Interviste

Cani, post-punk, dance, sax e i capelli bianchi di James Ford: l’universo caotico dei Fat Dog

La band pubblica domani il suo album di debutto “WOOF” e torna in Italia per tre concerti a Roma, Trento e Milano. Con Chris Hughes e Morgan Wallace abbiamo tentato di scoprire qualcosa di più sul gruppo più scatenato e perfezionista dell’Inghilterra

Autore Samuele Valori
  • Il5 Settembre 2024
Cani, post-punk, dance, sax e i capelli bianchi di James Ford: l’universo caotico dei Fat Dog

Foto di Frank Fieber

Ascoltando i primi secondi di Vigilante, la traccia di apertura del loro debutto WOOF, vi sembrerà di essere finiti in un videogioco. In uno di quelli con la grafica pixelata che nei primi anni Duemila ci sembravano reali e che oggi, rivedendoli, ci fanno quasi tenerezza. Il racconto surreale del frontman Joe Love – scritto dal tastierista Chris Hughes – fa da apripista al drop che ha fatto capire alla sassofonista Morgan Wallace di aver trovato il gruppo giusto e che catapulta l’ascoltatore in una dimensione altra fatta di ritmo, luci fluorescenti e cani giganti provenienti dallo spazio. Sì, descrivere i Fat Dog, band londinese nata e cresciuta al Windmill di Brixton, da poco nel roster Domino, è quasi impossibile.

Chris, collegato via Zoom dal suo giardino pieno di zecche, e Morgan dalla sua camera, provano a facilitarci il compito. La musica dei Fat Dog è prima di tutto movimento, caos e poca serietà. D’altronde sono nati dal vivo, provando e riprovando sul palco. Il loro suono vive, oltre che dei synth, della chitarra e del sax, anche dei ritmi della batteria di Johnny Hutchinson con la sua inconfondibile maschera da cane e del basso di Jacqui Wheeler (che ha da poco sostituito Ben Harris). Possiamo definirlo post-punk elettronico (Running, King of The Slugs) sullo stile dei Viagra Boys – con cui sono stati anche in tour – ma sarebbe riduttivo perché c’è di mezzo anche il klezmer (Closer To God).

Le canzoni di WOOF sono nate durante la pandemia e risentono di tutta la voglia di festa che la pandemia aveva drasticamente fatto salire ai componenti della band e non solo. James Ford le ha confezionate in studio con il perfezionista Love, guadagnandosi qualche capello bianco in più. Se nel futuro lontano Chris si vede calvo a forza di indossare il cappello durante i live, in quello immediato c’è un tour lunghissimo che la settimana prossima li riporterà in Italia dopo la data di quest’estate in Sicilia. I Fat Dog si esibiranno il 14 settembre allo Spring Attitude Festival di Roma, il 15 settembre al Poplar Festival di Trento e il 16 settembre all’Arci Bellezza di Milano.

L’intervista ai Fat Dog

Siete pronti per il tour?
Chris Hughes: Sì, la cosa divertente è che man mano che facciamo interviste continuano a farci questa domanda, sottolineando come abbiamo in programma un sacco di date e che saremo molto occupati. All’inizio credevo che fosse una normale quantità di concerti, ma adesso inizio a preoccuparmi. Sarà piuttosto intenso.

Morgan Wallace: Il nostro management ci ha detto: “Questo è il giusto numero di show che una band come voi dovrebbe fare”. Ma poi durante le interviste ci dicono tutti: “Mmm…sono veramente tante le date che dovrete fare”.

Osservando la copertina del vostro disco, ascoltando le vostre canzoni o guardando una delle vostre esibizioni si percepisce subito una sensazione caotica e potente. Come descrivereste la musica dei Fat Dog a chi non vi conosce?
C: Beh è qualcosa di molto dinamica. Ti direi: musica dance suonata dal vivo con degli strumenti che incorpora un ampio spettro di generi. È molto difficile da inquadrare in questo senso.

M: Io credo che sia un insieme di varie declinazioni della dance music, in base a ciò che esploriamo in un determinato momento. Ogni genere ha una sua componente danzabile e no cerchiamo e assorbiamo proprio quella.

I Fat Dog sono nati durante la pandemia, ma voi vi siete uniti in momenti diversi alla band.
C
: Sì, la mia storia è abbastanza fuori di testa. Ero un fan dei Fat Dog, andavo spesso a vederli dal vivo e non avevo mai ascoltato né assistito a nulla di simile prima di allora. Ho pensato che fosse la musica più figa che avessi mai sentito. Io ho sempre suonato e in quel periodo ero in una band un po’ così…una band di me**a piena di persone noiose. Così una sera mi sono ubriacato per farmi coraggio e sono andato a parlare con Will, (ex membro del gruppo) e gli ho chiesto se servisse loro qualcuno che suonasse uno strumento diverso. Mi rispose che avrebbero desiderato una viola e io, senza neppure pensarci, ho detto sì immediatamente. “Sì, so suonare la viola”.

Quella stessa sera ho acquistato una viola su Ebay e poi i sono dovuto fare circa 12 miglia per andare a prenderla. Mi sono dato una settimana e poi sono andato all’audizione, credendo di poter fare una buona impressione. Come prevedibile andò uno schifo, sembravo un bambino di sei anni che sta tentando di imparare Mary Had a Little Lamb. Alla fine, mi hanno preso per il coraggio.

Tu Morgan, invece, hai sovvertito una delle leggi della band che non avrebbe mai voluto un sassofono nella formazione.
M:
Sì, hanno fallito (ride n.d.r.). A differenza di Chris, io non conoscevo la band. Vidi un post online che chiedeva di qualcuno che sapesse suonare il sax. Un errore da parte loro perché un amico di un amico mi ha messo in contatto e sono andata a provare con loro a Greenwich. È stata una sessione ricca di tensione, litigavano tutti. Un po’ come lo stile della nostra musica. Il primo concerto l’ho fatto al Windmill di Brixton e quando è partito il drop di Vigilantes e il rumore ha sommerso tutti, lì ho capito la filosofia del gruppo.

Oramai, soprattutto nella new wave rock e post-punk britannica, il sax è tornato a essere protagonista, è di nuovo uno strumento cool. Perché secondo te?
M: Credo che uno dei motivi per cui ora il sax è considerato figo sia proprio il fatto che molte rock band hanno un sassofonista. In alcuni casi, quando è relegato solo agli assoli non si sposa benissimo col suono delle chitarre. Io, infatti, tendo a seguire le melodie della chitarra e a mescolarne il suono con quello elettronico dei synth. Credo che il sassofono funzioni meglio quando non viene considerato come la novità da sfoggiare, ma nel momento in cui riesce a unirsi al resto degli strumenti.

Adesso la domanda più difficile: perché proprio i cani?
C:
Eh, è stata una decisione difficile, profonda. Ci abbiamo pensato molto. Abbiamo passato al setaccio tutti i possibili animali che avremmo potuto usare come mascotte e abbiamo scelto il cane. Tutti amano i cani, hanno un appeal universale. Le persone ci ascolteranno perché amano i cani. No, sto scherzando (ride n.d.r.). Credo sia stata un’idea di Joe. Durante i primi concerti la band non aveva un nome: mi sembra si facessero chiamare “Love Palace” o semplicemente “Joe Love”. Lui ama molto i cani, in particolare quelli “grassi”. Pensa che fino a qualche tempo fa aveva un account Instagram in cui commentava delle foto di cani grassi.

Pooneh Ghana

Quando avete iniziato a registrare WOOF quale era il vostro obiettivo: riprodurre la stessa energia che avete dal vivo o suonare diversi?
C:
Andare in studio e tentare di ricreare il suono live è molto difficile. Più della metà del nostro show è frutto del rapporto con il pubblico ed è influenzato da quella sensazione che provi in pancia quando vedi l’eccitazione della gente sotto al palco. In studio invece sei solo e quindi lo scopo è dare vita a un suono definito, essere più puliti. Non abbiamo nemmeno voluto registrare in presa diretta il disco, sarebbe stato come truffare i fan: “Oh sì, ci avete visto così tante volte, ora ascoltateci di nuovo allo stesso modo da casa”.

Alla produzione Joe Love è stato affiancato da James Ford. In che modo vi ha influenzato e in che cosa, invece, l’avete influenzato voi?
C:
Il modo più evidente in cui abbiamo influenzato James è stato facendogli venire i capelli bianchi. Non vorrà più lavorare con noi perché siamo andati molto per le lunghe (ride n.d.r.). Il punto è che noi siamo dei perfezionisti e spesso lui doveva convincerci – soprattutto Joe – che un brano andava bene così com’era stato registrato. È stato bravissimo in questo, se non fosse per lui, saremmo ancora in studio a modificare cose.

Firmare per un’etichetta importante come Domino Records ha cambiato il vostro approccio? Vi ha messo pressione?
M: Non credo che sia cambiato l’approccio nei confronti della musica suonata, ma nel modo di fare le cose. Abbiamo dovuto preoccuparci anche di ciò che gira attorno alle canzoni come il release plan o anche le interviste che non avevamo mai fatto prima.

C: Sì, il nostro suono non è cambiato. L’etichetta non ha fatto altro che aumentare la portata di ciò che stiamo facendo, come per esempio farci esibire negli Stati Uniti o qui in Italia. Luoghi in cui non saremmo mai potuti arrivare altrimenti.

Come avete trovato il pubblico italiano quest’estate?
C:
È stato incredibile. Gli italiani hanno proprio una cultura musicale e un’attitudine uniche, non è un caso che nel Regno Unito sia pieno di ingegneri del suono italiani. In Sicilia è stato surreale vedere tutto quel mare di gente ballare dall’inizio alla fine. Ed era la nostra prima volta in Italia. Non puoi mai sapere come andrà. Ogni popolo ha un modo diverso di percepire e vivere la musica. Siete molto passionali.

E una delle canzoni che suonate durante i vostri concerti è una cover di un artista italiano: Satisfaction di Benny Benassi.
C:
È un banger quel pezzo.

M: In origine lo suonavamo durante il soundcheck. Il nostro vecchio bassista iniziava col riff di basso e poi lo seguivamo tutti. Col tempo ci siamo resi conto che avrebbe funzionato anche col pubblico e quindi lo abbiamo inserito in scaletta.

I Fat Dog sono cresciuti nel Windmill di Brixton, una fucina di gruppi e progetti sempre diversi e interessanti. Sembra quasi un posto magico, è realmente così?
C
: Oh no, è più che magico.

M: Se il Windmill è quello che è oggi, è merito del booker Tim Perry. È una persona molto generosa e coraggiosa. Noi, comunque, portavamo sul palco roba piuttosto sperimentale. Lui è sempre disponibile anche se la prima volta va male: “Stasera avete fatto “schifo”. Martedì tornate?” Ti dà la possibilità di migliorare suonando dal vivo.  

C: Molti locali a Londra, se floppi, sono pronti a dirti: “Non suonerete mai più qui”. Al Windmill è diverso, è una vera e propria comunità.

Quando penso ai Fat Dog penso anche videogiochi. Hanno un grande ruolo per voi: dal klezmer ispirato alla colonna sonora di Serious Sam all’immaginario, come per il videoclip in stile Playstation2 di Wither. Qual è il vostro rapporto con i videogames? Avete ancora tempo per giocare?
C:
Io e Joe siamo cresciuti giocando un sacco con i videogiochi. Eravamo dei veri e propri nerd, ci collegavamo su Skype. Ora non gioco da molto tempo. Le uniche occasioni sono mentre siamo in van. Gioco spesso a Crusader Kings II, un gioco di ruolo. Poi però mi sento stressato perché mi sembra di aver perso tempo.

M: Io sono tornata in fissa con Mr Crab, quando andavo a scuola ce l’avevo sull’IPod, adesso l’ho riscaricato sull’IPhone. Ci ho giocato fino a un’ora fa.

Share: