Eugenio in Via Di Gioia: «Se hai qualcosa di urgente da dire, canta»
Il quartetto torinese non poteva mancare nel numero di maggio/giugno di Billboard Italia, dedicato al tema della sostenibilità
In musica come nel resto delle industrie creative e oltre, c’è chi non si limita a parlare di sostenibilità (che già non è scontato) ma passa volentieri dalle parole ai fatti. In Italia da ormai dieci anni non esiste progetto musicale più attento alla sustainability – nel senso più ampio del termine – degli Eugenio in Via Di Gioia.
Non solo. Oltre a un’infinità di iniziative creative sul tema, gli Eugenio in Via Di Gioia hanno dato vita a una società, la 2050 Srl, con cui realizzano laboratori in scuole e atenei, collaborazioni con Coldiretti Piemonte su progetti in campo agro-alimentare, attività di divulgazione e sensibilizzazione. Un impareggiabile modello di “factory” musical-creativo-attivistica di cui oggi c’è più bisogno che mai. Sempre tenendo al centro la musica, come testimonia la recente infilata dei nuovi singoli Portami, Lentiggini, Stormi.
Nell’attesa di rivederli sul palco (qui sotto, le date annunciate per l’estate 2024), li abbiamo intercettati per il nostro speciale numero dedicato alla sostenibilità.
L’intervista agli Eugenio in Via Di Gioia
Come può la musica educare il pubblico a comportamenti più responsabili e sostenibili?
La musica è un potentissimo strumento di comunicazione, è nata con lo scopo di connettere le individualità e farle sentire parte di qualcosa. Può addirittura diventare simbolo e inno di determinate collettività che si uniscono per portare avanti degli ideali con determinazione. Ci è piaciuta una frase nell’ultimo film su Elvis Presley che dice “se hai qualcosa di pericoloso da dire, canta”. A noi piace vederla così: se hai qualcosa di urgente da dire, canta.
Secondo voi quali sono le azioni più urgenti che dovrebbe intraprendere la music industry nel suo complesso per essere più sostenibile?
È sempre difficile valutare il grado di sostenibilità di qualcosa di così intangibile come la musica. Se ci limitiamo a vederla come onde acustiche che si propagano, non genera particelle inquinanti e non fa male alla salute. Tutto quello che permette alla musica di essere fruita però necessita di tanta attenzione: dispositivi e supporti di riproduzione, produzione e trasmissione di video, concerti dal vivo (e qui si aprirebbe uno scenario molto ampio). Per non parlare dell’immensa quantità di dati che quotidianamente devono essere immagazzinati su nuovi server.
Nel nostro attuale contesto capitalistico, il tentativo di produrre e vendere il più possibile da parte dell’industria e la sensazione di insaziabilità da parte del pubblico contribuiscono a generare cicli difficili da controllare. Inoltre, il fatto che oggi creare e distribuire la propria musica sia estremamente facile ha portato a un aumento smisurato dell’offerta.
Tutto ciò contribuisce a spostare l’interesse verso il numero e l’attenzione temporanea piuttosto che verso la qualità e l’affezione duratura. Il problema della sostenibilità in musica non riguarda quindi solo quella ambientale ma anche quella economica e sociale.
La soluzione non può arrivare solo dalle case discografiche o dalle agenzie di booking ma anche dalle scelte del pubblico e degli artisti. Se la si smettesse di vedere qualsiasi cosa – compresa la musica – come un prodotto da usare e poi gettare, faremmo dei grandi passi avanti.
A parte gli aspetti strettamente ambientali, cosa vuol dire per voi “sostenibilità” nel senso più ampio del termine?
La sostenibilità riguarda molti aspetti. È la capacità che qualcosa sopravviva in equilibrio con l’ecosistema in cui si trova, mantenendo un rapporto ideale fra quello che si consuma e quello che si produce. Un progetto è sostenibile quando il contesto che lo ospita gli fornisce i giusti appoggi e a sua volta esso non intacca quell’ambiente in maniera irreversibile; quando riesce a generare introiti anche piccoli, ma costanti nel tempo; quando le persone coinvolte nel lavoro sono rispettate e appagate; quando non prova ad allungare le linee, ma tende a chiudere i cerchi.
In oltre dieci anni di carriera quali sono state le soddisfazioni più grandi dal punto di vista dei progetti speciali realizzati e dei risultati raggiunti in termini di sensibilizzazione del pubblico?
La più grande è proprio la percezione dell’accoglienza e della condivisione che tante persone hanno avuto delle nostre parole. Per fortuna il pubblico, soprattutto quello più giovane, è già sensibile a queste tematiche. Più che sensibilizzare, noi possiamo testimoniare che si può vincere la pigrizia e si possono mettere in atto azioni ambientali-creative, al di là di qualsiasi sensazione di impotenza o solitudine.
La musica è il nucleo centrale ma è una delle tante attività di 2050. Come intendete la vostra “piattaforma” e la vostra mission?
La nostra attività è molto semplice: tutte le mattine ci diamo appuntamento in studio e suoniamo, giochiamo, leggiamo le notizie e discutiamo. Spesso vengono fuori produzioni musicali, altre volte campagne di comunicazione, altre volte videoclip, fotomontaggi o – come nel caso della copertina dell’ultimo singolo Portami – un acquerello collettivo. Insomma, cerchiamo di far fluire e incanalare senza forzare né bloccare quel che naturalmente sgorga per esprimerci sereni, creativi e attenti.
Cosa vuol dire oggi essere degli attivisti per l’ambiente?
Essere attivisti oggi significa fare i conti con un mondo apparentemente consapevole ma parallelamente poco disposto a cambiare il proprio stile di vita e abitudini. Fare i conti con un mondo polarizzato e semplificato. Essere attivisti oggi vuol dire avere paura e rischiare di abbandonarsi alla disperazione. I migliori attivisti oggi sono universitari preparati, adulti che non smettono di studiare e divulgatori scientifici che non si chiudono nei salotti ma si “sporcano le mani” coinvolgendo nuove persone nel proprio viaggio.
Avete rapporti con Fridays for Future?
Abbiamo buoni rapporti con Fridays for Future. Quando possiamo partecipiamo a conferenze, dibattiti o cortei. Ci sprona l’attivismo giovanile perché siamo convinti sia il primo tassello importantissimo per un percorso di consapevolezza. Poi siamo molto onorati di sentire i nostri brani cantati in tutta Italia durante le manifestazioni.
Negli ultimi tempi, diversi artisti si sono espressi sul problema del rischio di burnout: qual è il vostro punto di vista sul tema della salute mentale per chi lavora nell’industria musicale?
Il mondo musicale, e non solo, sta andando a una velocità folle. Non è facile, da artista, dare il giusto peso alla “numerocrazia” e convivere serenamente con questa bulimia dei consumi (che siano musicali, di capi di vestiario, social…). Inoltre, quando si è soli a portare avanti il proprio progetto, il rischio di non riconoscere i campanelli d’allarme è più alto. Noi ci sentiamo fortunati perché siamo una band e ci spalleggiamo a vicenda nei momenti di alti e bassi, ma ci rendiamo conto che questo sistema mastichi e sputi senza guardare in faccia nessuno.
I concerti estivi
Gli Eugenio in Via Di Gioia sono entrati nel roster di Magellano Concerti e sono pronti al loro ritorno live con cinque date:
- 14 giugno – Bologna, Oltre Festival
- 21 giugno – Cuneo, Xonoria Festival
- 23 luglio – Treviso, Suoni di marca
- 25 luglio – Savona, Downtown Music Festival
- 29 luglio – Milano, Castello Sforzesco