge che avrebbe guidato l’intero disco: proporre un progetto dal suono elegante e dal forte impatto, in grado di soddisfare tanto gli amanti del rap quanto il pubblico del pop mainstream italiano. Lo stile di Don Joe – all’epoca main producer dei Club Dogo – e il gusto internazionale di Shablo, che già contava collaborazioni importanti, hanno reso Thori & Rocce un disco dal fascino intramontabile, soprattutto considerando come si è sviluppato negli anni successivi il mercato musicale italiano.
Per il decennale, il vinile di Thori & Rocce viene adesso ristampato da Universal Music in due versioni con copertine diverse: una con il logo a colori e vinili neri e (in esclusiva per lo shop online di Universal Music) un’edizione numerata e autografata con copertina argentata e vinili colorati più CD.
Abbiamo intervistato in esclusiva i due producer.
Quest’edizione in vinile non celebra solo gli undici anni di Thori & Rocce, ma anche la vostra amicizia che nasce da molto prima.
Joe: Thori & Rocce è stata la prima collaborazione tra me e Shablo, ma in effetti ci conoscevamo da molto tempo, anche da prima di MI FIST, album del 2003. Negli anni ci siamo incrociati diverse, volte dato che bazzicavamo gli stessi posti, quelli del rap milanese. Possiamo dire che la nostra amicizia sia nata chiaramente dalla nostra passione.
Shablo: Se è vero che Thori & Rocce compie 11 anni, è altrettanto vero che la nostra amicizia ne conta il doppio. Ci siamo conosciuti nei primi anni del 2000, poco prima dell’uscita del primo disco dei Club Dogo MI FIST. Quando abbiamo cominciato, i produttori che facevano il nostro lavoro non erano tantissimi. Ci siamo da subito trovati e abbiamo cominciato a lavorare legati da una passione musicale comune e da un entusiasmo genuino.
Ricordate il giorno in cui vi siete conosciuti? Cosa pensavate l’uno dell’altro?
J: Difficile ricordare dopo così tanti anni il momento esatto in cui ci siamo conosciuti. Come dicevo, ci incrociavamo spesso. Sicuramente a farci incontrare è stata la stima reciproca. A quei tempi Shablo era un produttore molto bravo sulle produzioni soul, molto diverse dalle mie, un rap più aggressivo. L’idea che ha portato a Thori & Rocce era quella di combinare queste due anime, così ci siamo ritrovati e abbiamo iniziato a lavorare a quattro mani sulle nostre strumentali.
S: Conoscevo già Joe per le sue produzioni in Sacre Scuole (primo gruppo di Guè, Jake La Furia e Dargen D’Amico, ndr) e Irene Lamedica (uno dei primi progetti R&B italiani, ndr). Sono stato molto felice di lavorarci insieme perché era un grande appassionato di musica soul e ci confrontavamo spesso sui pezzi da campionare.
Com’è nata l’idea di produrre Thori & Rocce? C’è stato un evento particolare che vi ha spinto verso questo lavoro?
J: Abbiamo sempre avuto entrambi lo sguardo rivolto verso gli Stati Uniti, dove la figura del produttore è da sempre a un livello più alto che in Italia. Sia io che Shablo avevamo già collaborato con artisti stranieri: io più americani e Shablo con artisti europei.
All’epoca di Thori & Rocce il rap stava già iniziando a cambiare il business della musica e si stava incanalando nella strada che lo ha portato ad avere l’importanza che ha oggi nel mondo discografico. Volevamo che Thori & Rocce rappresentasse da una parte la nostra produzione e dall’altra che facesse comprendere il vero ruolo della figura del produttore. Volevamo che la figura del producer uscisse dal dietro le quinte, portandolo al livello del rapper.
S: È venuta in maniera molto spontanea, avendo già collaborato su molti altri progetti di diversi artisti. Avevamo anche fondato The Italian Job, primo collettivo di produttori, con DJ Shocca. Da sempre si parlava di fare qualcosa insieme.
Qual è l’aneddoto più divertente successo durante la lavorazione dell’album? Sempre che si possa raccontare.
J: Il disco è stato chiuso a New York, la patria del rap americano, agli Engine Room Audio. È stato un momento magico, sicuramente molto impegnativo dato che c’erano una quarantina di rapper coinvolti, ma ci siamo divertiti!
S: Più che parlare di aneddoti, questo disco è stato un apripista per tutti i dischi di produttori: per la prima volta sono successe tante cose. Abbiamo raggruppato artisti che non avevano mai collaborato insieme. Nella tracklist compare anche l’ultimo pezzo dei Co’ Sang prima della loro separazione. Sono stati gli ultimi anni in cui tutti gli artisti coinvolti hanno partecipato a un progetto del genere, sicuramente il mercato non era così grosso e c’era un coinvolgimento di gruppo che trovo si sia un po’ perso negli anni.
Voglio provocarvi: pensate possa essere semplicemente un revival per gli appassionati? O c’è ancora tanto da raccontare legato a questo disco?
J: Sono cambiate molte cose da allora, ma credo che Thori & Rocce abbia segnato il punto della situazione nella scena rap di allora. Rileggerlo oggi, a distanza di 10 anni, suona un po’ come fermarsi a guardare cosa sia accaduto in questi anni, vedere quanto il rap si sia evoluto e quanto sia diventato grande oggi. Non parliamo più di un genere di nicchia come era allora.
Thori & Rocce mi ha dato la possibilità di lavorare a quattro mani con un produttore diverso da me e quell’esperienza, per me che arrivavo già dal successo con i Club Dogo, è stata utile. Per certi versi mi ha completato come professionista, regalandomi un punto di vista diverso e suggerendomi molto in termini di produzione.
S: È sicuramente un’occasione per gli appassionati di avere la versione vinile, un vero e proprio oggetto di culto. Anche per la nuova generazione di curiosi è importante. Permette loro di scoprire quella che era la scena rap del 2010 che poi ha ispirato la wave del 2016: è un viaggio nel tempo, una fotografia completa.
Se poteste tornare indietro, rifareste tutto esattamente allo stesso modo?
J: La risposta onesta è “ni”, ma succede sempre, ad ogni album. Quando finisci di produrre un disco, sai già che cambieresti qualcosa. Forse è lo scotto da pagare per chi, come me, è un perfezionista. Tornando alla tua domanda, forse avrei cambiato qualcosa a livello di combinazioni di rapper.
Articolo di Gianluca Faliero