Enrico Brizzi è rientrato nel gruppo: l’intervista
“Due” è un miracolo narrativo: lo scrittore bolognese è riuscito a raccontare da dove si era fermato trent’anni fa una storia d’amore che ha fatto innamorare non solo quella generazione
Chi avrebbe mai immaginato che sarebbe uscito un seguito di Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Ormai pensavamo – e parlo della mia generazione, che ha adorato quel libro tre decenni fa – che fosse impossibile, un sogno proibito, come il ritorno di certe formazioni musicali mitologiche amate anche da Enrico Brizzi come The Smiths o… gli 883. E invece un anno fa Enrico Brizzi si è ritrovato a leggere, dall’inizio alla fine, il suo libro di debutto e a scrivere di getto – con un flusso di coscienza mai forzato – il seguito di quella storia bolognese tra il “vecchio” Alex e la bella Aidi: il risultato è Due, che esce per HarperCollins. Un romanzo potente e convincente, che vince la sfida del tempo nello stile e nel ritmo narrativo, riprendendo la storia dal momento in cui i due amici si lasciano e affrontano un legame a distanza, complicatissimo per l’età.
A proposito di 883, in questa lunga conversazione troverete una piccola sorpresa. L’intervista completa a Enrico Brizzi è disponibile sul nuovo numero speciale di Billboard Italia interamente dedicato a Max Pezzali prenotabile a questo link. Dall’11 ottobre uscirà in esclusiva su Sky e in streaming su Now Hanno ucciso l’Uomo Ragno, la serie tv dedicata proprio alla storia degli 883.
L’intervista a Enrico Brizzi
Vorrei riavvolgere il nastro del film della tua vita, approfittando del fatto che Due parte da quel lontano 1994. Mi piacerebbe che ci raccontassi chi era Enrico Brizzi prima di diventare un’icona della narrativa italiana negli anni successivi.
È una storia molto semplice, quella di un diciassettenne che rompeva le scatole a destra e manca agli editori, spedendo il proprio manoscritto in giro. Non succedeva nulla, tranne un giorno quando mia madre mi disse che c’era un editore che mi avrebbe voluto incontrare sotto le due torri a Bologna. Era la piccola casa editrice Transeuropa, che pubblicava il progetto Under 25, guidato da Pier Vittorio Tondelli. Era l’autunno del 1991, lui morì nel dicembre di quell’anno.
Da quel momento iniziò tutta una storia di frequentazione di quella casa editrice molto vivace. Nel fine settimana arrivano ragazzi da mezza Italia, che avevano comunque già pubblicato in una bellissima antologia curata da Tondelli. Autori giovani come Silvia Ballestra, che già avevano un’esperienza esistenziale e di scrittura molto superiore alla mia. Avevano 23, 25 anni, ricordo che mi parlavano senza filtri, stimando e apprezzando i miei scritti, facendomi sentire alla pari con loro.
Non esisteva nonnismo e capivo che il mio talento era stato ammesso in un circolo di persone che agivano spinte da ciò che davvero gli interessava, cioè scrivere. Passai da voler fare il bassista (con risultati terribili) a scrivere a tempo pieno, anche delle fanzine. Jack Frusciante uscì in duecento copie distribuite solo a Bologna e Ancona. Ma poi successe l’imprevedibile. Cominciarono subito le ristampe, e nello spazio di un’estate mi ritrovai ad essere ospite al Maurizio Costanzo Show. Il che voleva dire che ero diventato un personaggio pubblico. Ma all’epoca ero solo uno studente che iniziava l’università e stavo per dare la mia prima tesina di semiotica con Umberto Eco.
E su che cosa era questa tesina?
Sugli 883…
Non ci credo! E che reazione ebbe?
Essendo una persona di grande curiosità, la prese in esame senza fare commenti strani. Infatti presi il mio unico 30 e lode!
Ma perché sugli 883?
Essendo un esame di semiotica, loro mi parevano il perfetto esempio di come un progetto musicale si costruisse su un immaginario coordinato e fortissimo: i testi, le copertine, i video. Non c’era stato nulla di simile prima nel pop in Italia e il modus operandi di Max Pezzali e del suo team si muoveva come quelli di una certa scena indie inglese dell’epoca. Io per esempio impazzivo per la Factory e ci trovavo interessanti similitudini con il mondo intorno agli 883. Si percepivano quella compattezza, precisione e forza d’immagine che caratterizzavano tutte le band dell’etichetta di Manchester.
Un altro dettaglio che mi affascinava era il ruolo indefinito di Mauro Repetto. Non cantava, non era un virtuoso di uno strumento, ma era un assoluto protagonista sul palco. Questo mi faceva venire in mente un’altra analogia con la scena di Manchester: gli Stone Roses e gli Happy Mondays avevano nella band elementi simili. Adoravo gli Happy Mondays… Pensa che passai una notte folle ai Murazzi di Torino con Shawn Ryder (il cantante della band, ndr). C’eravamo io e Johnson Righeira che aprivamo il DJ set prima di lui, fu bellissimo.
Tornando ai tempi di Jack Frusciante, a un certo punto anche diventasti un personaggio mainstream come Max Pezzali.
Già. Camminando per le strade di Bologna notavo che sotto i portici c’erano delle scritte fatte con gli stencil: “Jack Frusciante è entrato nel business”. Gli ex amici così selettivi e antimperialisti erano diventati dei nemici (ride, ndr). Compresi però che stavano succedendo cose destabilizzanti, strane, che ti fanno pensare che c’era del divino ma anche del satanico in quei mesi, anni di improvvisa notorietà. Accadevano cose anche banali, come che la ragazza che agognavo di conquistare e che adesso era lei a chiedermi di uscire, fino a ricevere addirittura una telefonata da Vasco Rossi. Pensa che colpo fu per me! Era il periodo in cui avevo appena fatto uscire il mio secondo romanzo Bastogne e affermavo: “Jack Frusciante sta ad Albachiara come Bastogne a Fegato Spappolato”.
Prima ti ho nominato il Maurizio Costanzo Show, che ovviamente era un bel volano di promozione per la mia casa editrice, ma poi mi capitava che venissi contattato per andare da Luciano Rispoli o da Marzullo o addirittura per fare il giudice a Miss Italia. A un certo punto venni contattato per partecipare a una campagna antidroga dal ministero. Non sono un antiproibizionista e ai tempi si mettevano sullo stesso livello una canna e una siringa: ovvio che non condividessi quel tipo di messaggio. Ma di sicuro dire di no a un invito che arriva dal Consiglio dei Ministri non è una bella cosa…
Immagino la fila di editori che ti chiedevano di scrivere immediatamente – visto il clamore – un seguito di Jack Frusciante.
Come si dice per chi fa musica, il secondo album è sempre il più difficile. Subii enormi pressioni sia dagli editori che dai produttori cinematografici, anche solo per scrivere una sceneggiatura per il seguito di Jack Frusciante. A un certo punto mi ritrovai in una stanzetta di un produttore romano in Viale delle Milizie. Mi chiuse letteralmente dentro a chiave con un contratto davanti a me per un film “Jack Frusciante 2”. Mi disse: «Ecco il contratto, come vedi la parte del compenso è in bianco, metti tu la cifra. Ah, poi qui come vedi c’è un book di attrici, aspiranti attrici e modelle, scegli con chi vuoi uscire stasera». Questa situazione per me era demoniaca, e dire di no a tutto questo a 21 anni è roba forte. Il mio sogno allora era andare a vivere fuori dalla casa dei miei genitori, non uscire in Lamborghini.
Un grande autocontrollo.
Il problema più grande era che non potevo farmi consigliare, perché nessuno intorno a me aveva vissuto quello che mi stava accadendo. Nell’editoria all’epoca era considerato ancora clamoroso che Andrea De Carlo o Pier Vittorio Tondelli avessero esordito sul filo dei trent’anni. Io mi trovavo davanti a una sorta di bivio: avrei dovuto assecondare il mercato o agire di testa mia? Pensai che se avessi preso la “via breve”, di dar seguito al mio romanzo, quasi sicuramente non avrei avuto lo stesso successo, e prima o poi gli editori avrebbero detto “avanti il prossimo”. Se invece si vuole provare a diventare un autentico narratore o un bravo chitarrista o attore, devi a seguire quello che ti ha guidato fino a quel momento, che per me era svegliarmi alle 6 di mattina per rivedere un capitolo scritto il giorno prima.
Decisi anche per una sorta di vita in tour, piuttosto che presenziare alle cose mainstream. Ricordo che festeggiai i vent’anni del mio Jack Frusciante sul palco del Bloom di Mezzago, per me luogo mitico perché un tempo ci avevano suonato i Nirvana. Ancora oggi mi sento un coglione ad aver detto di no a un amico che mi disse: «Vieni a vedere questa band di Seattle al Kryptonite», quando nel novembre del 1991 passarono in tour a Baricella, un piccolo paese vicino a Bologna. Tornando agli anni dopo il mio libro di debutto, pensavo che non avesse senso un “Jack Frusciante 2”: avrei sporcato ciò che ritenevo pulito e sacro.
Ma in mezzo a tutte quelle richieste assurde di presenzialismo o di pressioni ti ricordi un commento particolarmente toccante?
Ce ne sono stati tantissimi. Dieci anni dopo l’uscita del libro incontrai il vero Frusciante, John, il chitarrista dei Red Hot Chili Peppers. Con lui passai un’intera giornata e alla fine mi fece uno dei complimenti più toccanti che un uomo può fare un altro uomo senza implicazioni erotiche di mezzo (sorride, ndr): «You have very sincere eyes». Detta da una persona che ha avuto una vita dolorosa ma che è anche un pezzo di pane, ecco, mi sembrò una bella osservazione.
A proposito di tour, di recente sei stato a Firenze e stai portando avanti il festeggiamento per i 30 anni del romanzo con questa tua performance accompagnato da una band.
Esattamente, i Perfect Cousins, e lo facciamo mentre è uscito Due…
Veniamo allora a Due: com’è nata questa voglia di riprendere esattamente da dove era finito il tuo romanzo d’esordio, e farlo uscire proprio adesso nel 2024?
Lo scorso novembre è successa una cosa pazzesca: per la prima volta ho letto Jack Frusciante per intero.
Stai scherzando?
No. Negli anni avevo aperto più volte il libro per leggere in pubblico degli estratti, ma non l’avevo mai letto dall’inizio alla fine. Diciamo che avevo questo retropensiero intellettualistico: “Chissà che effetto mi fa. Magari mi trovo molto ingenuo, magari comincio a immaginare che avrei potuto scrivere quelle pagine in maniera diversa o mi viene una gran nostalgia per quegli anni”.
Ed è successo?
Niente di tutto questo è stato il motivo per cui adesso ti trovi davanti a questo libro, Due. In maniera totalmente naturale o irrazionale ho aperto il computer e mi sono messo a scrivere esattamente nel momento in cui avevo finito di leggere Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Il tutto è stato un flusso senza soluzione di continuità. Mi ricordo che Sara – la donna che amo – mi vedeva stranissimo in casa, mentre io in segreto andavo avanti a scrivere il seguito della storia dei due protagonisti. A un certo punto le ho detto: «Sta succedendo quello che mai mi sarei aspettato. Sto scrivendo di Alex e Aidi».
L’ho pregata di non dirlo a nessuno. Passano un po’ di giorni e alla fine non potevo non dirlo anche al mio agente, con il quale ho una frequentazione pressoché quotidiana, Simone Marchi detto Marx: «Mi stai prendendo per il culo?», è stata la sua prima reazione. Gli ho risposto che non riuscivo a fare altro, e Marx mi ha consigliato una cosa giusta: «Facciamo così, questa telefonata non c’è mai stata, ci sentiamo la settimana prossima e se sei ancora in questo trip ne parliamo poi con l’editore». E così è stato.
Uno dei temi narrativi portanti di Due è la distanza: Aidi è negli Stati Uniti per un intero anno, mentre Alex è nella sua Bologna e a fine anno scolastico fa il suo avventuroso viaggio in Interrail. Dunque il tempo dell’amore va necessariamente a scontrarsi con questo tema del distanziamento forzato, incolmabile se non in via epistolare.
La distanza fa sì che tu debba vivere un’altra vita e nello stesso tempo sei sommerso dal ricordo e dalla nostalgia della persona lontana. Ma se vuoi stare a galla, nel mondo reale in cui vai a scuola, devi mangiare, bere e parlare con la gente. Aidi è chiamata a vivere una vita diversa con altre persone, altre influenze culturali. Per forza di cose, ci si stacca dalla persona con cui ieri legatissima fino a pochi mesi prima.
La naturalissima paura dei due ragazzi che si separano per così tanto tempo non si esprime che in termini filosofici semplicissimi e limpidissimi: resteremo noi stessi, come ci siamo conosciuti, o cambieremo? Ma è ovvio che si cambia, nonostante una paura fottuta. Poi potrebbe anche succedere qualcosa di miracoloso, che ci si cerchi di nuovo. In Jack Frusciante il tema tra Aidi e Alex era: proviamo a immaginare che cosa sarà di noi. In Due invece il nocciolo della questione è ancora più diretto: che cosa sarà di noi?