“Energy” sì, ma senza perdere la testa: intervista ai Disclosure
Nell’intervista che troverete sul numero di settembre, il duo ci ha parlato del nuovo album Energy, dell’EP Ecstasy uscito a inizio 2020, ma anche della loro primissima data italiana otto anni fa. Ecco un estratto
Molto semplicemente: i Disclosure, ovvero i due fratelli Lawrence, sono l’esatto contrario di quello che ci si aspetterebbe, l’esatto contrario di quello che il cliché vorrebbe più o meno che fossero. Erano già tali quando poco più che minorenni ancora muovevano i primi passi nel mondo del clubbing, essendo però già la “next big thing” nella cerchia degli appassionati; lo sono adesso – dieci anni più tardi – che sono diventati delle conclamate stelle a livello mondiale. DJ senza problemi di ego e di narcisismo, producer che non indulgono al nerdismo nelle conversazioni, artisti umili che quando dicono di essere stati “semplicemente molto fortunati” non mentono, sono assolutamente sinceri. Davvero uno slalom contro i luoghi comuni (che spesso sono strettamente imparentati con la realtà delle cose).
Abbiamo incontrato Howard, il più giovane e il più legato al songwriting fra i due, per parlare del nuovo album Energy, dell’EP Ecstasy uscito a inizio 2020. Ma anche della loro primissima data italiana otto anni fa, a Torino, a Club to Club Festival. E di molto altro ancora – a partire da quanto sia importante l’educazione ricevuta dai genitori. Ecco un estratto dell’intervista che troverete integralmente sul numero di settembre.
Avete gusti musicali ricercati che frugano nella musica da club più ricercata. Più volte avete speso parole di ammirazione per nomi come Joy Orbison o Floating Points, per esempio. Il paradosso è che voi siete fin da subito diventati troppo famosi per fare parte di quel giro di “clubbing di qualità”, che resta molto circoscritto.
Verissimo. Gli artisti che citi erano per noi degli idoli, e non mi vergogno a usare questa parola. Lo sono ancora adesso. Detto molto schiettamente: ai nostri esordi quello che facevamo era prima di tutto tentare di imitarli! Il problema è che abbiamo fallito miseramente e siamo diventati un gruppo pop… (ride, ndr) Almeno come contesto, come tipo di successo. Non era questa la nostra intenzione!
A inizio anno avete fatto uscire l’EP Ecstasy, ora arriva un album chiamato Energy… Sembra quasi di essere ripiombati a fine anni ’80, quando è esploso il fenomeno dei rave in Inghilterra e questi due termini erano ubiqui. Non è casuale, vero?
Non lo è. O meglio, non è che ci fosse un’intenzione precisa, un chiaro intento citazionista, ma è vero che quel periodo musicale, quando da noi è deflagrata l’house music, quel tipo di musica fatto dalla Roland 909 con il charleston in levare, è e resterà sempre il nostro primo riferimento, il nostro primo amore. Ovviamente per motivi anagrafici non è un periodo che abbiamo vissuto in prima persona, ma alle prime note risalenti a quel periodo che abbiamo sentito è scoccata subito la scintilla. Ci saranno sempre riferimenti a quel tipo di house originaria, a quegli anni, a quei contesti, in tutti i nostri dischi.
Una delle canzoni che ho trovato più interessanti di Energy è My High, dove a un certo punto Slowthai – ospite alla voce – ha parole molto taglienti contro lo show business da club, il glamour che c’è in certe serate. Voi come ve ne tenete al riparo? Non potete fare finta di non essere famosi.
Credo sia una semplice questione di buon senso. In questo è fondamentale l’educazione che ci hanno dato i nostri genitori. Noi suoniamo di fronte a decine di migliaia di persone e, in qualche modo, facciamo parte di uno star system: una situazione da cui loro sono in parte passati nella loro carriera, quindi hanno saputo darci i consigli giusti anche in questo campo. In questo modo evitiamo di montarci la testa. Chiaro: ti mentirei se non ti dicessi che suonare in un posto stracolmo davanti a dieci, quindici, ventimila persone è assolutamente grandioso. Ma, scesi dal palco, riusciamo a riprendere il senso della realtà.