Interviste

Ernia, per me e per i miei

Dal rapporto con genitori, artisti e amici di sempre fino al disagio per una certa mentalità che persiste nella discografia. Tra soldi e amore, che cosa ha scelto il rapper?

Ernia, per me e per i miei
Autore Silvia Danielli
  • IlSettembre 20, 2025

Ernia alza le mani. Sulla cover del nuovo album appare così e la sua reference è Al Pacino alias Michael Corleone quando esce dal processo ne Il Padrino 2. «Ma non c’entra niente con il mood del mio album, spesso le mie reference erano più dirette come il libro di Ammaniti e il film di Salvatores per Io non ho paura che riprendevano quell’immaginario. Questa immagine invece vuole solo dire: ecco io sono questo, prendetemi per quello che sono». Così Ernia racconta durante l’intervista la cover di PER SOLDI E PER AMORE, il suo nuovo album uscito ieri a tre anni di distanza dall’ultimo, dove fa per bene i conti con il passato e con tutti i suoi demoni, scavando in profondità.

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Foto: Antonio De Masi
Creative Director: Pierfrancesco Gallo
Stylist: Sofia Spini
Ass. Stylist: Giorgia Calia e Francesca Latini
Mua: Giorgia Lecce

Per guardare all’oggi con la sentita gratitudine, ma senza i riferimenti al fatto di essere diventato padre da soli due mesi e senza una canzone dedicata esplicitamente all’amore per la sua fidanzata. Eppure, è un lavoro dove nei testi non c’è partita tra i soldi e l’amore: prevale il secondo, ovviamente in senso lato, per la famiglia, gli amici fidati, anche in fondo verso se stesso, più riappacificato e meno “impostore”. Interamente prodotto da Charlie Charles (certo coadiuvato da altri producer: Don Joe, Dat Boy Dee, Marz e Zef), che mette in risalto il pianoforte (perché è dai suoi accordi che molte tracce sono nate), dove ci sono pochi feat ma di peso assoluto. Eccezionalmente i Club Dogo, l’amico Kid Yugi, Marracash e Madame.

Dodici tracce che fanno tirare un sospiro di sollievo sullo stato del rap in Italia, in questo periodo storico martoriato da produzioni e contenuti che non brillano per originalità. Dodici tracce che sono andate a sostituire un album già pronto un anno. È un viaggio dove Ernia ovvero Matteo Professione, classe ’93, si mette allo specchio, si interroga senza lasciare risposte. Come ricorda anche James Franco, eccezionalmente arruolato per il teaser del nuovo album.

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L’intervista a Ernia

Tra soldi e amore a me pare che nel tuo lavoro prevalga il secondo o sbaglio?
Sono due elementi molto presenti nella vita di tutti, sicuramente nella mia. Non sono uno di quegli artisti che dicono che non a loro non importa il denaro. Chi lo dice o è perché ne ha tantissimo o perché mente. Quando facevo il cameriere e la guardia non armata ci pensavo spesso. Ma non sono nemmeno uno di quelli che fanno girare tutto intorno a quello. Ultimamente mi pare che sia la tendenza prevalente nel mondo del rap però.

Nel primo pezzo, MI RICORDO, traspare molto la delusione nei confronti della scena infatti.
Mi pare che molti amici dell’ambiente abbiano spostato appunto il loro focus sui soldi o meglio sul risultato. Io invece credo di non essere cambiato così tanto.

Nel testo scegli di citare solo Rkomi e Tedua (Mario).
Ho parlato di Mario perché abbiamo fatto l’asilo insieme, o meglio lui ha un anno meno di meno ed era nella classe arancione, io rossa. Era da una signora che lo teneva in affido e abbiamo trascorso davvero tantissimo tempo insieme dall’oratorio estivo fino alle prime rap battle, poi ci siamo un po’ allontanati ma solo perché è andato a Genova. Parlo di Mirko perché per me lui, davvero, non si è mai piegato ai soldi, è rimasto vero e non ha mai scelto le amicizie in base a ciò che gli conveniva.

Pensi che Rkomi non sia stato trattato come doveva negli ultimi mesi?
Credo che anche il suo ultimo album avrebbe meritato di più, perché vale. Ma non è detto che ciò non accada in futuro. Però devo anche dire questo: ormai anche il pubblico si aspetta che un album debba per forza conquistarsi 3/4/5 dischi di platino e se non succede è un disastro. Ma perché se ne deve interessare così tanto? Le persone devono cercare solo ciò che piace a loro ascoltare, non guardare i record.

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Il fatto di aver fatto produrre tutto l’album da Charlie mi sembra una celebrazione del 2016: tu come la vedi?
Noi però non avevamo mai fatto niente assieme, io non ero nemmeno in Bimbi, è il primo lavoro e ne sono davvero contento. È stato un po’ un caso nel senso che, dopo aver deciso consapevolmente di buttare tutto l’album pronto un anno fa, ho ricominciato da una traccia con lui e poi sono venute tutte le altre. Per il 2016 io mi sento un po’ strano: è vero che io ho pubblicato il mio primo Ep da solista in quell’anno ma non rientro nella generazione trap 2016.

In che senso?
Io non credo di aver stravolto il sound come Sfera Ebbasta o come la Dark Polo Gang. Io ho fatto il mio, sono uscito più lentamente ma mi sono ritagliato il mio spazio con il mio stile riconoscibile, parlando dei temi che mi stanno più a cuore.

Sono comunque passati quasi 10 anni: possiamo dirlo che è l’album della maturità senza problemi?
Ehehe, me lo dicono sempre, a ogni uscita, quindi no. Diciamo che è l’album più adulto, anche per i temi che affronto. Già dallo scorso album, comunque, iniziavano a fermarmi di più per strada i miei coetanei e meno gli adolescenti. Chissà.

In FIGLIO DI con i Club Dogo c’è un po’ una chiusura del cerchio? Ti senti un loro erede?
No, perché tratto tutt’altri temi ma mi sento un loro “figlio artistico” e sono veramente contento che abbiano collaborato con me. Non lo fanno praticamente mai, a parte per i Co’ Sang e per Dj Shocca.

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Rappi “sono più Milano di chiunque altro”: ma cosa sta diventando questa città oggi?
È un’esca per i super ricchi del mondo perché qua non pagano niente e il divario tra i ceti si sta allargando sempre di più e questo creerà sempre più tensione come nel resto del mondo. Andrà sempre peggio e si espanderà in tutta Italia. Per quanto riguarda l’insicurezza di cui tutti parlano invece mi pare che non sia così. Anni fa c’erano dei quartieri che erano veramente off-limits e non c’entrava neanche la polizia.

In NEI LORO OCCHI sembra che tu ti sia riappacificato con i tuoi genitori.
In realtà siamo sempre stati in pace. Loro hanno avuto nei miei confronti un’educazione asburgica, diciamo: per capire l’amore che avevamo nei miei confronti ho dovuto un po’ interpretarlo. Non mi hanno mai detto “bravo”. Non mi hanno mai difeso a prescindere, anzi esattamente il contrario: se succedeva qualcosa a scuola mia madre, da professoressa, diceva che ero stato io.

Tenderai a non avere questo atteggiamento con tua figlia?
Mi piacerebbe, ma la mela non cade lontano dall’albero. Già mi fanno notare che assomiglio ai miei…

PERCHÉ, il brano con Madame, è un po’ il più politico. Non senti mai la voglia di esprimerti anche sulle questione internazionali più stringenti come la Palestina?
Credo che il contenitore dove vengono fatte determinate dichiarazioni sia fondamentale. Per esempio, Ghali che ne aveva parlato al festival di Sanremo aveva fatto la scelta più giusta, oppure la manifestazione che è stata fatta durante la Mostra del Cinema di Venezia. Se devo farlo io sui miei social, tra stories che non c’entrano nulla come quelle a un concerto, mi sembra inopportuno e irrispettoso. Fatto tanto per fare, solo per rispondere a chi mi chiede perché non mi esprimo, come fanno in molti.

È un tema che senti?
Ovvio, chi non lo sente? Non è normale quello che sta succedendo nella Striscia di Gaza, non è una guerra. Mi dispiace che il Governo italiano non prenda una posizione più netta.

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Tu parti spesso per viaggi molto interessanti, quali sono alla base di PSEPA?
Nessuno! Valentina era incinta e non me la sentivo di lasciarla sola per qualche settimana. L’ultimo che ho fatto è stato in India con Rkomi e altri nostri amici, ma non mi aveva neanche soddisfatto così tanto perché secondo me avevamo sbagliato un po’ l’organizzazione: abbiamo visto troppi castelli. Poi mi sono piaciute Mumbai e Varanasi.

Molto intensa Varanasi?
Mah, non saprei. Io non mi impressiono facilmente. Ringrazio i miei genitori, rimango piuttosto freddo.

Matteo, tu hai riascoltato BUONANOTTE (il brano personale e commovente dedicato al tema dell’aborto, ndr), quando la tua compagna era in attesa di Sveva?
No, perché non riascolto mai niente. Non guardo nemmeno le mie foto né i miei video ai concerti: nel caso, faccio approvare tutto a Ciro (il manager, ndr).

Per una certa attitude, soprattutto per il fatto di fare il punto con il proprio passato PSEPA mi ricorda la trilogia di Marracash, in particolare NOI, LORO, GLI ALTRI: sei d’accordo?
No, sai perché? Lui parla molto più di me di collettività, i miei testi sono più personali. Quella lotta di classe, tra colletti bianchi e operai, credo sia scomparsa dopo il 2000, o almeno lo è per me e le persone strette che mi circondano. Credo che avendo vissuto la vita da strada da giovane, si sviluppi un sentimento individuale. Perché vige la legge del più forte, del salvare se stessi. L’arte è figlia di ciò che respiri.

Alla fine, anche dell’album, tu sei “Grato”.
Non posso non esserlo, se mi guardo in giro e vedo che cosa succede nel mondo, sono obbligato. Sono un sopravvissuto, in fondo. Se ripenso a quelle panchine dove stavo da giovane, vedo me e altri ragazzi che ora fanno i turni in fabbrica. Poteva andarmi decisamente peggio.

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Tu continui a frequentare gli amici di un tempo?
Certo, ci tengo tantissimo. Le uniche persone dell’ambiente con cui mi vedo sono Rkomi e il mio manager Ciro. Vedo miei amici che fanno fatica a pagarsi l’affitto, non dico ad ottenere un mutuo per comprarsi casa. Se parliamo di soldi, i loro problemi non sono uguali ai miei. Se parliamo di amore, non posso dire niente. Ho una compagna e una figlia. Sono cresciuto addirittura con i quattro nonni, questo in termine anche di educazione è importantissimo.

Dici sempre che l’opinione di Ciro è fondamentale per te: cosa ti ha detto su questo album?
Gli è piaciuto (ride) ma non si è sbilanciato troppo. Non lo fa mai. In fondo, sai, quando ho scelto di lavorare con lui, che ha una decina d’anni più di me ed è diventato come un fratello maggiore, ho cercato una figura simile a quella dei miei genitori. Una persona che non mi compiacesse o che mi dicesse che è tutto bellissimo. Non saprei come gestirla! Comunque, se io non lavorassi con lui, le ragazze di Thaurus e il mio team probabilmente non farei questo lavoro. Non saprei come farlo: non avrebbe senso. Infatti è un lavoro corale, mai soltanto mio. Io sono solo la punta dell’iceberg ma se non ci fosse la base non si farebbe niente.

Ti senti ancora un Impostore?
No, con questo album no. Sarà che mi sono ritirato per un po’ e mi sono concentrato su di me e sui miei affetti e ciò mi ha aiutato moltissimo. Per questo, son qui. Con la sincerità più assoluta.

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