Fabri Fibra racconta il suo Red Bull 64 Bars: «Anche nei miei testi violenti c’era l’ironia che metteva tutto in discussione»
A distanza di tre anni dal suo debutto nel format, il rapper torna ad infiammare gli studi di Red Bull e lancia anche uno spoiler sul suo nuovo album

Fabri Fibra
A distanza di tre anni dal suo debutto, Fabri Fibra è tornato ad infuocare gli studi di Red Bull 64 Bars. Insieme a Chef P, James Logan e il producer americano multiplatino Amadeus, Fibra firma 64 barre corrosive e taglienti che al loro interno contengono anche uno spoiler. Un esercizio di stile che diventa anche dichiarazione d’identità: Fibra è perfettamente a suo agio nel ruolo di veterano del rap italiano, consapevole del suo impatto e della sua influenza. Gioca con il linguaggio, con le immagini forti, con i riferimenti colti e hip hop. Il tutto con le consuete ironia e intelligenza.
Il suo amore per il rap è totale, inevitabile, costante, ma è anche guerra, sfida, resistenza: “La guerra è con le rime, la pace è dei sensi”. Fibra alterna punchline e consapevolezza politica (“Il mio supporto al rapper che per far le rime in Iran quasi è morto”, in riferimento alla vicenda di Toomaj Salehi), consapevolezza del mercato e del mondo contemporaneo (“Due foto con l’influencer, poi due rime a cappella”), disillusione e passione.
L’intervista a Fabri Fibra per il suo Red Bull 64 Bars
Ascoltando questo Red Bull 64 Bars la sensazione al primo ascolto è che il rap sia quasi un gioco che ti viene facile, con una chiara coscienza di chi sei e di cosa hai raggiunto.
Il rap non mi viene in maniera facile, però voglio scrivere delle cose che arrivino in maniera facile: voglio far sembrare che lo sia. E soprattutto, spero che da questo Red Bull 64 Bars passi una cosa: il rap lo devi fare divertendoti. Ti devi divertire mentre giochi con le parole, con il ritmo, con le basi, con gli accenti.
Quando dico “Sto spaccando? Non sto spaccando?” per me è una cosa divertente. Scrivendo la prima strofa ho pensato: “Sono passati degli anni dall’ultimo 64 Bars, adesso tutti stanno lì a vedere se sono ancora motivato”. Sai, quelle domande che si fanno tutti prima di rivederti: “Ma ci crede ancora?” Allora ho deciso di metterla io nero su bianco, giocando d’anticipo. Ci sono un sacco di cose in questo 64 Bars che mi hanno fatto divertire.
Nel testo parli di “Rapper fanno testi senza vergogna”. Cosa intendi?
Quando sento i testi di oggi, mi sembrano spesso troppo seri, aggressivi, violenti. Anch’io ho fatto testi violenti, ma c’era sempre un’ironia che metteva in discussione tutto. Oggi sento una violenza che mi sembra gratuita, non legata a un contesto reale, ma più a un’imitazione.
“Sta cominciando il caldo e c’ho il disco in uscita, compra il biglietto che ti aspetto in prima fila”: questo suona come un vero e proprio spoiler. Cosa puoi dirci?
Sono in studio da quasi due anni. Ho registrato tanti pezzi, proprio per capire che tipo di situazioni si creano quando li metti insieme. Abbiamo fatto molte playlist, e a un certo punto avevo davanti i brani giusti, quelli che creavano un disco. Erano tanti, ma messi insieme funzionavano.
“Sanremo tratta i rapper come Trump Zelensky”: come ti è venuta in mente questa barra?
È un’immagine ironica. Trump ha trattato malissimo Zelensky alla Casa Bianca, tipo: “Guarda come sei vestito, sembri un rapper.” E a Sanremo succede qualcosa di simile: se ti vesti in un certo modo, ti dicono “Ma che sei un rapper? Ma vestiti bene!” E poi magari ti chiedono pure cosa canti. Zero rispetto.